Vorrei intervenire sulla questione del rapporto tra psicoanalisi e neuroscienze riprendendo l’intervento di Bezoari, ma ripartendo proprio dal titolo “CHE COSA SI PROVA A ESSERE UN CERVELLO?” perché credo che questo ponga diversi problemi. Procederò ‘psico-analiticamente’ più per associazioni che per argomentazioni ordinate.
Gran parte del commento dell’autore è dedicato all’importanza della soggettività in psicoanalisi… sulla quale ovviamente non si può che concordare, mentre poco spazio è dedicato alla domanda posta nel titolo.
Per prima cosa mi sembra che qui siamo invitati a fare un Gedankenexperiment (esperimento mentale), perché esso non può essere realizzato in un laboratorio ma solo nella nostra mente. Anche qui questi esperimenti possono essere sia chiaramente scientifici: ad esempio ‘immaginiamo cosa succederebbe in un mondo dove non ci fosse gravità’, o esperimenti mentali in cui si lavora solo di fantasia o con… identificazioni proiettive, come nel caso dell’invito fatto da Nagel.
Il titolo perciò mi richiama alla mente due questioni: una è quella posta da Nagel in “Che effetto fa essere un pipistrello?” E l’altra posta da Putnam in “Cervelli in una vasca”. Il primo pone il problema di empatizzare (ricordate Gallese?) con un pipistrello; cosa che espressamente viene ritenuta ‘impossibile’ per la semplice ragione che ‘non siamo pipistrelli’ (si rinviano i colleghi interessati a leggere l’articolo originale per seguirne le argomentazioni scientifiche, cosa che qui non farò). La seconda questione invece ci mostra come si dovrebbe procedere per ‘ingannare’ un cervello a credere di avere un corpo e di compiere esperienze immergendolo in un liquido nutriente, connettendolo con dei sensori ecc. (anche qui si invita a leggere l’originale).
Torniamo ora al nostro problema. Possiamo provare, come fa Batman, ad essere un pipistrello, che è comunque un organismo, ma come facciamo quando si tratta di un provare ad essere un organo come è il cervello? Poniamo che vogliamo vedere cosa si prova ad essere un intestino… qualcosa ci viene in mente… un tubo con due estremità aperte, digestione, peristalsi, borborigmi ecc. Così se pensiamo ad un cuore… una pompa che ritmicamente fa circolare un liquido ecc. Già la cosa è più difficile se pensiamo di essere un fegato, ancor di più se pensiamo ad una tiroide… ma cosa si proverebbe ad essere una paratiroide? Insomma il nostro compito sarebbe più facile se gli organi fossero quelli, come dire, che più sono vicini alla sfera dell’Io, mentre per gli altri… E cosa avverrebbe nel caso del cervello? Per farla breve penso che ad essere un cervello non si prova ‘niente di niente’, a meno che non consideriamo un cervello con un corpo e con una mente… e così si ritorna in un mastrillo (trappola per topi e non per pipistrelli o per cervelli). Ci si riproporrebbe il problema del monismo e del dualismo mente-corpo, dell’aureferenzialità, della possibilità dell’uscire o meno dal sistema ecc. ecc. E allora? Allora niente, a mio parere non si può dire neanche che la domanda è sbagliata perché la risposta è ‘impensabile’ e il Gedankenexperiment è irrealizzabile!
Oro lascio il commento di Bezoari e mi pongo alcune domande per salutarvi e farvi gli auguri: è utile chiudersi nel carapace psicoanalitico? Acquistiamo davvero maggiore sicurezza se pensiamo che il nostro compito sia quello di difendere i confini psicoanalitici dalla barbarie delle neuroscienze? Non sarebbe meglio pensare a regni Romano-Barbarici? Non può essere che la psicoanalisi non sia ‘scienza’ di razza così pura ma che sia più meticcia di quel che vorremmo, e che altrettanto ‘contaminato’ sia stato lo stesso pensiero (non il cervello) di Freud?
Io credo allora che c’è un problema che forse ci dovrebbe interessarci in modo prioritario e cioè: che cosa si prova a essere uno psicoanalista nel terzo millennio?”