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Willemsen J. et al. (2015). Theorical pluralism in psychoanalytic case studies. Front.Psychol., 29 Sept

4/01/16

Willemsen J. et al. (2015). Theorical pluralism in psychoanalytic case studies. Front.Psychol., 29 Sept

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Il riassunto è a cura di V.Nuzzaci

L’articolo fornisce una panoramica delle attività scientifiche di diverse scuole psicoanalitiche (psicologia dell’io o psicoanalisi classica, psicologia delle relazioni oggettuali, psicologia del sé, psicoanalisi interpersonale, psicoanalisi lacaniana, ecc). Tra marzo 2013 e novembre 2013 sono stati contattati tutti gli autori di articoli pubblicati nell’archivio on-line su studi di casi psicoanalitici e psicodinamici (www.singlecasearchive.com) per  avere informazioni sul loro orientamento psicoanalitico durante il lavoro con il paziente.

Il tasso di risposta per questo studio è stato del 45% (200 intervistati). Sembra che le due più antiche scuole psicoanalitiche, relazioni oggettuali e psicologia dell’Io o “psicoanalisi classica” dominino la letteratura di studi su casi clinici pubblicati. Tuttavia, la maggior parte degli autori ha dichiarato di sentirsi attaccato a due o più scuole psicoanalitiche di pensiero.

Sin dalla scoperta freudiana dell’inconscio, alla fine del XIX secolo, la psicoanalisi è stata permeata da varie forme di conflitto. Secondo il suo fondatore tre sono i fattori che caratterizzano la psicoanalisi: teoria, trattamento clinico e metodo di ricerca (Freud, 1923). Dalla sua storia, relativamente breve ma complessa, questi aspetti della psicoanalisi continuano ad essere discussi dagli studiosi, sia all’interno che all’esterno del campo psicoanalitico.

Secondo il filosofo francese Althusser (1996) le accese discussioni all’interno del suo campo hanno reso la psicoanalisi una disciplina scismatica.

Nella seconda metà del XX secolo, i dibattiti si sono concentrati sul tema della psicoanalisi come metodo di ricerca (Hinshelwood, 2013). Autori interni ed esterni al campo psicoanalitico hanno sostenuto che l’approccio tradizionale del caso di studio sostenuta da Freud non è adatto come strumento scientifico. In questo periodo, l’interesse per questo tipo di studi si è ridotto notevolmente, come dimostra la relativa mancanza di case report pubblicati (Michels, 2000; Sealey, 2011).

A partire dagli anni Novanta, invece, si può vedere un rapido aumento del numero di studio su casi clinici pubblicati (Desmet et al., 2013). Alcuni autori sostengono che questo tipo di studi sia il metodo ideale per la psicoanalisi perché permette di cogliere delle esperienze ed avere accesso a materiale clinico del paziente che non può essere catturato in altri modi (Sealey, 2011).

Il presente studio ha rilevato che le scuole di pensiero più produttive nella pubblicazione di studi su casi sono la psicologia delle relazioni oggettuali e la psicologia dell’Io o “psicoanalisi classica”. La prima è risultata la scuola più influente: più della metà di tutti gli autori (115 su 200; 58%) ha riferito di sentirsi affiliato a questa scuola, e poco meno della metà (54 su 115; 47%) considera questa scuola come la più rilevante per il proprio modo di lavorare. Anche la psicologia dell’Io o “psicoanalisi classica” risulta molto influente: 92 autori hanno riferito di sentirsi collegati a questa scuola e 57 dei 92 autori (62%) considerano questa scuola come la più rilevante per il proprio lavoro clinico. Tuttavia, si può notare che solo 22 su 92 (24 %) di coloro che si sentono vincolati a questi due modelli non si sentono attaccati a qualsiasi altra scuola psicoanalitica. Ciò indica un maggior pluralismo rispetto al modello delle relazioni oggettuali.

Solo 82 intervistati (41%) hanno dichiarato di aderire ad una sola scuola psicoanalitica.

La cosiddetta incompatibilità tra le diverse teorie psicoanalitiche non sembra aver inibito la maggioranza dei partecipanti a questo studio a sentirsi legato a più di una scuola psicoanalitica. Forse l’origine degli scismi tra le scuole psicoanalitiche è più legata a questioni tecniche e standard formativi che a questioni dottrinali.

Si può ipotizzare che una tale combinazione di modelli nel lavoro del clinico sia dettata dalla stessa situazione clinica, dal disegno specifico di quell’analista nel selezionare gli interventi terapeutici più appropriati per quel paziente.

Nell’articolo, inoltre, sono riportati i dati relativi alla tipologia dei casi clinici presenti negli studi degli autori intervistati. I pazienti sono 47 % maschi e 53% donne (Desmet et al ., 2013). L’età media dei pazienti è 32,6 anni, ma c’è una differenza piuttosto grande tra i casi degli studi in ambito della psicoanalisi interpersonale

(25,9) e psicoanalisi relazionale (38,3) . All’interno di tutte le scuole psicoanalitiche, sono stati pubblicati casi con pazienti minorenni. I termini diagnostici sono stati assegnati (nel 93% dei 446 casi) ad una delle principali categorie del DSM-IV. Le diagnosi più frequenti sono i disturbi d’ansia e i disturbi dell’umore. Il 44% dei casi è seguito con un trattamento con una frequenza di 4-6 volte a settimana, con una certa variabilità tra le diverse scuole. Complessivamente, il 51% di tutti i casi era concluso al momento della scrittura del caso (Desmet et al., 2013). Di tutti i casi conclusi, la durata media del trattamento è stata di 45,7 mesi (DS = 32.96;. Min = 3 mesi; max = 180 mesi). Gli studi di caso della psicoanalisi relazionale si distinguono con una durata media di 54,6 mesi. Nel 65% di tutti i casi, il trattamento è stato considerato di successo dall’autore; nel 35% di tutti i casi, il trattamento è stato considerato dall’autore come fallito o che ha prodotto risultati misti.

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