La Ricerca

Adolescenza (Terapia)

14/10/13
Adolescenza (Terapia)

Keith Haring

A cura di Giuseppe Pellizzari

L’adolescenza per lungo tempo è rimasta ai margini dell’attenzione degli psicoanalisti. Anna Freud la definiva “la Cenerentola della psicoanalisi”. Questo era dovuto al fatto che gli adolescenti sono per loro natura dei soggetti instabili, difficilmente inquadrabili nella patologia tradizionale delle nevrosi. Del resto anche i bambini erano entrati nel campo d’azione della psicoanalisi quasi clandestinamente. Occorrerà aspettare Melania Klein e Donald Winnicott perché alla psicoanalisi infantile venga riconosciuta la legittima cittadinanza analitica.

Nei tempi recenti l’adolescenza è assurta invece ad oggetto privilegiato, capace di convogliare interessi sempre più complessi e articolati. Da “Cenerentola” a “prima donna” dunque?
Il fatto è che l’adolescenza, proprio per la sua natura caratterizzata da incertezze, fragilità, smarrimenti, si presta bene a incarnare lo spirito dell’epoca attuale. Sappiamo che la stessa patologia nevrotica si è profondamente modificata: se un tempo il disagio psichico si concentrava sulla colpa e sulla trasgressione, oggi sembra incentrato quasi esclusivamente su problematiche narcisistiche, che, guarda caso, sono le problematiche tipiche dell’adolescenza.
Vediamo in breve in cosa consistono. Come è noto il processo di crescita dell’individuo trova nel periodo adolescenziale una fase particolarmente critica, poiché tale processo consiste nel passaggio piuttosto repentino dall’infanzia all’età adulta. Il soggetto adolescente incontra tre fondamentali trasformazioni: acquista una massa corporea che modifica i rapporti di forza con i genitori e il mondo adulto in generale (non è più un bambino che possa essere fisicamente costretto a ubbidire, con le buone o con le cattive), diviene sessuato come un adulto ed è in grado di generare a sua volta dei figli, sviluppa una capacità di pensiero ormai matura se non altro nelle potenzialità cognitive. Queste trasformazioni da un lato lo portano ad allontanarsi dalla dipendenza infantile e ad accedere ad un potere adulto, ma contemporaneamente lo destabilizzano rendendolo spesso confuso, instabile nell’umore, a volte incapace di concentrarsi. In una parola lo mettono in una fisiologica crisi d’identità, che può esitare in un conseguimento di un’identità matura, ma anche in fenomeni regressivi più o meno preoccupanti.
Mentre è normale una oscillazione tra momenti di sviluppo e momenti di stasi e di regressione, diventa seria la preoccupazione se vi è un blocco evolutivo o il prodursi di sintomi e di comportamenti che denotino un disagio grave e costante. Si possono considerare tra questi i disturbi alimentari continuativi, le varie forme di ritiro dalla vita sociale, i gravi disturbi psicosomatici, le molteplici forme di dipendenza da sostanze, le condotte autolesive e lo strutturarsi di sintomi ossessivi o psicotici.
I genitori sono chiamati dall’adolescenza dei figli ad un compito spesso assai impegnativo. Hanno ormai perduto l’autorità che possedevano durante l’infanzia dei figli; adesso questi, come spesso si sente dire, “fanno quello che vogliono senza ascoltare”, e sono confrontati su un piano personale con la loro contemporanea “crisi di mezza età”. Forse si può dire che siano costretti a passare attraverso una seconda adolescenza che a volte li spinge ad assumere atteggiamenti altrettanto rigidi e velleitari di quelli dei figli che sembrano sfidarli.
Tutto questo però è anche una grande occasione di trasformazioni positive e di maturazione, sia per i ragazzi che possono riaffrontare nodi irrisolti della loro trascorsa infanzia in un nuovo contesto evolutivo (quella che viene chiamata la “seconda chance”), sia per i genitori che possono, a loro volta, rivisitare il ricordo dell’adolescenza e, per così dire, “completarla”. Il conflitto tra generazioni può diventare una forma feconda, anche se spesso dolorosa, di complementarità. Una complementarità capace di consentire una separazione. L’adolescenza, infatti, è anche un processo di lutto della propria infanzia, che viene perduta senza che ci si possa fare niente, e di distacco dalla dipendenza dai genitori, fastidiosa fin che si vuole, ma anche rassicurante e comoda.

Il trattamento psicoanalitico degli adolescenti, come del resto era avvenuto per quello dei bambini, comporta delle variazioni della cosiddetta tecnica classica dell’analisi. Come è noto i ragazzi mal sopportano le rigidità delle regole e degli atteggiamenti. Pur avendo bisogno di un contenimento che dia loro un senso di solidità e di continuità, occorre una certa elasticità, un ascolto “su misura”, che venga sentito non come applicazione di una regola anonima, ma come la creazione di uno spazio condiviso, del quale l’adolescente si senta non solo partecipe ma corresponsabile. Non deve sentirsi come soggetto passivo di un’indagine mirante a mostrargli le sue debolezze e la sua patologia, ma come una persona in difficoltà che ha l’occasione di trasformare tale difficoltà nel vantaggio di un’esplorazione di sé molto impegnativa ma affascinante. E’ indispensabile che il terapeuta più che “curare” un giovane malato, intenda stimolarne la creatività, insita in ogni disagio affettivo come una potenzialità nascosta.
Certe caratteristiche tecniche del trattamento analitico (il Setting, il numero delle sedute, il tipo di interpretazioni, l’uso del lettino) devono quindi essere sottoposte ad un’elasticità particolare, frutto dell’inventiva e della capacità di improvvisazione che sono gli aspetti specifici di questo tipo di intervento terapeutico.
Un’ultima osservazione riguarda il particolare interesse che lo studio dell’adolescenza riveste nell’attualità. Comprendere la ricchezza e la complessità della “mente adolescente” vuol dire avvicinarsi ai processi che caratterizzano nel bene e nel male le grandi trasformazioni che rendono così inquieta la nostra epoca.

Ottobre 2013

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