Alberto Savinio_Le songe d’Achille_1929
A cura di Laura Colombi
Per ritiro psichico s’intende in termini generali uno stato di distacco mentale che sottrae il soggetto al contatto con gli altri e con la realtà circostante.
Il ritiro psichico può essere annoverato tra i meccanismi di difesa e, nello specifico, tra i meccanismi di difesa primari che si strutturano molto precocemente, nel primo periodo di vita.
Ad esempio se il bambino è sovrastimolato o soggetto a forti tensioni talora può anche semplicemente addormentarsi; possiamo così considerare come, all’origine, il ritiro psichico in un diverso stato di coscienza sia una risposta auto protettiva automatica osservabile normalmente nell’infante. Tuttavia esperienze d’intrusione o violazione emotiva da parte delle figure di accudimento possono rinforzare la tendenza al ritiro, che può venire a costituirsi nel corso della crescita come modalità di funzionamento più strutturata, che finisce via via con l’escludere il soggetto dal contatto con il mondo relazionale.
Madri (o altre figure significative) eccessivamente intrusive, angosciate, ma anche psicologicamente assenti – e in quanto tali non in grado di relazionarsi al bambino in modo sintonico ai suoi bisogni emotivi – possono facilitare nel bambino un uso eccessivo del ritiro, che segnala allora il fallimento dell’esperienza di una buona dipendenza.
Il ritiro psichico può essere dunque inquadrato da due punti di vista: quello adattivo con cui vengono fronteggiate situazioni di disagio e/o emotivamente traumatiche e quello patogeno che si struttura fin dall’infanzia come modalità più costante di funzionamento mentale, che allontana progressivamente il bambino dalla necessaria permeabilità con la realtà che lo circonda. In questi casi il ritiro perde la sua valenza iniziale difensiva (adattiva), e si costituisce come dimensione mentale antievolutiva che può assumere le sembianze di una sorta di ‘fuga’ dalla realtà in una realtà ‘altra’, autoalimentata dal piacere dell’onnipotenza. Spesso il ritiro psichico si configura infatti come un mondo di fantasie totalmente immaginarie e ‘su misura’ che captano il bambino ma che conducono ad un impoverimento (e/o grave deterioramento) del funzionamento psicologico, perché lo allontanano dal contatto emotivo e relazionale su cui si fonda la crescita mentale.
La natura complessa del ritiro fa sì che in esso vi siano aspetti molto diversi, che vanno dal fisiologico e transitorio rifugio difensivo in fantasticherie romantiche o di successo dove tutto è idealizzato, fino alle forme più perniciose, che divengono vere e proprie organizzazioni psicopatologiche (ritiri di carattere sessualizzato, ritiri in personaggi di fantasia, ritiri distruttivi).
La differenza nella qualità della natura dei ritiri e l’incidenza (riequilibrante o patogena) che essi possono avere nella dinamica psichica individuale, rendono quindi particolarmente importante, sul piano clinico, un suo attento monitoraggio in grado di distinguerne la componente benigna – e momentaneamente funzionale alla crescita o al superamento di situazioni emotivamente complesse – da quella maligna che lo distacca dalle relazioni offrendo i falsi vantaggi di una vita dissociata dalla realtà.
A seconda dei principali modelli teorici che costituiscono l’impianto psicoanalitico, esistono differenti inquadramenti di questo meccanismo.
Nel modello freudiano il ritiro totale dell’investimento libidico della realtà esterna, con la successiva frattura tra Io e realtà, costituisce il punto focale di differenza tra nevrosi e psicosi.
Nel successivo modello kleiniano, spostandosi l’attenzione sulla precocità e intensità delle angosce che accompagnano lo sviluppo infantile, si approfondisce anche lo studio delle difese “primitive” e del loro possibile assemblaggio in organizzazioni patologiche.
In questo contesto un contributo specifico alla concettualizzazione sul ritiro psichico viene da J. Steiner. Affrontando il tema del ritiro in termini soprattutto clinici, egli definisce “rifugi” quei “luoghi della mente” dove il paziente si colloca per proteggersi dalla violenza delle angosce schizo-paranoidi e/o dal dolore mentale delle angosce depressive. Il rifugio dunque rappresenta una zona dove ci si ritira dalla realtà e dal contatto con gli altri e dove, dunque, non può avvenire alcuno sviluppo.
All’interno di un differente modello, quello centrato sul Sé, D. Winnicott ha posto una specifica attenzione sugli esiti che le carenze ambientali possono avere sullo sviluppo emotivo del bambino. In questa cornice Winnicott considera la fantasia immaginativa – resa possibile dalla buona esperienza del rapporto precoce con la madre- come essenziale allo sviluppo, contrapponendo a questa attività creativa il ritiro nell’immaginazione – il “fantasticare”- che segnala per questo autore la presenza di un’attività mentale di carattere dissociato derivata dal fallimento delle esperienze relazionali primarie. Il ritiro starebbe dunque a significare un’ipertrofia della tendenza all’isolamento soggettivo che conduce ad un impoverimento dello sviluppo emozionale costituente il senso di Sé.
BIBLIOGRAFIA
Freud S. La perdita di realtà nella nevrosi e nella psicosi, O.S.F. 10, Boringhieri , Torino, 1978,pp.39-43.
Klein M. Note su alcuni meccanismi schizoidi, Scritti, Bollati Boringhieri, Torino, 1978, pp.409-434
Steiner J. I rifugi della mente, Bollati Boringhieri, Torino, 1996.
Winnicott D. W. (1935) La difesa maniacale. Tr.it in “ Dalla pediatria alla psicoanalisi” Martinelli, Firenze,1975
Winnicott D.W. (1956) La preoccupazione materna primaria. Tr.it in “Dalla pediatria alla psicoanalisi” Martinelli , Firenze,1975.
Winnicott D.W. (1971) Sogno, fantasia e vita reale. Tr.it. In “ Gioco e realtà” Armando, Roma, 1974.
Settembre 2014