Mimmo Paladino
Rabbia, depressione, insight e alleanza: nuovi metodi per indagare ipotesi classiche
Francesco Gazzillo*
Alla fine dello scorso Settembre, sul Journal of Counselling Psychology, è stato pubblicato un interessante articolo dal titolo “The Anger-Depression Mechanism in Dynamic Therapy: Experiencing Previously Avoided Anger Positively Predict Reduction in Depression via Working Alliance e Insight”, scritto da Town, Falkenström, Abbass e Stride.
Questo lavoro presenta i risultati di uno studio condotto su 540 sedute di 27 pazienti, con diagnosi di depressione “resistente al trattamento,” che hanno ricevuto una una terapia a tempo limitato L’ Intensive Short Term Dynamic Therapy (ISTDT; www.istdp.com), terapia a tempo limitato appunto, si basa sulla teoria psicoanalitica freudiana ed è centrata sull’analisi delle difese e il riemergere degli affetti rimossi in seduta.
Uno degli obiettivi di questo studio era verificare l’ipotesi freudiana per la quale favorire il riemergere e la comprensione della propria rabbia rimossa favorirebbe una riduzione della depressione nella seduta successiva.
Senza entrare in tecnicismi eccessivi, i risultati di questo studio mettono in evidenza un quadro complesso dei processi terapeutici. Differenziando i pazienti a seconda del livello di gravità dei loro problemi di personalità – valutato tenendo conto dei loro meccanismi di difesa prevalenti (più o meno maturi), del loro livello di alessitimia (cioè della loro capacità di mettere in parola le emozioni) e delle loro capacità interpersonali – sembra che per i pazienti meno gravi la possibilità di fare esperienza in seduta della propria aggressività verso un’altra persona favorisca un miglioramento della depressione nella seduta successiva solo se questa esperienza si accompagna a un maggiore insight. Viceversa, nelle terapie dei pazienti più gravi l’esperienza della propria aggressività in seduta favorirebbe un miglioramento della depressione nella seduta successiva solo se si associa a un incremento dell’alleanza terapeutica, intesa come accordo di clinico e pazienti su obiettivi della terapia, compiti da assolvere per raggiungerli e qualità del legame clinico-paziente. I pazienti meno gravi sembrano peraltro beneficiare anche di un’esperienza affettiva del senso di colpa e della tristezza in seduta, ma sempre solo se questa esperienza si accompagna a un maggiore insight.
Questi risultati sembrano confermare la sostanziale correttezza di uno degli elementi centrali del modello freudiano della depressione (Freud, 1915/1917) rispetto alla terapia dei pazienti “nevrotici”: permettere l’esperienza vissuta e l’insight delle proprie dinamiche aggressive favorisce una riduzione dei sintomi depressivi. Mentre per pazienti più gravi (di area borderline, potremmo dire), fare esperienza in seduta delle proprie dinamiche aggressive sarebbe utile solo in presenza di una maggiore alleanza terapeutica, cioè solo se il paziente sente che il legame con il terapeuta ne è rafforzato. Viene alla mente l’ironica affermazione di Freud, riportata da Eva Rosenfeld, per cui l’analisi, intesa in senso “classico”, sarebbe “un’ottima cosa per persone normali” (Roazen, 1988).
Allargando ulteriormente il nostro sguardo, potremmo dire che questo studio sostiene la sostanziale correttezza dell’idea che, se per i pazienti meno gravi la capacità di comprendersi meglio è un fattore terapeutico cruciale, per i pazienti più gravi sembra che il fattore terapeutico chiave sia la relazione con il clinico. Facendo un passo ulteriore, potremmo dire che sembra sostanzialmente corretta l’idea, abbastanza consolidata nella letteratura psicoanalitica (Kernberg, 1972), che le terapie espressive siano più utili a pazienti più sani, mente i pazienti più compromessi beneficerebbero maggiormente di terapie più supportive.
È bene però ricordare che i risultati di questo studio sono a rigore generalizzabili solo a terapie brevi (20 sedute a cadenza settimanale) e rispetto a problematiche depressive, e in esso non viene indagato il nesso tra miglioramento della depressione nella seduta successiva ed esito finale del trattamento. Ma, a onore del vero, sul valore dell’insight come mediatore del miglioramento nelle terapie dinamiche vi è una buona mole di letteratura empirica (Barber et al., 2013), e sterminata è la letteratura che dimostra come l’alleanza terapeutica sia il miglior predittore dell’esito delle psicoterapie in genere (Wampold & Imel, 2015). Qualsiasi analista, peraltro, sa che tanto il ruolo dell’insight quanto quello del transfert positivo irreprensibile/alleanza sono stati messi in evidenza per la prima volta da Freud e approfonditi da numerosi altri autori nei centoventi anni della storia della nostra disciplina (Freud, 1979; Greenson, 1965; Luborsky, 1984; Zetzel, 1970). Così come vale forse la pena sottolineare come si affermi sempre di più, nel corso degli ultimi anni, la necessità di “cucire” la psicoterapia sulle necessità e peculiarità dei singoli pazienti e delle loro condizioni cliniche e di personalità per ottimizzarne l’efficacia. One size does not fit all.
Giusto per inciso: Aron Beck, il fondatore della psicoterapia cognitiva, si allontanò dalla psicoanalisi, disciplina in cui si era formato, proprio perché le sue ricerche empiriche non supportavano l’ipotesi freudiana del nesso tra aggressività e depressione.
Bibliografia
Barber, J. P., Muran, J. C., McCarthy, K. S., & Keefe, R. J. (2013). Research on psychodynamic therapies. In M. J. Lambert (Ed.), Bergin and Garfield’s handbook of psychotherapy and behavior change (6th ed., pp. 443–494). New York, NY: Wiley.
Freud, A. (1979), The Role Of Insight In Psychoanalysis And Psychotherapy. Introduction. Journal of the American Psychoanalytic Association, 27(Supplement):3-7
Freud, S. (1915/1917), Lutto e melanconia. OSF, Vol. 8, pp. 102-118.
Greenson, R.R. (1965). The working alliance and the transference neurosis. Psychoanalytic Quarterly (34), 155—181.
Kernberg, O. F., et al. (1972). Psychotherapy and psychoanalysis: Final report of the Menninger Foundation’s psychotherapy research project. Bulletin of the Menninger Clinic, 36(1-2), 275.
Luborsky, L. (1984). Principi di psicoterapia psicoanalitica. Tr. it. Boringhieri, Torino, 1989.
Roazen, P. (1998). Freud al lavoro. I pazienti raccontanto. Tr. it. Massari, Bolsena (VT), 1999.
Wampold, B., Imel, Z. (2015). Il grande dibattito in psicoterapia. Sovera, Roma, 2017.
Zetzel, E. (1970). The Capacity for Emotional Growth. International Universities Press, New York.
* Professore Associato di Psicologia Dinamica, Dipartimento di Psicologia Dinamica, Clinica e Salute, ‘Sapienza’ Università di Roma