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Merot P. (2024) “L’homme incertain” Rev F Psychanal 88(2): 15-23.  Recensione a cura di S. Lombardi

16/08/24
Merot P. (2024) "L’homme incertain" Rev F Psychanal 88(2): 15-23.  Recensione a cura di S. Lombardi

Parole chiave: inconscio, Freud, congetturale, psicoanalisi  

Questo articolo è di piacevole lettura, a mio giudizio, per le argomentazioni ricercate ed originali circa la formazione del pensiero umano e la natura del sapere psicoanalitico.

Nella nostra contemporaneità, l’opinione di P. Merot, è del tutto ormai condivisa. Può essere così sintetizzata: se l’incertezza e il dubbio connotano l’uomo nel suo essere e funzionare “normale”, il suo doppio, ovvero il sapere psicoanalitico, non può che essere congetturale.

Vi è, tuttavia, un prezzo da pagare: e, in questo lavoro, “prezzo” non va inteso come una metafora ma precisamente come un termine economico, ovvero l’accettazione di un dispendio energetico che l’adesione a posizioni di certezza consentirebbe invece di evitare. Non stupisce, quindi, che questa tesi non troverà, come vedremo, il suo principale confronto con le posizioni “incerte” raggiunte da Freud negli ultimi lavori (Analisi terminabile e interminabile e Costruzioni in analisi) ma con le dimostrazioni di quella “psicologia per neurologi” che fu il Progetto (1895). Nell’illustrare lo schema generale dell’opera ed introdurre la prospettiva economica, Freud individua una “certezza prima” nella distinzione fra attività e quiete come una quantità (…) soggetta alle leggi generali del movimento (p.201).

Merot afferma che la situazione di dubbio è instabile e costosa sul piano energetico, quella di credere è stabile ed è una condizione di riposo (p.20). Espone il suo pensiero confortato innanzitutto da riferimenti filosofici. Dorian Astor, studioso di Nietzsche, al quale attinge per un appassionato studio sull’incertezza[1], riconosce in questa il vitale, salutare motore del rilancio alla ricerca di conquiste certe di sé e del mondo, assimilando il tempo dell’incertezza a quello del pensiero. Filosofo, sensibile alla psicoanalisi, egli trova che questo processo, facilmente percettibile nella coscienza, si svolge parimenti nell’oscurità dell’inconscio, producendo un’alternanza di stati d’animo: il benessere della quiete ma anche il turbamento del desiderio di risperimentarla attraverso il raggiungimento di nuove certezze e convinzioni. In sé, infatti, la quiete non può che assomigliare alla morte e alla follia.

Il pensiero, dunque, è indagato non tanto nel suo prodotto finale ma come movimento psichico.  Il processo di pensiero, prosegue a sua volta Merot, nelle due fasi, trovava già la più accurata esposizione, non solo dinamica ma anche economica, negli studi di Charles S. Peirce (1878). Pensatore maturo in epoca pre-psicoanalitica, è il teorico del pensiero congetturale, cui dà il nome di “abduzione”. Nell’utilizzare la semiotica per l’elaborazione delle acquisizioni congetturali, egli ha scritto di “come si fissa una credenza”[2], ritenendo quest’ ultima non necessariamente conquista di verità ma, piuttosto, di veridicità di un lavoro di pensiero.

La generalità, regolarità ed ubiquitarietà della ricerca di questa soddisfazione ha una causa prima nella costitutiva tendenza dell’apparato psichico ad assestarsi in un livello energetico di minimo dispendio: quello che caratterizza, appunto, il credere. Tanto quanto smarrimento, turbamento, incertezza comportano un’antieconomica dispersione.

Trasponendo questo ragionamento sul terreno della neurofisiologia e dell’istologia, nel paragrafo Pensiero e realtà (p. 236) del Progetto di una psicologia, Freud tentava di spiegare come il giudizio di realtà, la credenza, sia lo scopo di ogni singolo atto di pensiero: la prova di una raggiunta identità fra percezione e rappresentazione e, in termini energetici, dello smistamento di una carica d’investimento proveniente dall’esterno in un neurone investito dall’Io.

Quanto detto finora è ancora preliminare e, per come formulato, deviante verso i meccanismi cognitivi e coscienti del pensiero.

Mi sembra giusto, pertanto, completare tale posizione, inserendo invece qui l’opinione per cui Peirce prendeva in considerazione le inferenze inconsce ritenendole fondamentali e limitando la coscienza solo ai momenti di registrazione mnemonica fra un’elaborazione e un’altra (A. Luchetti, 2018)[3].

Tuttavia, quel che ci è utile cogliere, per non perdere il filo del suo discorso, è che, nell’utilizzare e commentare l’apporto di Peirce, Merot osservi che privilegiare il pensiero come processo implica una definizione estensiva del credere che ingloba ogni enunciato che il soggetto consideri vero: credere ad una cosa vuol dire che la si considera vera (p.17).

E’ su questo che svolge il giro di boa dal pensiero in termini generali al registro dell’inconscio. Egli ritiene di voler approfondire la dimensione dell’incertezza come necessaria alla strutturazione della psiche attraverso lo studio che Guy Rosolato ha compiuto sulla relazione con l’ignoto quale controparte oscura della relazione d’oggetto. Pertanto, Rosolato lavora, sia in ambito psicologico individuale che antropologico-culturale, sul parallelismo di due coppie: relazione d’oggetto/credenza, relazione con l’ignoto/dubbio.

Questo autore rinvia l’esperienza perturbante dell’ignoto alla madre, non solo perché, e simbolicamente e di fatto, è incarnazione dell’originario, ma in quanto enigma sessuale, dal momento che è mancante di pene.

Lo si può comprendere bene attraverso il caso particolare, ed anche per Freud prototipico, del feticismo. Il movimento psichico del bambino inventore del feticcio mostra come questi abbia cercato di trasformare in una concreta relazione d’oggetto la vertiginosa e sfuggente percezione di un ignoto. Fino ad un certo punto… interloquisce Merot (p. 19)… poiché il feticcio realizza la prestazione di essere e non essere, a un tempo, il pene materno (Rosolato,1978a, p.10)[4]: adoperando cioè il meccanismo del diniego con perversa consapevolezza.

Il sentimento transindividuale dell’originario trova, a sua volta, espressione nella religione, fatta e di smarrimento mistico e di fede in un credo. Il fatto che quest’ultimo venga molto spesso accettato per totale sospensione di giudizio di fronte ad un mistero è indicativo del bisogno umano di adesione a certezze: dogmatiche, ma preferibili, o almeno affiancabili, all’intuizione di una ineffabile ed ignota trascendenza. Il dogma, in sé, è tale se si propone con i requisiti della certezza e della concretezza, cui viene assimilata anche la verità.

Per quanto, seguendo Rosolato, il sentimento religioso sia espressione e faccia da sostegno all’esperienza estrema di un ignoto non conoscibile, è possibile riconoscere la stessa dinamica dubbio-credenza, certezza-incertezza quando si è alle prese con quell’ignoto, ideale ma conoscibile, che spinge alla ricerca scientifica e, nelle scienze umane, alla conoscenza di sé. E’ l’ignoto, il rapporto che ciascun essere umano ha con il proprio ignoto, ovvero con il proprio desiderio di qualcosa che non si potrebbe neanche avvertire se non come mancanza, ad attivare e a compiere, tra mille incertezze, il nostro destino evolutivo ed esistenziale.


[1] Astor D. (2020a). La passion de l’incertitude. Paris. Editions de l’observatoire.

[2] Peirce C. S. (1878). Comment se fixe la croyance. Rev Philosoph Fr Etranger.  Troisième année, t. VI décembre 1878

[3] Luchetti A. (2018), Interpretare, costruire, indovinare: il corpo congetturale.  Psiche, 2/2018

[4] Rosolato G. (1978a). En préface, la relation d’inconnu comme cheminement. La relation d’inconnu. Paris, Gallimard

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