Identificazione
A cura di Gemma Zontini
L’identificazione si può definire come un processo psichico mediante il quale un soggetto acquisisce una qualità, un tratto, una funzione che appartengono ad un’altra persona trasformando sé stesso, totalmente o parzialmente, sul modello di quest’ultima. E’ un meccanismo psichico centrale per la costituzione ci quella che comunemente viene chiamata identità personale.
L’identificazione, anche nell’uso comune del termine, ha una valenza attiva (si identifica una classe di oggetti, si identifica una persona per esempio attraverso un suo documento personale, etc.) e una valenza passiva che più strettamente corrisponde al meccanismo psicologico sopra definito (Lalande 1971).
A ciò va aggiunta l’opportunità di distinguere l’identificazione secondo il senso, il verso, cui essa si conforma. Così, esistono identificazioni centrifughe, in cui un soggetto identifica l’altro alla propria persona e identificazioni centripete in cui il soggetto identifica sé stesso con un’altra persona. Talvolta nello stesso meccanismo identificatorio sono presenti entrambi i vettori: questo sembrerebbe essere ciò che accade nelle identificazioni presenti nei gruppi e nelle masse umane.
Il concetto di identificazione, già a partire dalla riflessione freudiana (Freud 1921, comporta alcune problematiche ad esso strutturalmente inerenti.
Relativamente a tali problematiche, è da sottolineare in primis il legame tra identificazione e investimento oggettuale.
Infatti, l’identificazione può 1) rappresentare una forma originaria di legame affettivo con l’oggetto. Si tratterebbe qui di un’identificazione primaria, preedipica che si compie in presenza dell’oggetto (Freud 1921). Oppure può 2) rappresentare un sostituto costituito nell’Io (e in questo senso narcisistico) di un legame oggettuale abbandonato. In tal caso, si parla di identificazioni secondarie conseguenti al tramonto del complesso edipico che si compiono in assenza dell’oggetto (Freud 1922). Possono, poi, 3) esistere identificazioni che non hanno a che fare con l’investimento libidico dell’oggetto, ma con la presenza di uno o più elementi comuni tra soggetti, come accade nei casi di “contagio” isterico Freud 1921, Gaddini 1969). Infine, l’identificazione può 4) avere a che fare con l’acquisizione di aspetti ideali in cui tratti dell’oggetto possono concorrere alla costituzione dell’Ideale dell’Io o l’oggetto in sé può essere messo al posto dell’Ideale dell’Io (tipo di identificazione maggiormente visibile nei gruppi e nelle masse). Anche in quest’ultimo caso, l’elemento di investimento libidico dell’oggetto sembra essere in secondo piano nel processo identificatorio (Freud 1921), riguardo al quale sarebbe piuttosto in primo piano la problematica sublimatoria.
A titolo di esempio di questo tipo problematicità inerente il rapporto tra identificazione e relazione oggettuale, propongo qualche spunto di riflessione sul concetto identificazione primaria. Essa viene descritta da Freud (1921) come una forma arcaica di relazione con l’oggetto che avvia e addirittura precede la scelta dell’oggetto da investire libidicamente. La problematicità di un simile concetto sta, ad esempio, nel concepire che ci possa essere un rapporto identificatorio con oggetti che appartengono all’ordine della filogenesi e non dell’ontogenesi, oggetti che, dunque, appartengono al passato della specie e non dell’individuo e che funzionano non come oggetti di piacere/dispiacere ma come modelli del percorso di ominazione. Questo problema è particolarmente presente nel concetto di identificazione al padre della propria personale preistoria (Freud 1922). Sempre a titolo di esempio, un’altra problematica concernente il rapporto tra identificazione e investimento oggettuale si ritrova nel concetto di identificazione proiettiva (Klein 1946). In essa il presupposto per la messa in atto dell’identificazione è il riconoscimento precoce di un oggetto percepito come altro da sé. In altri termini, l’oggetto come altro separato e diverso viene posto all’inizio della vita psichica e non al termine di un percorso evolutivo che culmina con il complesso edipico. Quest’ultimo, piuttosto, viene conseguentemente antedatato. Va infine anche notato che questo elemento di posizionamento in epoche più o meno precoci dello sviluppo psichico del riconoscimento della separatezza dell’oggetto condiziona a sua volta il vettore centripeto (qualcosa dell’oggetto viene portata nell’Io) o centrifugo (qualcosa dell’Io, del soggetto, viene esportato nell’oggetto), che è consustanziale al processo identificatorio.
Un altro tipo di problematicità intrinseca al concetto di identificazione è quella concernente il rapporto che intercorre tra l’identificazione e altri meccanismi difensivi e/o costitutivi dello psichico: che tipo di rapporto l’identificazione contrae con l’incorporazione, che sembra rappresentarne in un certo senso la controparte, il modello somatico (Freud 1912, Abraham 1924)? E con l’introiezione, che, a sua volta, sembra costituire la controparte psichica dell’incorporazione, il modello psichico rappresentativo del modello somatico incorporativo? Quindi, dove può risiedere o cosa può stabilire una differenza tra incorporazione, introiezione e identificazione? Freud, del resto, per molti riguardi usa i termini introiezione e identificazione in maniera piuttosto intercambiabile, mentre Ferenczi (1909) e Abraham (1924) ignorano quasi totalmente il termine identificazione a favore quasi esclusiva dell’uso del termine introiezione.
Per chiarire questo livello di problematicità, può essere utile approfondire il rapporto che l’identificazione contrae con l’interiorizzazione. L’interiorizzazione è un meccanismo generale che si attiva ogniqualvolta una relazione interpsichica si trasforma in una relazione intrapsichica, sussumendo nella sua processualità tutti i meccanismi che ruotano intorno ad essa (incorporazione, imitazione identificazione)? Oppure l’interiorizzazione è un meccanismo che si attiva come premessa, processo preliminare, dell’identificazione, poiché per mettere a segno un’identificazione è necessario che un oggetto esterno, cioè presente in una relazione esterna, sia stato almeno parzialmente interiorizzato?
Un altro aspetto problematico, poi, è il rapporto imitazione-identificazione (già sopra di sfuggita accennato). L’imitazione sembra essere un meccanismo identificatorio che si attiva molto precocemente, all’alba della vita psichica (Gaddini 1969). Il suo scopo è quello di veicolare il desiderio di tenere in vita un frammento di scena percettiva incluso nella relazione pulsionale con l’oggetto. In assenza dell’oggetto e all’apice della spinta pulsionale, l’imitazione recluta gli stessi schemi senso-motori che furono attivati nell’esperienza pregressa di soddisfacimento ottenuto grazie alla presenza dell’oggetto. E, tuttavia, l’imitazione è presente come dinamica identificatoria anche nella nevrosi isterica ed è evidenziata da Freud (1899) come meccanismo identificatorio costituente il III tipo di identificazione, quello concernente l’identificazione all’altro compiuta attraverso la percezione di un tratto, una situazione, uno stato emotivo comune al soggetto e all’altro/altri. Si tratterebbe in questo caso di una forma identificativa secondaria. Dunque, l’initazione è una forma primaria e arcaica di identificazione, è una forma secondaria ed evoluta di essa, è un meccanismo totalmente diverso, è una componente di un più generale meccanismo identificatorio?
Accenno, infine, al problema concernente la relazione tra identificazioni e strutture psichiche. Un primo problema riguarda l’istanza psichica in cui si compie l’identificazione. Per lo più il processo prende le mosse dall’Es, o meglio dalla sua parte che costituisce il rimosso, poiché l’identificazione si compie secondo una processualità prevalentemente inconscia e poiché essa costituisce un meccanismo difensivo attivato contro la perdita degli antichi oggetti d’amore che, proprio attraverso l’identificazione vengono per sempre conservati. Un punto per certi versi problematico riguarda proprio la struttura in cui il prodotto finale dell’identificazione si deposita, influendo in tal modo sul funzionamento della struttura stessa. Le identificazioni edipiche, ad esempio, secondo la teoria strutturale si depositano nell’Io. Ma contemporaneamente il loro compimento finale trova il suo luogo elettivo nel Super Io (Freud 1922). Ne deriva un rischio di collasso delle due strutture tale da obliterare la loro discernibilità. Per garantire quest’ultima Freud (1922) assegna un certo regime di passività alle identificazioni che si depositano nel Super Io e un regime a maggiore prevalenza di attività a quelle che si depositano nell’Io. Ancora più complesso appare poi il rapporto tra forme arcaiche di identificazione quali quelle che hanno a che fare la filogenesi come l’identificazione al padre della propria personale preistoria (cui ho già accennato in precedenza) e la struttura psichica nella quale esse portano a compimento il loro processo. Esse, infatti, paiono piuttosto identificazioni garanti di un modello su cui strutturare le istanze psichiche piuttosto che identificazioni garantite dalla presenza di una struttura psichica che possa, a sua volta, garantire a tali identificazioni di compiere il loro lavoro psichico.
Certamente, queste note non intendono rappresentare una disamina esaustiva e completa del concetto di identificazione e delle problematiche ad esso connesse. Esse cercano solamente di proporre dei punti di partenza per una riflessione sull’identificazione, la sua complessità concettuale, le criticità più o meno implicite più o meno esplicite che l’uso di un tale concetto comporta.
Bibliografia
Abraham K. (1924). The influence of oral eroticism on character-formation. In Selected papers of Karl Abraham. New York. Basic Books. 1953.
Ferenczi S. (1909). Introiezione e transfert. In Opere. Milano. Cortina. 1989.
Freud S. (1899). L’intepretazione dei sogni. O.S.F. 3.
Freud S. (1912). Totem e tabù: alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici. O.S.F. 7.
Freud S. (1921). Psicologia delle masse e analisi dell’Io. O.S.F. 9:
Freud S. (1922). L’Io e l’Es. O.S.F. 9.
Gaddini E. (1969). Sull’imitazione. In Scritti. Milano. Cortina. 1989.
Klein M. (1946). Note su alcuni meccanismi schizoidi. In Scritti 1921-1958. Torino. Boringhieri. 1978.
Lalande A. (1971). Dizionario critico di filosofia. Milano. Isedi.
Luglio 2016