Commento all’articolo di Kenneth Hugdall “Hearing voices: hallucinations as failure of top-down control of bottom-up perceptual processes” (Sentire le voci: le allucinazioni uditive come risultato del mancato controllo cognitivo dei processi percettivi) pubblicato sullo Scandinavian Journal of Psychology il 19.11.2009
Abbiamo scelto di tradurre e discutere quest’ articolo di neuroscienze perché, rispetto a molti altri, presenta una particolare originalità.
Il lavoro sottolinea, con evidenze di neuroimaging e con una metodologia di test, la differenza tra i pazienti che “sentono voci” interne e le riconoscono come tali e quelli che invece percepiscono le voci esclusivamente come esterne e quindi le allucinano.
Il sistema sperimentale è molto rigoroso e complesso ma non ci soffermeremo tanto sulla metodologia quanto sui risultati documentati dal lavoro.
Il problema che i ricercatori si sono posti è che cosa succede nel cervello quando la mente perde la capacità di distinguere tra ciò che avviene nel mondo interno e ciò che proviene dall’esterno.
In sintesi, le voci interne si generano in una zona del cervello localizzata nel lobo temporale sinistro che è la stessa per i pazienti allucinati e per quelli tormentati da voci interne invasive (es. pazienti ossessivi).
Il risultato della ricerca è che pazienti psicotici con allucinazioni uditive hanno perduto la connessione tra l’emisfero temporale in cui si generano le voci e la corteccia prefrontale, sede delle funzioni cognitive superiori.
Nel paziente che invece riconosce queste voci come “interne” questo circuito è conservato. In questo secondo caso la corteccia prefrontale monitorizza l’esperienza sensoriale e la colloca giustamente come proveniente dall’interno dell’individuo e non dall’esterno.
Nelle allucinazione psicotiche, dunque, verrebbe meno la funzione delle aree prefrontali che danno significato alle nostre esperienze psichiche e che, nel caso specifico, aiutano a distinguere ciò che è creato da noi e ciò che, invece, percepito come reale, non corrisponde alla realtà concreta. Per il paziente le “voci” sono reali ma per un osservatore esterno non sono “vere”. Si potrebbe fare la stessa considerazione per il delirio. Il paziente delirante non sa distinguere la realtà delirante dalle proprie fantasie.
L’ipotesi che sembra confermata da questo studio è che nel paziente psicotico con allucinazioni uditive l’assenza di supervisione da parte della corteccia prefrontale sulla zona temporale favorisce la “concentrazione” del paziente sull’aspetto sensoriale-reale delle voci e la proiezione di queste all’esterno. Le voci dunque diventano elementi concreti, su cui il paziente rimurgina continuamente e che percepisce come fenomeni sensoriali “esterni” alla mente.
Questi pazienti hanno un deficit di quella funzione che permette di distinguere l’interno dall’esterno, la realtà dall’immaginazione.
Bion, molto tempo fa, aveva intuito questa proiezione all’esterno di oggetti bizzarri che materializzano una percezione interna del paziente psicotico collocata concretamente fuori di sè (allucinata) e percepita come reale. Si potrebbe pensare che questa mancata differenziazione tra esterno ed interno è successivo a un progressivo ritiro del paziente nel proprio corpo, che diventa per lui il luogo degli stimoli e degli eccitamenti. Il mondo è equiparato al corpo usato come fonte di stimoli.
Dal punto di vista dinamico i dati dei ricercatori svedesi confermano che il processo psicotico mette fuori uso alcune funzioni mentali di ordine superiore che avrebbero la loro collocazione nei lobi prefrontali.
L’ipotesi che noi formuliamo, e che troverebbe conferma in questo tipo di ricerca, è che i fenomeni allucinatori rappresentano l’esito dell’abuso, prolungato nel tempo, che lo psicotico fa della propria mente.
Invece di adoperare la mente come uno strumento per aprirsi agli altri e comunicare con le persone (come organo di conoscenza) lo psicotico usa la mente come uno strumento capace di produrre sensazioni piacevoli (da qui il primitivo ritiro infantile in un mondo di fantasie sensoriali).
Questa manipolazione della mente è possibile proprio nella misura in cui l’individuo destinato a diventare psicotico può tagliar fuori la capacità critica e di relazione.
Il paziente psicotico manipola la mente per ottenere un tipo di piacere speciale e trasgressivo nell’intento di creare una realtà a suo piacimento ( grandiosa, sessuale, onnipotente). Egli manipola gli organi sensoriali e infrange le coordinate che garantiscono un corretto funzionamento mentale.
Inizialmente, infatti, i deliri e le allucinazioni hanno di solito una qualità piacevole e rispondono all’esigenza del paziente psicotico d’identificarsi con oggetti di fantasia megalomanici.
In un secondo momento però l’operazione di “stupro” alla mente conduce sempre più il paziente fuori dal contatto col mondo e con la realtà condivisa. La realtà sensoriale neo-creata sfugge al controllo, domina e invade completamente la parte sana della personalità. Le allucinazioni uditive (o visive) diventano malevole, i deliri persecutori.
I ricercatori svedesi sembrano abbiamo avuto la capacità di mostrare cosa succede a livello neurofisiologico (cervello) quando il processo psicotico avanza nella psiche (mente).
La psicosi conquista la mente lasciando il paziente in balia dei fenomeni allucinatori e deliranti proprio perché ha messo fuori uso, paralizzandole, le funzioni discriminanti e pensanti che sono localizzate prevalentemente nelle regioni prefrontali. In altre parole il rifugio sensoriale psicotico non è altro che un attacco al pensiero o, per esprimersi in altro modo, corrisponde alla esclusione permanente delle capacità discriminatorie e autocritiche.
Riteniamo molto utile la lettura e di questo lavoro che, lungi dal portarci a trarre conclusioni o fare analogie ingenue e riduzionistiche, ci ha aiutato a riflettere sul fenomeno misterioso dell’apparente inarrestabilità del processo psicotico.
Franco De Masi, Gabriella Giustino, Cesare Davalli, Andrea Pergami.