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L’ Annata Psicoanalitica Internazionale n. 9/2017

28/10/17
Annata Psicoanalitica Internazionale, 9/2017, a cura di Paola Golinelli, Giovanni Foresti e collaboratori, Fioriti, Roma (2017)

Giovanni Fioriti Editore

L’Annata Psicoanalitica Internazionale  N.9/2017

Presentazione

Il nono volume dell’Annata Psicoanalitica Internazionale propone, come gli altri testi di questa serie, una selezione di articoli pubblicati dallo International Journal of Psychoanalysis. Anche nel caso di questa edizione, lo scopo della raccolta è di mettere a disposizione dei lettori italiani gli articoli più importanti della letteratura psicoanalitica contemporanea ovviando, nei limiti del possibile, alle difficoltà che sono poste dalle barriere culturali e linguistiche.

In questo volume si trovano articoli che erano stati pubblicati dall’IJP nel corso del 2014 e del 2015, scelti da un gruppo di analisti della Società Psicoanalitica Italiana per la loro originalità concettuale e per la loro rilevanza clinica.

Il libro risulta da un lavoro di gruppo tanto semplice quanto rigoroso: un va-e-vieni a più mani fra il testo e la cultura/lingua di partenza e il testo e la cultura/lingua d’arrivo. La prima versione in italiano è di Isabella Negri, una delle traduttrici più competenti e note nel nostro campo d’attività. Gli analisti che hanno successivamente rivisto i lavori originari, adoperandosi per migliorare l’accuratezza e l’efficacia dei testi, sono Paola Golinelli, Giovanni Foresti, Cinzia Lucantoni, Paola Marion, Andrea Marzi, Diana Norsa e Laura Ravaioli.

Indice

 

Introduzione dei Curatori                                                                                           7

Il ‘troppo’ dell’eccitazione. La sessualità vista alla luce
dell’eccesso, dell’attaccamento e della regolazione affettiva

Jessica Benjamin e Galit Atlas                                                                                 15

Concettualizzare la scissione: i diversi significati della scissione
e le loro implicazioni per la comprensione della persona e
del processo analitico

Rachel B. Blass                                                                                                              44

Trovare la fantasia inconscia nella seduta:
riconoscerne la forma

Catalina Bronstein                                                                                                      65

Realtà esterna e interna: l’impatto dell’attuale
crisi socio-economica sulla coppia analitica

Anna Christopoulos                                                                                                    88

Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD):

un disturbo dell’elaborazione affettiva e del pensiero?

Michael Günter                                                                                                          114

Che cosa impariamo in un training psicoanalitico?

Eike Hinze                                                                                                                    141

 

L’ansia dell’analista nel primo colloquio
come ostacolo alla presenza analitica

Mette Møller                                                                                                                161

Vedere ed essere visti: la vergogna nella situazione clinica

John Steiner                                                                                                                 183

L’‘esistenza vuota’ a confronto con l’‘esistenza annientata’. Differenziazione di due qualità negli stati primitivi della mente

Irit Hameiri Valdarsky                                                                                            199

 

Introduzione dei Curatori

Il nono volume dell’Annata Psicoanalitica Internazionale propone, come gli altri testi di questa serie, una selezione di articoli pubblicati dallo International Journal of Psychoanalysis. Anche nel caso di questa edizione, lo scopo della raccolta è di mettere a disposizione dei lettori italiani gli articoli più importanti della letteratura psicoanalitica contemporanea ovviando, nei limiti del possibile, alle difficoltà che sono poste dalle barriere culturali e linguistiche. Il lavoro è dunque in linea con quello portato avanti dai Curatori delle precedenti edizioni: Nino Ferro e Roberto Basile, insieme ai numerosi e competenti Colleghi che li hanno affiancati e sostenuti per molti anni.

In questo volume si trovano articoli che erano stati pubblicati dall’IJP nel corso del 2014 e del 2015, scelti da un gruppo di analisti della Società Psicoanalitica Italiana per la loro originalità concettuale e per la loro rilevanza clinica.

Il libro risulta da un lavoro di gruppo tanto semplice quanto rigoroso: un va-e-vieni a più mani fra il testo e la cultura/lingua di partenza e il testo e la cultura/lingua d’arrivo. La prima versione in italiano è di Isabella Negri, una delle traduttrici più competenti e note nel nostro campo d’attività. Gli analisti che hanno successivamente rivisto i lavori originari, adoperandosi per migliorare l’accuratezza e l’efficacia dei testi, sono Paola Golinelli, Giovanni Foresti, Cinzia Lucantoni, Paola Marion, Andrea Marzi, Diana Norsa e Laura Ravaioli.

La nota dei curatori ha l’unico obiettivo di presentare una rapida rassegna dei temi trattati dagli Autori degli articoli.

 

Jessica Benjamin e Galit Atlas hanno scritto “Il ‘troppo’ dell’eccitazione. La sessualità vista alla luce della regolazione affettiva”. L’articolo mira a studiare il tema della sessualità umana da una prospettiva innovativa e transdisciplinare. A questo scopo, il loro scritto si avvale di un approccio che integra la teoria dell’attaccamento e la ricerca sulla regolazione affettiva precoce con una nozione che gli Autori ricavano dai lavori di J. Laplanche e di R. Stein: il concetto di un di più, di un ‘troppo’, nella stimolazione emotiva. Il tema trattato è dunque quello dell’‘eccesso’ di eccitamento nelle relazioni primarie: eccesso che la psiche può non riuscire a elaborare. Il risultato è la vasta gamma di processi intra- e inter-psichici che possono ostacolare o distorcere le strutture del desiderio. L’articolo pone l’accento sugli effetti di regolazione affettiva che sono prodotti sia dalla modulazione dell’eccitazione, a monte dei processi d’interazione interpsichica, che dalle funzioni di contenimento a valle dell’incontro con l’oggetto.

 

L’articolo di Rachel Blass è intitolato “Concettualizzare la scissione: i diversi significati della scissione e le loro implicazioni per la comprensione della persona e del processo analitico”. Basato su un’accurata ricostruzione dei significati attribuiti da Freud al tema della scissione, l’articolo distingue con grande chiarezza quattro diverse aree concettuali. Secondo l’Autrice, il vocabolo ‘scissione’ appare univoco solo se lo si esamina da lontano. Quando lo si considera dappresso e ci si propone di chiarirne il significato, esso appare al tempo stesso ineludibile e sorprendentemente sfuggente. Criticando gli Autori che hanno proposto di risolvere il problema espungendo il concetto dall’archivio psicoanalitico (ad esempio, Pruyser: uno psicoanalista statunitense di orientamento winnicottiano), Rachel Blass discute il tema con un approccio davvero innovativo e propone la seguente categorizzazione:

la scissione come dissociazione;

la scissione come rinnegamento;

la scissione delle rappresentazioni psichiche;

la scissione dell’esperienza degli oggetti e della mente.

Sebbene le linee divisorie tra queste categorie non siano così nette, l’Autrice sostiene che è però a esse che si deve fare riferimento per orientarsi nei discorsi psicoanalitici che tematizzano il campo di manifestazioni cliniche della ‘scissione’.

 

L’articolo “Trovare la fantasia inconscia nella seduta: riconoscerne la forma” è stato scritto da Catalina Bronstein: psicoanalista di origine argentina che, dal 2016, è Presidente della British Psychoanalytic Society. Il tema dell’articolo è una nozione centrale della tradizione kleiniana e post-kleiniana: le fantasie inconsce primitive e il ruolo che esse hanno nel determinare la vita psichica. A partire da una rilettura delle Autrici che più si sono occupate delle fantasie come organizzatori inconsci dell’esperienza (nell’ordine la Klein, la Isaacs, la Segal e la Kristeva), Catalina Bronstein sviluppa un’ordinata e didattica modellizzazione del concetto, e poi mostra come se ne serve per comprendere e trattare un caso clinico. L’articolo mira a illustrare come le fantasie inconsce possano evolvere nella situazione analitica, esprimendosi innanzitutto come esperienze sensoriali e ‘metafore incarnate’ (aspetti preverbali delle funzioni simboliche che influenzano tacitamente la vita psichica dell’analista), per poi manifestarsi come disposizioni semiotiche preconsce (più facilmente comprensibili e verbalizzabili) e articolarsi infine in forme simboliche che diventano via via più differenziate e plastiche.

Anna Christopoulos ha scritto “Realtà esterna e interna: l’impatto dell’attuale crisi socio-economica sulla coppia analitica”. L’articolo descrive e discute gli effetti della situazione economica e culturale attuale sullo spazio psichico dell’analista e dell’analizzando. Tema sempre presente nella riflessione sul metodo clinico e sul setting psicoanalitico, il nesso fra realtà esterna e realtà interna è messo in tensione in maniera acuta e inedita dalla congiuntura sociale nella quale operiamo. Cosa succede quando un paziente dichiara che non può più pagare? Che effetti produce nella coppia analitica questa ‘realtà’ esterna e il modo in cui essa viene vissuta e presentata? L’Autrice sostiene che una delle finalità fondamentali dell’analisi è aiutare il paziente a distinguere i fattori che possono essere ricondotti all’influenza della realtà interna da quelli che devono essere compresi solo come conseguenza della realtà esterna. Pur ricordando le aporie evidenziate nella letteratura psicoanalitica dall’ineludibile complessità dell’intreccio interno/esterno, Anna Christopoulos sostiene che i molteplici significati della crisi possono essere analizzati e integrati, e che il rischio di enactments controtransferali può essere previsto, compreso e contenuto. La sua attenzione si concentra in particolare sul significato del denaro e sulle molteplici valenze che esso può assumere, per l’analista e per l’analizzato, in un contesto caratterizzato dalla perdita degli ideali sociali fondamentali (responsabilità, onestà e affidabilità) e dall’emergenza di dilaganti pratiche antisociali (avidità, corruzione, sfruttamento).

 

Michael Günter è l’Autore al quale si deve l’articolo che propone una prospettiva psicoanalitica su un disturbo psichico, caratteristico dell’infanzia e dell’adolescenza, che oggi viene spesso diagnosticato. Il titolo dello studio è “Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD): un disturbo dell’elaborazione affettiva e del pensiero?” e chi l’ha scritto è Direttore del Dipartimento per la Psichiatria e la Psicoterapia dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Università di Tubinga, in Germania. La prima parte del lavoro è un’accurata revisione dei dati a disposizione su quest’ampia e non ancora ben compresa categoria di disturbi. A tutt’oggi, scrive Günter, questa è “la diagnosi psichiatrica più diffusa nell’infanzia e nell’adolescenza”. Dato che non è ancora chiaro se il costrutto nosologico sia davvero giustificato (per via dell’eterogeneità delle manifestazioni, della variabilità del decorso e della complessità dei dati biologici e clinici), l’Autore ipotizza che la popolarità della diagnosi di ADHD sia da intendere come un indicatore dei cambiamenti culturali indotti dallo sviluppo delle società industriali occidentali. Come il disturbo borderline della personalità, l’ADHD potrebbe essere “un paradigma dei nostri tempi”: una via finale comune di espressione del disagio più che un’entità nosologica davvero valida come tale. Per affrontare lo studio di questo problema, Günter ricorre al materiale che ricava dal lavoro clinico con un bambino di nove anni trattato con cadenza bisettimanale: Lukas. L’ipotesi che l’articolo discute è che l’ADHD sia da ricondurre a tre aree di problemi relazionali e di difficoltà di sviluppo: difese in reazione a precoci disturbi nelle relazioni oggettuali; disturbi nella possibilità di triangolazione edipica; esperienze traumatiche e condizione di stress emotivo cronico. Mentre sul piano psicopatologico ed evolutivo il disturbo si presenta come un “fenomeno con possibili cause diversificate” e come “confluenza finale di una gamma limitata di reazioni a compromissioni diverse”, sul piano dell’osservazione psicoterapeutica e della risposta al trattamento le ipotesi dell’Autore sono orientate con maggior precisione. “Il mio punto di vista rispetto alla tecnica terapeutica […] sembra essere in linea con la prospettiva di Salomonsson” (vedi infra), scrive l’Autore. “La difficoltà del lavoro analitico con questi pazienti – conclude – sta nel trovare, con loro, un modo per ri-sviluppare L, H e K […] cioè un modo per giungere a esperire l’amare, l’odiare e il conoscere in relazione agli oggetti e un modo per rendere sopportabili le paure che nascono in questo processo”.

 

“Che cosa impariamo in un training psicoanalitico?” è l’efficace domanda che dà il titolo al lavoro di Eike Hinze, un analista berlinese che ha operato per diversi anni nel gruppo di lavoro della FEP dedicato alla valutazione degli effetti del training (ETEP). Le conclusioni che propone sono rese particolarmente interessanti dal fatto che sarebbero indipendenti dall’orientamento teorico degli analisti che hanno cooperato alla ricerca e dunque relativamente obiettive e facilmente condivise: common ground o “teoria psicoanalitica fondamentale” (secondo una molto citata definizione di Fonagy) e non materia eternamente controversa.

Gli elementi ritenuti imprescindibili, affinché il training analitico possa dirsi concluso con successo, sarebbero per l’Autore i seguenti:

la capacità di capire quale sia, in ciascuna seduta, la richiesta emotiva del paziente;

la capacità di intuire quale sia la turbolenza emotiva dalla quale origina la richiesta;

la competenza nel comprendere e nell’utilizzare le ‘libere’ associazioni che emergono in seduta;

l’esperienza maturata nel tentativo di mantenere in equilibrio la neutralità con il coinvolgimento emotivo;

la capacità di concettualizzare ciò che accade in seduta, e in particolare ciò che fa ciascuno dei membri della coppia, in termini di transfert e controtransfert.

Se queste funzioni vengono acquisite solidamente, esse potranno diventare la base di un successivo, ulteriore sviluppo personale. Ma “se mancano o sono acquisite in modo insoddisfacente, il futuro sviluppo di un analista può non andare per il verso giusto” ed esitare in dogmatismo di scuola o in una delle tante varianti del “anything goes” cinico e relativista (cfr. infra).

L’articolo di Hinze aiuta il lettore a mettere a fuoco gli obiettivi complessivi del training e il ruolo specifico che possono svolgere le tre grandi aree di attività postulate dal modello Eitingon (analisi personale, insegnamento teorico e supervisioni). Per chi ha a cuore la riforma degli istituti di training ed è in cerca di nuove metodologie per accrescere l’apprendimento dei candidati, questo scritto si rivelerà senz’altro di grande utilità.

 

L’articolo che per ragioni alfabetiche fa seguito a quello di Hinze – l’Autrice è infatti Mette Møller – si intitola “L’ansia dell’analista nel primo colloquio come ostacolo alla presenza analitica” ed è la logica prosecuzione del precedente. Frutto anch’esso del lavoro di riflessione collettiva avvenuto in uno dei working parties della FEP (WPIP: il working party sul problema di iniziare il trattamento analitico), lo scritto discute le difficoltà che devono essere affrontate dagli analisti al primo incontro con i loro possibili, futuri pazienti. Se poche persone iniziano un’analisi, secondo l’Autrice, lo si deve a fenomeni che possiamo intendere anche come conseguenza del disagio dell’analista ad affrontare un nuovo trattamento. Il fatto da tenere in conto è che l’identità analitica risulta da un insieme di funzioni non facili da acquisire (ecco la continuità con l’articolo precedente) e che si stabilizzano solo dopo molti anni di attività clinica. Il dato contro-intuitivo e da cui prende l’avvio il discorso dell’analista danese è del tutto paradossale. A prescindere dalle caratteristiche dei pazienti e dall’atteggiamento di questi nei confronti dell’analisi, sembra che gli analisti abbiano a loro volta delle resistenze a intraprendere una nuova analisi.

L’articolo della Møller dà grande risalto a un lavoro di Agostino Racalbuto del 2011: uno scritto che paragonava la situazione dell’analista nei primi colloqui con quella che si osserva nel corso delle crisi di identità. Per far fronte alla situazione emotiva dei primi incontri, l’analista deve far ricorso a tutte le competenze necessarie per metabolizzare nuove esperienze, tollerare la confusione fra mondo esterno e mondo interno, riconoscere la compresenza di coscienza ed inconscio, intuire la dinamica che lega transfert e contro-transfert da un lato, intra-psichico e inter-psichico dall’altro. L’intensa e precocissima attivazione dei fenomeni inconsci che si manifestano appena si costituisce il campo della diade analista/analizzando, può rendere molto vulnerabile l’analista e poco recettiva la sua vita psichica. A essere carente è l’atteggiamento ‘concavo’ di cui ha scritto Bolognini (l’attitudine cioè a posporre, accogliere e accettare di non sapere): la carenza della bioniana capacità negativa che, secondo l’Autrice, può far sì che l’analista sia presente, fisicamente, ma assente psichicamente. L’inevitabile lunghezza dei processi formativi (che in larga misura hanno luogo solo dopo il training istituzionale) facilita poi il costituirsi di dipendenze da leader influenti e da teorie forti, dipendenze che facilitano il ricorso a idee sopravvalutate e a conclusioni premature. L’identità psicoanalitica è fragile, conclude l’Autrice. Per questo deve essere curata, sostenuta e alimentata durante tutta la vita professionale.

 

“Vedere ed esser visti: la vergogna nella situazione analitica” è il titolo dell’articolo di John Steiner che è stato scelto per questo volume. L’Autore fa riferimento alle situazioni cliniche osservabili quando il paziente comincia a risolvere lo stato di ritiro difensivo da lui descritto anni fa in un libro che ebbe uno straordinario successo: Psichic Retreats (“Rifugi della mente”). Emergendo da stati di auto-reclusione e segregazione psichica così profondi, il paziente manifesta spesso due paure, correlate e compresenti, che richiedono una comprensione psicoanalitica specifica: quella di vedere più chiaramente gli oggetti e quella di esser visto dagli oggetti.

Secondo Steiner, la costellazione emotiva che l’analista deve affrontare in questi casi è la vergogna. L’articolo ricorre innanzitutto allo studio della fenomenologia della vergogna sviluppato da numerosi artisti (Charlotte Brontë e John Milton, ad esempio) e da psicoanalisti di vario orientamento teorico (Feldman, Mahler, Nathanson, Levine, Schore), e poi illustra il trattamento di due casi clinici servendosi di descrizioni ricavate da tranches del proprio lavoro. Anche se le letture dell’Autore sono ad ampio raggio, i riferimenti concettuali più valorizzati sono rigorosamente scelti nel campo teorico al quale Steiner appartiene, e cioè i contemporary Kleinians della British Psychoanalytic Society: ossia soprattutto Britton e Feldman. Prima di poter affrontare le angosce che sono caratteristiche della posizione depressiva – questa è la tesi di Steiner – occorre che l’analista lavori a lungo e in profondità sulle complicazioni narcisistiche e invidiose che sono in gioco nella genesi della vergogna.

 

Il volume si conclude con l’articolo di Irit Hameiri Valdarsky “L’esistenza ‘vuota’ a confronto con l’‘esistenza annientata’. Differenzazione di due qualità negli stati primitivi della mente”. Il tema affrontato è quello delle esperienze di vuoto esistenziale e delle modalità che gli psicoanalisti possono adottare per comprenderle e trattarle. Secondo l’Autrice, gli analisti si sono prevalentemente dedicati allo studio di ciò che propone di chiamare “esistenza annientata” – una costellazione emotiva che propone di distinguere da forme ancora più radicalmente povere di “esistenza vuota”. Quest’ultima condizione è una forma di non-vita psichica descrivibile come “stato inorganico all’interno dell’organismo”. Si tratta di una dimensione mentale incapsulata in strutture psichiche di diversa gravità e natura, per la quale Irit Valdarsky propone diverse definizioni: “esistenza che manca di ogni esperienza di esistere”, “vuoto infinito senza contorni”, “esistenza a una dimensione”, stato psichico “privo di qualsiasi oggetto interno di un qualche spessore”, mondo interno “privo di ogni forma di rappresentazione viva del proprio stato”. L’esistenza annichilita è, al contrario, un’esperienza di vita catastrofica e terrifica, ma a suo modo dinamica perché tutt’altro che anestetica: penosa. In questi stati della mente, prima del sentimento di crollo e di vuoto qualcosa è stato esperito come esistente, ed è proprio in quanto tale che esso viene sentito come minacciato di cancellazione. Solo ciò che esiste può cessare di esistere. In quest’area dell’esperienza psichica gli oggetti hanno avuto sostanza e hanno occupato spazio, anche se il loro volume è crivellato e la figura è infiltrata da spazi vuoti e aree di minacciosa fuoriuscita.

Secondo Irit Valdarsky, la psicoanalisi ha tentato sin dall’inizio della sua ricerca di descrivere gli stati della mente che definisce ‘esistenza vuota’ (lo stato di completa non-eccitazione che caratterizza gli stati d’inerzia psichica descritti da Freud: ‘Q zero’). Ma è solo con Winnicott e con il suo radicale rifiuto della pulsione di morte, che inizia il lavoro degli analisti per comprendere la specificità delle condizioni della mente che attraversa queste aree limite dell’esistenza. “L’annichilimento per Winnicott – ricorda l’Autrice dell’articolo – non equivale al non-essere, ma alla cessazione dell’essere personale: cioè allo sviluppo di una forma di falso Sè” (cfr. infra). La ricerca si avvale della descrizione di un caso clinico esemplare, Jasmine, e di una ricchissima rassegna di ricerche ricavate dalla tradizione britannica e francese.

Per Irit Valdarsky, “l’esistenza annientata, per quanto terrificante, è un privilegio: una sorta di barriera alla desolazione totale del vuoto”. “Perciò – conclude – può servire da difesa contro la terra desolata dell’esistenza vuota”.

 

Ecco: abbiamo finito la nostra nota introduttiva. Buona lettura.

Giovanni Foresti e Paola Golinelli

 

Collana: Psicoanalisi

prezzo: € 32,00

Formato 16×24

Pubblicazione: Marzo 2017 – ISBN: 978-88-98991-43-3

Target: medici, psichiatri, psicologi, psicoanalisti, psicopatologi, psicoterapeuti, operatori socio-sanitari, studenti universitari, pubblico colto

 

 

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