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Madeddu F., Aquaro P., Preti E. (2012). Psicoterapia per il disturbo borderline di personalità: revisione della letteratura sull’efficacia di quattro trattamenti manualizzati. J.Psychopathology, 18: 196-209. (Sintesi di I.Sarno)

15/07/13

Madeddu F., Aquaro P., Preti E. (2012). Psicoterapia per il disturbo borderline di personalità: revisione della letteratura sull’efficacia di quattro trattamenti manualizzati. J.Psychopathology, 18: 196-209. Sintesi a cura di I.Sarno

Negli ultimi vent’anni è stata posta un’enfasi crescente sull’importanza di una chiara formulazione delle diverse tecniche terapeutiche e sullo sviluppo di una sistematizzazione manualistica dei modelli di intervento. Questa enfasi è stata in parte determinata, oltre che dal bisogno di confronto scientifico, dalle politiche delle compagnie assicurative che, nel contesto anglosassone, richiedono che un determinato trattamento sia inserito in una lista delle psicoterapie empiricamente validate perché possano essere rimborsate. Diventa importante, dunque, stabilire chiaramente cosa si fa, come lo si fa, e se quello che si fa è efficace. Ovvero un certo modello teorico-clinico deve mostrare la sua efficacia in termini di outcome (efficacy), e deve mostrare che nella pratica reale “fa quello che dice” (effectiveness).
Questo tema diventa particolarmente rilevante per il trattamento del disturbo borderline di personalità (BPD), a causa dell’elevato livello di drop out e dell’elevato costo sociale che questi pazienti implicano.
Nella revisione della letteratura dell’articolo di Madeddu et al. vengono presentanti in modo articolato i quattro modelli che si sono maggiormente confrontati con la ricerca empirica e con il problema della validità empirica. Perché un trattamento possa essere considerato “empiricamente validato” bisogna che ne venga dimostrata l’efficacia in (almeno due indipendenti) studi sperimentali randomizzati e controllati (Randomized Control Trials, RCTs), che hanno cioè un’elevata validità interna e che quindi soddisfano precisi criteri di rigore metodologico.
I quattro modelli presi in considerazione in questo articolo sono: il Mentalization Based Treatment (MBT) che fa capo al modello teorico di Fonagy e Bateman; la Transference Focused Psychotherapy (TFP) che si rifà al modello di Kernberg e del gruppo del Personality Disorders Institute della Cornell University; la Dialectical Behavior Therapy (DBT) di Linehan; e infine, la Schema Focused Therapy (SFT) di Young, Klosko e Weishar.
Questi quattro modelli, pur nelle sostanziali differenze sia nelle tecniche di trattamento sia nel modo di concepire il disturbo borderline, hanno alcuni importanti punti in comune: sono tutti manualizzati, sono ben strutturati, hanno una forte coerenza teorica, sono relativamente a lungo termine, hanno un focus definito e il terapeuta svolge un ruolo attivo durante tutto il trattamento.
Gli AA passano in rassegna i quattro modelli attraverso una review critica degli studi empirici che, a partire dal 1991 ad oggi, ne hanno analizzato l’efficacia basandosi su alcuni parametri di outcome: la disregolazione emotiva, la mentalizzazione e la stabilità dei risultati nel tempo. Sulla base di questi studi gli AA osservano che “rifacendosi ai criteri dall’American Psychiatric Association si può affermare che la superiorità empiricamente dimostrata rispetto al Treatment As Usual (TAU) o ad altre forme di psicoterapia, le sperimentazioni tutte condotte utilizzando i rispettivi manuali, le caratteristiche del campione sempre ben specificate e gli  effetti dimostrati da più di un gruppo di ricerca permettono di definire TFP, DBT e SFT trattamenti ben consolidati per il BPD.
I risultati più consolidati riguardano soprattutto l’area dei comportamenti autolesivi e dei comportamenti suicidari e parasuicidari, mentre solo la TFP si è dimostrata in grado di aumentare il livello di funzione riflessiva (considerata la variabile operazionalizzata del costrutto ‘mentalizzazione’). Rimane invece ancora un punto interrogativo sull’MBT che soddisfa tutti i precedenti criteri dell’American Psychiatric Association eccetto uno, essendo i suoi effetti dimostrati soltanto dal gruppo di ricerca che fa capo agli ideatori stessi del trattamento. Per questo motivo, il trattamento di Bateman e Fonagy può essere definito probabilmente efficace per il BPD” (p.207). 

(a cura di I.Sarno

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