La funzione paterna è molto discussa sia per la ricerca di una sua definizione adeguata alle condizioni socio-economiche-culturali attuali, sia per il crollo di stereotipi che l’hanno caratterizzata in passato. Cosa significa essere un genitore maturo? Gli adolescenti hanno bisogno di sentire, di vedere, di toccare l’autorevolezza genitoriale – anche quella materna – e rimangono irritati dal vuoto richiamo ad un ideologico rispetto: “Io sono tuo padre!”. L’adolescente può restare silenzioso di fronte ad una affermazione di questo tipo ma sappiamo nel corso delle analisi, quanta tristezza, disorientamento, dolore e rabbia lo pervadono. La settima seduta di Alice segna una conclusione, non la conclusione. Si congedano e il dottor Mari infatti lascia aperta la porta alla prosecuzione dopo tutto l’intenso e appassionato lavoro svolto. Un po’ incauto – per non dire poco terapeutico – il dottor Mari ad accogliere un paziente, adolescente e femmina con due palloncini rossi a forma di cuore. Gesto generoso di fronte all’angoscia di morte, di non esistere, che ha permeato le sedute di Alice. L’agire del terapeuta – offrirle quel regalo – sembra proporre una sponda, un salva-gente, per non affondare. Di fronte al rischio di suicidio di un adolescente possiamo però scandalizzarci per un gesto tecnicamente poco ortodosso del terapeuta come offrire quel regalo così carico di seduttività?
Il dottor Mari e Sergio il padre di Alice, due uomini a confronto: una funzione paterna – il terapeuta – e il padre – quale funzione paterna?-. Alice incontra il padre davanti allo studio dell’analista e gli dice: “Devo andare, ho la seduta”. È curioso come adolescenti svogliati nella vita si appassionino, si impossessino dello spazio e del tempo dell’analisi: sembra un paradosso ma la sensazione per il paziente dell’importanza del rapporto con l’inconscio attraverso la relazione con l’analista costituisce una delle forze terapeutiche nel trattamento psicoanalitico. Alice porta il padre in seduta ma quando li vede, l’analista dice – tecnicamente corretto – che ne deve prima parlare con la paziente e propone un incontro successivo. Il padre non capisce il problema, ma come può capire? Così, arrabbiato, resta fuori. Poi torna. Alice lo fa entrare. Il dottor Mari resta in silenzio, contiene e permette a padre e figlia di confrontarsi. Il padre diviene consapevole di qualcosa che inconsciamente temeva: le spinte suicidali della figlia. Le braccia ingessate di Alice fanno pensare alla sua rabbia, alle botte non date al padre perché oltre che essere stato latitante è un padre non in grado di “sopravvivere” agli attacchi rabbiosi della figlia, una sopravvivenza che è una funzione genitoriale. Di fronte al dolore di Alice, patetico, Sergio elenca le cose che ha fatto per la figlia come i coniugi fanno in occasione delle separazioni. Ma Alice è la figlia, non la moglie. Alice ha bisogno di fargliela pagare per la sua latitanza affettiva, paterna: riesce intanto a fargli pagare le sedute. Quando dice al dottor Mari, riferendosi al padre “Fallo entrare” significa che è riuscita a tollerare la rabbia e il dolore grazie al lavoro terapeutico che ha svolto, al “corpo a corpo” con l’analista. “Non ci dovrebbe essere una legge che obbliga i genitori ad amare i figli?” chiede Alice. Il padre non sarà cambiato dopo la seduta ma Alice sì e il dottor Mari può vedere dalla finestra che padre e figlia vanno via insieme. Per poter accedere ad un sufficiente livello di serenità un adolescente ha bisogno anche di poter tollerare, dopo un non facile percorso, i limiti dei genitori senza essere sopraffatto, senza essere costretto a precipitare nell’agire.
15 maggio 2013
Post Scriptum
Tutti i colleghi che hanno commentato gli episodi di Alice vogliono complimentarsi con Irene Casagrande che l’ha così ben interpretata. Non era facile reggere la parte, specie se confrontata con le ormai famose attrici che l’avevano preceduta. All’inizio, anche per noi non è stato facile. È stato un po’ come quando un paziente nuovo prende il posto e l’ora che erano di un altro. Poi, piano piano, Irene ha preso e tenuto magistralmente il suo posto e quello di Alice. In certi momenti ci è sembrato davvero di avere di fronte una o uno di quei battaglieri adolescenti che ogni giorno abitano con noi i nostri studi…non poi così tanto diversi da quelli che incontriamo in metrò, per strada…o a casa nostra!
Fabrizio Rocchetto
LA SERIE TELEVISIVA
Un terapeuta, nel suo studio, incontra un paziente diverso ogni giorno, dal lunedì al giovedì. Il venerdì va a parlare di se stesso da una collega. Qualche accenno alla sua famiglia e alla sua vita. La stessa sequenza ripetuta per sette settimane.. Tutto qui. Non sembrerebbe qualcosa che possa stimolare grandi interessi e alta audience… Eppure quando Bi Tipul, la versione originale ideata e girata in Israele nel 2005, venne trasmessa in TV fu subito un grande successo. Seguita da una seconda serie sempre in Israele, da tre negli USA (In Treatment, a partire dal 2008) e da 13 diverse realizzazioni in differenti nazioni, ha raccolto premi e riconoscimenti ovunque nel mondo, contribuendo ad una diversa rappresentazione dello psicoterapeuta e della sua professione…
Seguite, insieme a noi, la versione italiana della serie; con dei commenti settimanale scritti da psicoanalisti della S.P.I.