La Ricerca

Reverie

27/12/13
GEORGIA O’KEEFFE

GEORGIA O’KEEFFE

A cura di Michele Bezoari

La parola “rêverie” , importata dal francese, è usata in italiano – soprattutto nel linguaggio della critica letteraria e musicale – con il significato di fantasticheria: sia come condizione di chi si abbandona al fantasticare sia come prodotto che è espressione di questo stato (Vocabolario Treccani online).

Nella psicoanalisi francese “rêverie” traduce (in alternativa a “rêve diurne”)  i termini tedeschi “Tagtraum” e “Träumerei”, con cui Freud denomina il sogno a occhi aperti (o sogno diurno) e la fantasticheria. In inglese le parole corrispondenti sono “daydream”e “reverie” (senza accento circonflesso).

Ma è a partire da Bion (1962a, 1962b) che il concetto di reverie assume un nuovo e specifico significato psicoanalitico.

(Per rimarcare questa svolta, nelle seguenti note si userà la forma inglese della parola. Bisogna dire, tuttavia, che spesso anche nelle traduzioni italiane dei testi di Bion si trova la forma francese, in quanto già integrata nella nostra lingua).

Bion indica con questo termine la capacità della madre di ricevere le impressioni emotive e sensoriali del neonato, convogliate in lei per mezzo dell’identificazione proiettiva, e di elaborarle in una forma che la psiche del neonato possa quindi reintroiettare e assimilare.

La teoria bioniana del pensiero ipotizza che l’esperienza non può diventare pensabile, né in modo conscio né in modo inconscio, se non è trasformata in rappresentazioni elementari (gli elementi alfa) per opera di una funzione psichica chiamata dapprima lavoro del sogno alfa e successivamente, com’è più noto, funzione alfa.

Con la reverie la madre mette la propria funzione alfa al servizio di quella, ancora immatura, del bambino.  Le inevitabili frustrazioni nel rapporto col seno scatenano nel neonato sensazioni angosciose di morte incombente, che soltanto dopo essere state contenute e metabolizzate nella mente della madre possono venire assimilate come una tollerabile paura di morire.

Insieme alle proprie esperienze emotive rese pensabili, il bambino introietta così un oggetto accogliente e comprensivo col quale identificarsi, sviluppando via via la sua capacità di pensare.

Non trovando un’ adeguata accoglienza che dia senso alle sue proiezioni, per gravi carenze della reverie materna, il bambino rischia invece di reintroiettare un terrore senza nome, non integrabile nella sua personalità in via di sviluppo.

Il modello astratto e unipersonale della funzione alfa acquista, declinandosi nella reverie, uno spessore affettivo e relazionale.

Per Bion, infatti,  la reverie consiste in uno stato mentale aperto alla ricezione di tutto ciò che proviene, mediante l’identificazione proiettiva, da un oggetto amato.

Con la reverie la madre provvede al bisogno di amore e di comprensione del bambino, così come con il latte provvede al suo nutrimento. Se non fosse associata all’amore per il bambino o per suo padre, sottolinea Bion, la reverie materna non sarebbe davvero tale e non potrebbe espletare il suo effetto per la crescita psichica.

Il riferimento al legame con il padre come terzo sta anche a significare che l’intimità del contatto emotivo nella reverie non equivale a una esperienza fusionale che isola la madre dai suoi oggetti interni e dal mondo esterno.

Ciò che importa è la qualità di questi legami e la loro maggiore o minore adeguatezza a garantire nella mente della madre uno spazio insaturo, aperto ad accogliere la specificità del neonato e ad offrirgli un riconoscimento simbolico originale, non troppo vincolato alla mentalità del gruppo di appartenenza (Gaburri e Ambrosiano, 2003).

Il concetto di reverie così inteso viene poi impiegato, già dallo stesso Bion, anche per definire l’assetto mentale dell’analista in seduta.

Disponendosi all’ascolto con la mente il più possibile sgombra da memoria e desiderio (così come Bion riformula il principio freudiano dell’attenzione fluttuante) l’analista si rende ricettivo verso le emozioni trasmesse dall’analizzando mediante l’identificazione proiettiva, in attesa che il lavoro della propria funzione alfa produca in lui rappresentazioni spontanee da cui potranno scaturire forme adeguate di comprensione e interpretazione.

Viene così valorizzata quale preziosa risorsa per la cura analitica l’attività di pensiero onirico della veglia, che è in continuo svolgimento come metabolismo basale dell’esperienza emotiva e che l’analista si dispone a utilizzare nel setting a beneficio del paziente.

Nella mente dell’analista in stato di reverie affioreranno, ad esempio, immagini visive ma anche rappresentazioni acustiche o di altri registri sensoriali, più o meno organizzate: da semplici flash istantanei a sequenze narrative di varia durata (Ferro, 2010).

L’ adeguatezza di tali contenuti psichici emergenti a trasformare in pensieri le emozioni vissute dall’analizzando non è, comunque, garantita in partenza e va verificata attraverso un’elaborazione che impegna varie componenti dello spettro mentale dell’analista, dalla polarità ricettiva-sognante a quella investigativa-razionale (Riolo, 1983).

Non tutti i fenomeni descrivibili come reveries sono prodotti della funzione di reverie intesa nel senso bioniano del termine.

A differenza di quanto accade per i sogni notturni, scanditi dal confine sonno/veglia, non esiste alcun criterio immediato per distinguere le manifestazioni della reverie da altri contenuti mentali dell’analista, non necessariamente derivati dal contatto emotivo con l’analizzando.  Il valore di tali rappresentazioni si chiarirà soltanto attraverso gli ulteriori scambi comunicativi nella coppia analitica (Ogden, 1997).

L’effettivo funzionamento clinico della reverie si basa dunque su una  cooperazione intersoggettiva, conscia e inconscia, tra analista e analizzando.

BIBLIOGRAFIA

Bion W.R. (1962a). Una teoria del pensiero. In: Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. Roma, Armando, 1970.

Bion W.R, (1962b). Apprendere dall’esperienza. Roma, Armando, 1972.

Ferro A. (2010). Tormenti di anime. Milano, Cortina.

Gaburri E., Ambrosiano L. (2003). Ululare con i lupi. Conformismo e rêverie. Torino, Bollati Boringhieri.

Ogden T. (1997). Rêverie e interpretazione. Roma, Astrolabio, 1999.

Riolo F. (1983). Sogno e teoria della conoscenza in psicoanalisi. Riv.Psicoanal., 29, 279-295.

Vocabolario Treccani online,  http://www.treccani.it/vocabolario/

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