Una delle domande alle quali la ricerca empirica sulla psicoterapia sta cercando di trovare una risposta è: quali sono gli “ingredienti” della terapia psicodinamica che producono i cambiamenti?
Uno degli “ingredienti” centrali nelle terapie psicodinamiche e psicoanalitiche è considerato da sempre l’interpretazione di transfert.
Eppure poche ricerche sinora si sono occupate di verificare la centralità dell’interpretazione di transfert come agente di cura. Esiste una correlazione tra presenza di interpretazioni di transfert e outcome? L’interpretazione di transfert produce effetti a lungo termine?
Due studi condotti da un gruppo di ricercatori norvegesi, pubblicati nel 2006 e 2008 sull’American Journal of Psychiatry, hanno cercato di dare una risposta a questa annosa questione.
Høglend P., Amlo S., Marble A., Bøgwald K.P., Sørbye O., Sjaastad M.C., Heyerdahl O. (2006). Analysis of the patient-therapist relationship in dynamic psychotherapy: an experimental study of transference interpretations. Am.J.Psychiatry,163(10):1739-1746.
Høglend P., Bøgwald K.P, Amlo S., Marble A., Ulberg R., Sjaastad M.C., Sørbye O., Heyerdahl O., Johansson P. (2008). Transference Interpretations in dynamic psychotherapy: do they really yield sustained effects? Am.J.Psychiatry,165 (6): 763-771.
Nel primo studio gli Autori, Høglend e coll.(2006) partono dalla considerazione che sinora solo 9 studi sperimentali hanno esplorato l’efficacia delle interpretazioni di transfert nella terapia breve, e nessuno di questi ha utilizzato un disegno di ricerca sperimentale. Gli Autori hannoutilizzato un disegno randomizzato controllato (randomized controlled trial, RCT) in cui 100 pazienti sono stati assegnati casualmente a due tipologie di trattamento psicodinamico a breve termine (1 anno) con frequenza settimanale. I due tipi di terapia si differenziavano in particolare per l’uso dell’interpretazione: una si basava su una moderata interpretazione di transfert (1-3 interventi per seduta), definita come un’interpretazione esplicita della relazione in atto del paziente con il terapeuta; l’altra si basava su interventi che ponevano attenzione sulle relazioni del paziente al di fuori del contesto terapeutico, interpretando pattern, conflitti e fantasie emerse in quel contesto e senza alcun riferimento alla relazione terapeutica in atto. I risultati non hanno mostrato alcuna differenza significativa nelle misure di outcome (funzionamento psicodinamico, problemi interpersonali, valutazione globale del funzionamento) tra i due gruppi di pazienti. Tuttavia, il risultato interessante riguarda la considerazione di una variabile moderatrice, ovvero la tipologia di relazioni oggettuali. Sulla base della considerazione di questa variabile i pazienti sono stati ulteriormente suddivisi in due sottogruppi: pazienti con relazioni oggettuali meno mature vs pazienti con relazioni oggettuali più mature. Come osserva Gabbard, la mitologia psicoterapeutica dice che “the rich get richer”, ovvero che solo i pazienti con migliori risorse psichiche e relazioni più mature sarebbero in grado di beneficiare delle interpretazioni di transfert. Eppure Høglend e coll. hanno osservato che i pazienti che presentavano un quadro di relazioni oggettuali più povere beneficiavano in misura maggiore della terapia basata sulle interpretazioni di transfert. In altre parole, i due trattamenti non sono di per sé uno più o meno efficace dell’altro, ma lavorano attraverso processi diversi che possono essere più o meno efficaci per pazienti diversi.
Nell’Editoriale del numero dell’Am.J.Psych. in cui è pubblicata questa ricerca G.O.Gabbard si domanda “Quando l’interpretazione di transfert è utile nella psicoterapia dinamica?” (When is transference work useful in dynamic psychotherapy?). Egli osserva che di solito i pazienti che presentano un quadro di relazioni oggettuali più francamente disturbate sono affetti da patologie di Asse II, ovvero da disturbi di personalità per lo più dell’area borderline. Per questo tipo di patologia alcuni Autori (Bateman e Fonagy) hanno dimostrato l’efficacia del trattamento basato sulla mentalizzazione, un trattamento che evita esplicite interpretazioni di transfert, ritenute portatrici di un carico di ansia eccessivo per il paziente; altri Autori (Kernberg, Clarkin e coll.) invece hanno dimostrato che gli interventi più efficaci con questo tipo di pazienti sono proprio quelli focalizzati sul transfert (vedi la Transference-Focused Psychotherapy, TFP). A questo punto Gabbard si domanda: come è possibile tenere insieme risultati così diversi? Secondo Gabbard bisogna considerare alcuni altri aspetti parzialmente ignorati dai ricercatori in questione e in particolare: 1) il timing dell’interpretazione. Non è tanto o soltanto importante il focus dell’interpretazione (transfert vs non-transfert), quanto il QUANDO. Le interpretazioni di transfert, infatti, hanno un grande impatto, sia in negativo che in positivo, sull’alleanza terapeutica, e dunque sono degli interventi ad alto rischio ma anche ad alto risultato (high risk high gain). È possibile, dunque, che sia importante creare PRIMA un clima di accettazione empatica, di supporto e validazione, affinché il paziente possa DOPO accettare l’interpretazione di transfert; 2) il fatto che pazienti diversi rispondano in modo diverso a differenti elementi del processo terapeutico. Ad esempio Blatt (1992) osserva che ci sono dei pazienti “introiettivi” che rispondono meglio alle interpretazioni rispetto a pazienti definiti “anaclitici” che rispondono meglio alla relazione di per sé. Gabbard osserva infine che nonostante alcuni limiti e il bisogno di repliche sperimentali, la ricerca di Høglend e coll. indirettamente supporta l’idea che l’attenzione all’alleanza terapeutica sia cruciale per lo sviluppo del processo terapeutico. I pazienti che hanno povere relazioni oggettuali potrebbero avere consistenti difficoltà a vedere il terapeuta come una figura affidabile e utile. L’interpretazione di transfert pertanto in questi casi potrebbe aiutare a modificare le distorsioni transferali migliorando di conseguenza l’alleanza terapeutica: è questa, in ultima analisi, a sostenere il processo terapeutico consentendo a paziente e analista di lavorare in modo collaborativo.
Il secondo studio, del 2008, riprende il lavoro presentato nel 2006, e valuta la stabilità nel tempo dei risultati ottenuti attraverso misurazioni successive dopo 1 e 3 anni dalla fine del trattamento. Gli Autori mostrano come i risultati ottenuti attraverso la terapia basata sull’interpretazione di transfert nel sottogruppo dei pazienti con relazioni oggettuali povere siano stabili nel tempo. In particolare gli Autori evidenziano che i pazienti del sottogruppo con povere relazioni oggettuali e trattati senza interpretazioni di transfert, nei 4 anni successivi alla fine del trattamento (a parità di altre condizioni quali life events e uso di antidepressivi) avevano consultato in numero significativamente maggiore un professionista della salute mentale e avevano fatto ricorso nuovamente ad una psicoterapia. Anche questa ricerca, che possiamo considerare un’estensione di quella precedente, oltre a confermare l’equivalenza, quanto a efficacia, dei trattamenti che utilizzano l’interpretazione di transfert rispetto a quelli che non ne fanno uso, mostra che l’interpretazione di transfert utilizzata con pazienti con scarsa organizzazione delle relazioni oggettuali non solo, come abitualmente si crede, non è controindicata, ma è anzi associata a esiti migliori rispetto a quanto atteso.
Per una ulteriore discussione di questi dati v. anche Høglend et al. 2011 e Høglend & Gabbard 2012.
Høglend, P; Hersoug, A.G.; Bøgwald, K.P.; Amlo, S.; Marble, A.;, Sørbye, Ø.; Røssberg, J.I.; Ulberg, R.; Gabbard, G.O.; Crits-Christoph, P. (2011). Effects of transference work in the context of therapeutic alliance and quality of object relations. J.Consulti.Clin.Psychol., 79(5): 697-706.
Høglend, P. & Gabbard, G.O. (2012). When is transference work useful in psychodynamic psychotherapy? A review of empirical research. Chapt. 26 In Levy, R. A., Ablon, J. S., & Kaechele, H. (Eds.). Psychodynamic Psychotherapy Research: Evidence-Based Practice and Practice-Based Evidence. NY, NY, Springer Press. (v. recensione)
(a cura di Irene Sarno)