H.F. SEARLES
Parole chiave:H.F. Searles, Chesnut lodge, Psicoanalisi, Psicosi, Depressione
H.F. SEARLES
(1918-2015)
A cura di L. Masina
Note biografiche
Harold Frederic Searles, psichiatra e psicoanalista statunitense, nacque ad Hancock (New York) nel 1918 e morì a Los Angeles nel 2015 all’età di 97 anni. Trascorse l’infanzia nello stato di New York, nella regione dei monti Catskill, che così ricorda nella prefazione del suo volume “L’ambiente non umano nello sviluppo normale e nella schizofrenia,”
“…Sicuramente, per me, la regione di Catskill, nel nord dello stato di New York, possiede un incanto perenne, una bellezza ed una conferma della bontà della vita che saranno con me fintanto che vivrò.” (1960, XXXI).
Aveva una sorella maggiore di 4 anni; tra le loro due nascite vi era stato un altro fratello, un bambino nato morto, della cui esistenza entrambi seppero solo molti anni dopo, in occasione della scomparsa di uno dei genitori. L’Autore descrive in un volume pubblicato nel 1980 – che consiste in una lunga intervista “auto-analitica” (Souffir, 2005) condotta da Robert Langs – la sua infanzia come traumatica e i genitori come entrambi capaci di incutere paura. (Langs & Searles, 1980).
Ogden (2009) nel riferire di una supervisione svolta con Searles, riporta come questi avesse fatto più volte riferimento “allo sconsolato riconoscimento dell’impossibilità di stabilire un affidabile collegamento […] con la propria madre schizofrenica”. Altrove (1980) Searles descrive le caratteristiche schizoidi e depressive della madre. Del padre, definito, “sciovinista, maschilista e razzista”, riferisce le propensioni suicidiarie, che si concretizzavano nell’angoscia che lo psicoanalista da bambino provava per la vicinanza della casa dell’infanzia alla ferrovia e nel timore che il genitore non rientrasse, quando si recava su un ponte a buttare la spazzatura nel fiume. “Avevo avuto così tanti anni di minacce implicite di suicidio da lui (searles,1980)” e riferisce dei sentimenti di angoscia e dei sensi di colpa provati nei confronti dei genitori. Al contempo, nell’intervista con Langs, accanto alle dure critiche nei confronti del padre, non manca di fornire un ritratto emotivamente denso delle qualità paterne, quali il senso dell’umorismo e la grande abilità di narratore di storie, ricordando come da bambino trascorresse lunghe ore nel suo negozio di abbigliamento, ascoltandone, affascinato, i racconti.
Iniziò gli studi di medicina alla Cornell University e, a proposito di quel periodo, scrive che durante il secondo e il terzo anno di corso “evitò di poco un breakdown schizofrenico” (ibidem,12). A questo proposito, successivamente si espresse così: “Nel periodo degli studi universitari provai un’angoscia così intensa che restai affascinato, e per sempre, da quella cosa arcana e intangibile che è la personalità dell’uomo e mi prese il desiderio di capire le misteriose forze che o la fanno funzionare in modo adeguato o ne determinano la dissoluzione oppure fanno sì che essa si ristrutturi e continui a maturare. Allorchè, nove anni dopo, ebbi finalmente la possibilità di ottenere un ausilio psicoterapeutico sotto forma di analisi didattica, ero consapevole che tale analisi […] mi era necessaria; e non solo per scopi puramente didattici. Posso dire che il vantaggio che ne trassi corrispose ai miei bisogni.” (1965, 19)
Si trasferì nel 1940 ad Harvard e, pur avendo progettato di diventare un internista, durante una turnazione in psichiatria, rimase affascinato da questa disciplina. Scrisse in seguito, “…Sentivo che avrei potuto diventare un internista competente, ma niente di più, mentre la psichiatria mi appassionava.” (1980, 22) (trad.mia) Prestò servizio come medico nell’esercito durante la seconda guerra mondiale e in quegli anni cominciò a leggere Freud e altri testi di psicoanalisi finché, terminato il periodo bellico, decise di diventare psicoanalista.
Prima della guerra aveva sposato Sylvia, laureata in discipline infermieristiche e conosciuta in un reparto di ortopedia del Massachussetts General Hospital. Al termine della guerra, la coppia decise di stabilirsi a Washington D.C. perché Searles era a conoscenza del fatto che vi erano molti analisti in zona e aveva intenzione di intraprendere un trattamento analitico. Il suo analista fu Ernest Hadley, un “analista classico”, come egli lo definì, che aveva avuto un rapporto molto significativo con H. S. Sullivan, nonostante non fosse, secondo quanto l’Autore afferma, un seguace di Sullivan. Della propria analisi con Hadley, alla frequenza di 5 sedute settimanali, fra le altre cose, egli scrisse, “…La mia grandiosità era un aspetto su cui [il mio analista] lavorò molto. Arrivò a chiamarmi, ironicamente, Dio Searles.” (1980, 31).
Al termine dell’analisi regalò ad Hadley, appassionato di cavalli, la statuetta di un toro, regalo che ha così commentato nell’intervista di Robert Langs (1980), “…Penso che il toro esprimesse la mia ostinazione, il mio andare controcorrente, la corrente convenzionale (53) (trad. mia).”
Iniziò in questo periodo a lavorare nella celebre clinica Chestnut Lodge di Rockville, nel Maryland, allora diretta dallo psichiatra Dexter Bullard, dove si integravano le concezioni della psichiatria dinamica con l’approccio interpersonale di H.S. Sullivan. Esercitò a Chestnut Lodge dal 1949 al 1964, divenendo uno dei più originali e creativi teorici e clinici nel trattamento della schizofrenia e dei disturbi borderline.
Completò il proprio training psicoanalitico presso il Washington Psychoanalytic Institute e divenne analista di training nel 1958. In seguito fu consulente psichiatra dal 1962 al 1970 e supervisore dal 1962 al 1978 presso il Bethesda Institute nel Maryland. Dal 1964 insegnò psichiatria alla Georgetown University School of Medicine di Washington ed esercitò al contempo come psicoanalista e psichiatra libero professionista a Washington D.C. Tenne conferenze, seminari e dimostrazioni a scopo didattico di colloqui clinici.
Infine, dopo una lunga carriera, si ritirò dalla professione a metà degli anni ‘90 e si trasferì in California nel 1997.
Alla sua morte ha lasciato 3 figli, 5 nipoti e 8 bisnipoti.
Il lavoro e il pensiero di Searles nel panorama psicoanalitico.
Harold Searles racconta che le sue prime letture psicoanalitiche furono le opere di Freud. In seguito la sua posizione teorica è stata collocata, sulla scia di Sullivan, nell’ambito della cosiddetta psicoanalisi interpersonale. L’Autore stesso ha scritto che ammirava Sullivan e lo riteneva brillante, malgrado la sua “grandiosità”, che era, a suo parere, “enorme” e riconosce il contributo di Sullivan nella genesi del proprio pensiero; tuttavia Langs (1980) ha osservato che, a differenza di Sullivan, Searles ha saputo combinare molto sapientemente l’ambito dell’intrapsichico con quello dell’interpersonale. Sembra dunque di poter rintracciare nel suo pensiero una cifra del tutto originale. Egli ha molto valorizzato l’apporto che gli è derivato dal milieu di Chestnut Lodge, un’istituzione che fu per lui molto importante e nei cui confronti scrisse di aver nutrito un potente transfert paterno: “Quel posto rappresentava mio padre per me” (1980, 35) (trad. mia).
A proposito di Chestnut Lodge, l’Autore ha efficacemente descritto che cosa rendeva “quel posto” così unico: “…Non è solo che i pazienti lì sono molto malati, ma difficilmente ti coinvolgi con loro allo stesso modo in qualsiasi altra parte del mondo, su una sorta di base personale e con un’intensità ed una vicinanza che sono realmente roba potente” (1980) (trad. mia). Scrisse che anche l’ambiente non umano faceva parte del suo attaccamento a quel luogo “molto bello,” al quale anche i pazienti erano profondamente legati.
Fra gli analisti di maggior rilievo per la sua formazione, egli ha ricordato, oltre ad Ernest Hadley, Edith Weigert, che fu il suo primo supervisore.
Un’altra figura importante fu per lui, Frieda Fromm Reichmann, anche lei appartenente allo staff di Chestnut Lodge e a sua volta influenzata da Sullivan. Searles (1981) scrive che il suo rapporto con la Fromm Reichmann era caratterizzato da una notevole ambivalenza: egli la ammirava e imparò molto da lei, pur non essendo fra i suoi amici intimi o fra i suoi studenti prediletti. Frieda lo aiutò, tuttavia, ad ottenere un grant che rese possibile la pubblicazione del suo primo libro e quando ella organizzò un gruppo di ricerca all’interno del Lodge all’inizio degli anni ‘50, lui fu uno dei quattro colleghi che scelse per costituirlo. L’Autore (1981) racconta un episodio significativo a proposito del suo rapporto con Frieda, che viene riassunto anche nella biografia di Frieda Fromm Reichmann, scritta da Gail Hornstein:
“Molti anni più tardi quando i Bullard convertirono il cottage di Frieda in uffici, Harold Searles ebbe la sua camera da letto. Egli spesso lavorava lì da solo fino a tardi la notte e nei weekend. Per molti mesi si sentì visitato dal suo fantasma, <una presenza ostile e minacciosa da qualche parte nella casa>. Infine il fantasma divenne amorevole e protettivo e Searles si rilassò e lasciò che si prendesse cura di lui. Egli più tardi disse che la sua ostilità inconscia verso Frieda [ e-aggiunge Searles nel testo originale- “la componente ostile dei sentimenti di lei nei miei confronti” (1981, 176)] e la sua identificazione con la solitudine [della Fromm Reichmann] lo avevano portato a percepire il fantasma” ( Hornstein, 2005, 339) (trad. mia).
In questa stessa biografia della Fromm Reichmann, Searles viene duramente criticato da vari punti di vista, peraltro a fronte di una celebrazione delle doti cliniche e teoriche della Fromm Reichmann. Fra le varie critiche che la Hornstein gli rivolge, vi è quella che riguarda Mrs. Douglas, pseudonimo della gravissima paziente schizofrenica, il cui trattamento si protrasse per ben 38 anni, a detta della Hornstein senza evidenti miglioramenti; peraltro, ella stessa definisce la paziente “una delle più disturbate mai ricoverate a Chestnut Lodge” (2000, 376).
Souffir (2005) afferma, a giusta ragione, che il lavoro di questo Autore non va valutato in termini di risoluzione dei sintomi o di ritorno del paziente ad una “vita normale”, quanto piuttosto va considerata l’importanza per questi gravissimi pazienti di aver fatto un’esperienza di tale profondità con un analista così coraggioso da aver lavorato con loro letteralmente “tra la vita e la morte.”
D’altra parte, giova ricordare quanto afferma Ogden (2009) a proposito “dell’intensa rabbia che Searles notoriamente suscitava nell’uditorio a cui presentava il suo lavoro. Searles rifiuta di smussare gli angoli di una esperienza. Leggere il suo lavoro non è una esperienza di arrivo ad una comprensione; è un’esperienza di essere rudemente portati ad aprire gli occhi su verità sconcertanti a proposito della propria esperienza con i propri pazienti.” (215)
Fra coloro con cui l’Autore ebbe un rapporto molto significativo sotto il profilo non solo professionale, ma anche umano, va ricordato Ping Nie Pao, un altro analista di Chestnut Lodge, suo intimo amico per molti anni, che viene rievocato nella toccante ed intensa esperienza di supervisione con Searles riportata da Ogden nel suo scritto “Sulla supervisione psicoanalitica”. (2009)
Ferenczi è stato un precursore delle teorie delle relazioni oggettuali e certamente anche del pensiero dello psicoanalista americano: la questione della simmetria e dell’asimmetria nella relazione analitica costituisce un trait d’union fra i due Autori. Entrambi hanno, in modi differenti, approcciato il problema e sono stati considerati degli anticipatori delle implicite attenuazioni dell’asimmetria analitica contenute nelle teorizzazioni delle prospettive interpersonali, relazionali, intersoggettive e della psicologia del sè .( Turnbull, 2018)
Scrive Aron (1996, 98,99), “…Nella psicoanalisi c’è una tradizione-anche se è sempre rimasta alla periferia dell’evoluzione ufficiale della psicoanalisi-che ne ha sottolineato l’aspetto mutuo. Questa tradizione è cominciata con gli scritti di Groddeck (1923) e Ferenczi (1932) ed è andata avanti specialmente grazie al lavoro di Harold Searles (1975, 1979).”
A questo proposito, di quest’ultimo va ricordato lo scritto “Il paziente come terapeuta del proprio analista” del 1975, in cui descrive “una simbiosi [terapeutica] che promuove mutualmente la crescita”. Partendo dalla considerazione che sovente i pazienti si ammalano a causa dei tentativi psicoterapeutici frustrati nei confronti dei loro genitori, egli sostiene che analoghi tentativi nel transfert vengano attivati nei confronti dei terapeuti e che il successo degli sforzi riparativi dei pazienti possa alleviare la loro colpa e farli sentire “più pienamente umani” (Aron, 1996).
Irwin Hoffman (1983) ha collocato Searles, insieme a Gill, Levenson, Racker e Watchel tra gli autori che hanno teorizzato una concezione del transfert che implica un’attenzione particolare al ruolo dell’analista, ritenendo che il transfert non sia il risultato di una distorsione del paziente indipendente dalla personalità dell’analista e dal suo comportamento reale. Secondo questo approccio teorico, l’analista partecipa all’analisi influendo sulla co-creazione del transfert. (Aron, 1996)
Searles viene anche annoverato da Aron (1996) fra gli Autori che per primi hanno contribuito all’utilizzo della self-disclosure, che negli anni successivi è stato sempre più discusso e sviluppato. Tuttavia, lo psicoanalista americano ha compiuto un’importante distinzione, che lo differenzia da altri analisti, soprattutto di orientamento interpersonale, tra il disvelamento al paziente di ciò che avviene al terapeuta in seduta e il disvelamento degli accadimenti che riguardano la vita dell’analista al di fuori dell’analisi. Egli ha scritto: “Ho sempre espresso liberamente i sentimenti e le fantasie che provo nel corso della seduta, ma ai pazienti racconto molto poco della mia vita fuori dallo studio (1975, 335)”
Kernberg (2005) afferma che Searles nel formulare una teoria del trattamento dei pazienti psicotici e borderline ha integrato i concetti kleiniani mutuati dal pensiero di Rosenfeld e Bion con l’influenza di Sullivan. Giovacchini (1993) ritiene che Melanie Klein abbia incoraggiato molti autori, anche di differenti orientamenti teorici, fra i quali annovera Searles, ad occuparsi di pazienti adulti o bambini che in precedenza sarebbero stati considerati non analizzabili.
Tuttavia, Searles ha un atteggiamento critico nei confronti delle interpretazioni di transfert basate sulla identificazione proiettiva utilizzate dagli analisti kleiniani, con pazienti gravemente regrediti, ritenendo che si rivolgano alle parti non psicotiche delle personalità e che sia difficile comprendere se siano d’aiuto al paziente per l’accuratezza del loro contenuto o non siano piuttosto i sentimenti di sicurezza e comprensione che veicolano, ad essere importanti per il paziente. Egli sostiene di aver lavorato con pazienti profondamente non differenziati per anni, prima che essi potessero distinguere fra un “interno” e un “esterno”. (Kernberg, 1993). Ogden rintraccia ed illustra “una complementarità fra il lavoro di Searles e quello di Bion”, in particolare per ciò che concerne il concetto bioniano di contenitore-contenuto, il bisogno umano della verità e la concezione di Bion della relazione fra esperienza conscia e inconscia (Ogden, 2009).
Infine, va ricordato che durante la sua vita, Searles ritenne che il suo pensiero non fosse stato tenuto nel debito conto da figure di spicco della psicoanalisi americana, quali Edith Jacobson e Margaret Mahler. Le relazioni che egli tenne presso l’Associazione Psicoanalitica Americana venivano apprezzate dal pubblico, ma considerate con sufficienza dai suoi discussant, che giudicavano illusorio il trattamento psicoanalitico degli psicotici (Souffir, 2005). Invece le sue idee ebbero una risonanza significativa presso analisti inglesi, quali Donald Winnicott e Margaret Little, che condividevano la possibilità di un approccio psicoanalitico ai pazienti psicotici e borderline. (ibidem). Egli riscosse, inoltre, grande successo presso un vasto pubblico di analisti che apprezzavano il suo stile originale e le sue straordinarie intuizioni.
Il pensiero di Searles: originalità e innovazione
Una caratteristica peculiare di questo Autore è quella di attingere alla propria esperienza personale per formulare le riflessioni teoriche e cliniche in modo da incrementare la propria efficacia comunicativa e conferire ai suoi scritti una cifra assolutamente unica e peculiare.
Ogden (2009) ha scritto di lui:
“Harold Searles è, secondo me, senza pari per la sua abilità di tradurre in parole le osservazioni che riguardano le sue risposte emotive a ciò che si sta verificando nella situazione analitica, e per l’uso che fa di queste osservazioni nel suo sforzo di comprendere e interpretare il transfert-controtransfert (p.205).”
E sempre Ogden ha evidenziato la “squisita sensibilità” di questo psicoanalista “alle comunicazioni inconsce del paziente. Tale recettività alle comunicazioni inconsce del paziente richiede da parte dell’analista una forma di messa a nudo della sua propria esperienza inconscia. Il modo di Searles di usare sé stesso analiticamente implica molto spesso un venir meno alla distinzione tra la propria esperienza cosciente e inconscia, così come della distinzione tra la sua esperienza inconscia e quella del paziente.” (ibidem, 205).
L’esperienza sorprendente nella lettura degli scritti dello psicoanalista americano è quella del passaggio dalla sua vita interiore e dalla sua risposta straordinariamente intuitiva e percettiva di ciò che accade nella relazione analitica, al contesto psicologico del paziente e al modo in cui egli percepisce sé stesso. Dai suoi scritti e dai suoi resoconti clinici in particolare emerge come “l’esperienza cosciente e inconscia sono qualità di una coscienza unitaria, e che noi abbiamo accesso alla dimensione inconscia dell’esperienza guardando dentro l’esperienza cosciente, non guardando “dietro” o “al di sotto” di essa (ibidem, 230).
Nella già citata supervisione con Searles riportata da Ogden (2009), risaltano, a mio avviso, due elementi assai significativi e peculiari di questo psicoanalista così fuori dall’ordinario, vale a dire la sua capacità di creare “un’intimità senza riserve” con chi gli stava di fronte, sgombrando rapidamente il campo in modo rapido e intenso da ogni “artificio sociale” (ibidem, 2009) e il silenzioso invito all’altro (il supervisionato) “a sperimentare e a parlare da un livello inconscio” di se stesso “e a entrare, e simultaneamente osservare, uno scenario di sogno senza sapere dove il sognare avrebbe portato.” (ibidem, 2009, 70), tanto che Ogden chiama questa esperienza di supervisione “sogno guidato”.
Della prima delle due caratteristiche che ho sottolineato, ossia la capacità di stabilire “un’intimità senza riserve”, è possibile trovare splendidi esempi nei suoi resoconti clinici, fra cui colpiscono in modo particolare quelli dei pazienti più gravi, come questo che segue:
“Spesso, durante le sedute, [la paziente] viveva palesemente il paesaggio esterno come un vortice di automobili in collisione, di treni sferraglianti e di aerei precipitanti al suolo. Fu un momento memorabile quando, molti mesi dopo, mentre eravamo seduti fianco a fianco su due sedie vicine, guardando verso le finestre situate sul lato opposto della stanza, io iniziai a dire qualcosa e lei mi fermò con un ordine calmo, ma fermo: “Stia zitto e guardiamo il panorama”; al che ci abbandonammo al placido, rilassato sentimento di comunione che stavamo vivendo .Sentii a questo punto per la prima volta in tutto il mio lavoro con lei, che finalmente stavamo entrambi vedendo lo stesso dolce panorama dalla finestra”. (Searles, 1960, 292)
Di recente è stato scritto anche che Searles ha così attentamente investigato le “emozioni intollerabili” dentro di lui, nella convinzione che ciò fosse indispensabile per contattare nei pazienti gli stessi stati della mente (Shah, 2023). Ha esplorato sentimenti, quali la gelosia e l’invidia nei confronti dei pazienti, che, pur essendo ubiquitari, sono stati raramente trattati, in quanto fonte per gli analisti di vergogna e motivo di ferita narcisistica. In particolare, ha approfondito le possibilità terapeutiche derivanti dall’affrontare il sentimento della gelosia, sperimentato sia dal paziente che dall’analista. La possibilità di esperire ed affrontare la propria gelosia nei confronti del paziente, permette, secondo l’Autore, di comprendere in modo profondo la gelosia del paziente.
E’ stato anche sottolineato come egli ritenga importante e potenzialmente mutativa la consapevolezza del paziente di avere un impatto emotivo sull’analista. (Buechler, 2017)
A conclusione di questo sintetico e necessariamente parziale ritratto di Harold Searles, sembra opportuno riportare le sue parole:
“Spesso le persone ritengono che possieda un’intuizione terapeutica straordinaria, oppure che io sia forse un po’ folle nelle mie risposte apparentemente fuori dagli schemi al paziente, o entrambe le cose. Ma il fatto è che l’esperienza soggettiva che ho con il paziente nella situazione immediata, è monitorata costantemente da una parte del mio Io osservante, in un confronto valutativo con le esperienze cliniche decennali che ho avuto in precedenza, con le centinaia di pazienti che ho intervistato…” (1980, 104)
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