E manifesto del Carloni scrittore, ma anche del Carloni analista, potrebbero essere le parole da lui stesso usate nella bella introduzione al libro di Fara e Cundo Psicoanalisi romanzo borghese: “Scrivere per farsi leggere comporta inevitabilmente una certa dose di narcisismo (…) A [tale] propensione fa da correttivo e da antidoto la disponibilità amorosa di chi scrive (…) Chi ama farsi leggere deve amare il lettore e riuscire, a seconda dei casi, carezzevole, toccante, persuasivo (…) sempre dovrà, per risultare amabile e comunicativo, utilizzare tatto, intuito, pazienza ed empatia: talenti (…) comuni ai buoni scrittori e ai buoni psicoanalisti” .
Di tatto, intuito, pazienza, empatia sono infatti ricche le pagine de La meravigliosa avventura della psicoanalisi il volume che raccoglie 16 dei 159 articoli da lui scritti nel corso del tempo, raggruppati in cinque sezioni, ciascuna curata da una persona a lui particolarmente legata, o perché “figlio analitico” o perché allievo di supervisione. Seguiamo così un itinerario che parte da Psicoanalisi e psichiatria (Magda Mantovani), prosegue con Fiaba e antropologia (Angelo Mario Crisci), Teatro letteratura e cinema, (Filippo Marinelli), La tecnica psicoanalitica (Daniela Nobili) il cui saggio introduttivo, intitolato “Lo stile “amoroso” di uno psicoanalista”, riassume mirabilmente il modo di essere e di operare di Carloni, e si conclude con Nostalgia e vocazione terapeutica di Irene Ruggero. A questo corpus si aggiungono una sorta di appendice con due scritti (Il dono dell’Hilara e Nota introduttiva a Mussolini contro Freud) appena indicativi dei molteplici interessi che animavano Carloni, e un ritratto tanto affettuoso quanto veritiero realizzato da Stefano Bolognini, in cui chi lo conobbe ritrova in tutta la sua vivacità l’autore, coi tratti che lo distinguevano e lo rendevano oggetto di ammirazione, di durevoli affetti, di tenaci tifoserie ma talora, per la sua vitalità assertiva, anche di qualche mugugno.
Completano il volume una accuratissima bio-bibliografia dovuta all’amorosa cura della figlia Elena, e la bibliografia di più di trecento voci a suggerire le sterminate letture di cui si nutriva la cultura enciclopedica di Carloni. Non si potrebbe riassumere il fascino di questo libro meglio di Mariella Schepisi, autrice della prefazione ,che sottolinea come Carloni metta l’accento su quello che vi è di più umano nell’essere umano, “[..] non solo le emozioni, ma i sogni, il senso del mistero, il mondo dei miti, la creazione dei simboli, la poesia e l’arte,[…] contribuendo […] a comprendere e curare la sofferenza degli individui e delle comunità” Una parola a sé merita l’illustrazione che figura sulla copertina del volume. Si tratta di una celeberrima opera di Paolo Uccello, in cui san Giorgio dall’alto di un bianco destriero trafigge con la lancia il drago, un’ignobile sauro alato e sbavante, davanti all’imbocco di un antro, che si intravvede buio e profondo, sotto gli occhi di una longinea figura femminile che alla bestia è legata da un ambiguo laccio (chi tiene prigioniero chi?). Nello studio carloniano, piccolissimo e sobriamente spoglio, campeggiava a lato del lettino di Mies Van der Rohe una riproduzione di questo quadro, lo psicoanalista-santo e guerriero che sconfigge la malattia-drago e salva la dama-paziente in pericolo, sulla soglia di una caverna la cui minacciosa oscurità è simbolo del misterioso mondo dell’inconscio…
La psicoanalisi, prezioso strumento di accesso a tutta la ricchezza che ha origine nel mondo interno, aveva in lui un rappresentante appassionato, che trasmetteva la sua vitalità innamorata della vita, la sua empatia dedita a curare i mali dell’anima, la sua capacità di battersi anche e più in condizioni di avversità, tanto per l’affermazione della parola psicoanalitica quanto per l’impegno etico che dovrebbe animare ogni azione dell’uomo. Niente come quella figura potrebbe introdurre e insieme suggellare meglio il contenuto del libro, a sua volta specchio di un professionista generoso, appassionato, combattivo, intrepido ed abile esploratore dell’incoscio, vero cavaliere senza macchia e senza paura nella difesa del più debole, paladino di quel “bambino mortificato che deve essere rianimato”, che si cela dietro e dentro le sofferenze del paziente.