ALBERTO BURRI 1947
Parole chiave: Setting; Depresssione; Giberti
Ma la depressione esiste?
Francesco Gazzillo
In un recente contributo apparso su Doppiozero (https://www.doppiozero.com/ansia-depressione-psicofarmaci) il collega Paolo Migone presenta una sintesi delle nostre conoscenze relative all’efficacia delle terapie per la depressione alla luce dei risultati delle ricerche empiriche.
E ricorda giustamente al lettore come, allo stato attuale, questi studi dimostrino la sostanziale equivalenza, in termini di efficacia, dei trattamenti farmacologici e psicoterapici, con risultati tendenzialmente migliori che si ottengono dal trattamento combinato e un numero minore di effetti collaterali delle psicoterapie. Le psicoterapie meglio empiricamente supportate per la depressione sono la terapia dinamica breve, la psicoterapia interpersonale e quella cognitivo-comportamentale, ma alcuni studi hanno anche dimostrato l’efficacia della psicoanalisi per questo tipo di patologia (vedi ad esempio Leuzinger-Bohleber et al., 2019).
Migone mette anche giustamente in evidenza come gli effetti di questi trattamenti siano spesso sì statisticamente significativi, ma non particolarmente “brillanti” dal punto di vista clinico e tutto sommato sovrapponibili a quelli del placebo, e come la psicoterapia possa essere intesa proprio come “la scomposizione dell’effetto placebo per capirne il meccanismo, massimizzarlo e stabilizzarlo”.
Altro punto messo in evidenza da Migone è che al momento, come evidenziato da uno studio pubblicato di recente su Molecular Psychiatry (Moncrieff et al., 2022), non esistono prove solide a sostegno dell’ipotesi che la depressione sia dovuta a un deficit serotoninergico, ragion per cui non ci è ancora chiaro perché gli inibitori selettivi del riassorbimento della serotonina (SSRI), effetto placebo a parte, funzionino.
Se dovessi aggiungere qualche riflessione personale, quello che direi è che forse il limite “concettuale” maggiore di questi studi è che partono da un presupposto a mio parere dubbio, e cioè dal presupposto che esista “una malattia” chiamata “depressione”.
Trovo dubbio questo presupposto per due ordini di motivi. In primo luogo, credo sia più corretto considerare la depressione come una sindrome, ovvero un insieme di segni e sintomi congiunti in modo relativamente costante che configurano uno stato di intensa tristezza che si associa a una difficoltà più o meno grave a perseguire gli obiettivi normali della vita. O, detto in modo più semplice, una forma di grave tristezza dagli esiti disfunzionali (Horwitz, Wakefield, 2015). E, in quanto tale, la depressione può essere dovuta a cause e avere significati diversi.
Gli studi di Sidney Blatt (Blatt, 2004), ad esempio, hanno differenziato una depressione anaclitica, connessa a problematiche di tipo relazionale, da una depressione introiettiva, connessa a tematiche identitarie. E, in modo analogo, Jack Panksepp (Panksepp, Biven, 212) ipotizza che esistano almeno tra tipi di depressione diversi tra loro anche per i sistemi cerebrali e i neurotrasmettitori coinvolti: uno dovuto a un deficit dopaminergico e connesso al sistema emotivo-motivazionale dell’aspettativa/ricerca, che ha grandi ricadute sull’autostima; uno connesso a un deficit serotoninergico e al sistema emotivo-motivazionale del lutto/panico, cioè dell’attaccamento; e una terza forma di depressione connessa a un’ ipoattivazione o a un’inibizione del sistema del gioco.
Blatt ha anche raccolto dati empirici che sostengono l’idea che i trattamenti più mirati all’insight gioverebbero più i pazienti “introiettivi”, mentre quelli più “anaclitici” gioverebbero più di terapie che fanno leva su fattori relazionali. E Panksepp ha argomentato in modo piuttosto convincente che i diversi tipi di depressione dovrebbero rispondere in modo diverso a farmaci che agiscono, rispettivamente, sui recettori dopaminergici, serotoninergici o connessi agli oppioidi.
In una visione ancora più idiografica, a mio parere la depressione può essere intesa come una sindrome che ha “cause” e assume sfumature, significati e funzioni diverse a seconda delle diverse storie di vita delle persone; andando al di là del ruolo eziologico ormai ampiamente provato di traumi e fattori stressanti, da questa prospettiva bisognerebbe indagare quali sono i traumi e gli eventi stressanti specifici subiti da una certa persona, quando si sono verificati, in che modo questa persona vi ha dato senso, in che modo il senso che vi ha dato ha generato la particolare costellazione di segni e sintomi che è chiamiamo depressione, ma anche come la persona “gestisce” o “usa” questa depressione e in che modo l’ambiente della persona si rapporta a essa.
Seguendo questa via, che a mio parere è profondamente psicoanalitica, la psicoterapia potrebbe giustamente incamminarsi verso la personalizzazione delle cure, in un trend che ormai anche la medicina sta intraprendendo. E forse anche la farmacoterapia potrebbe ottenere risultati migliori perché pensata in modo più fine e mirato.
Va peraltro sottolineato che questo tipo di approccio “personalizzato” non implica alcuna rinuncia alla scientificità della prassi o delle ricerche condotte. Esistono infatti metodi per la formulazione del caso, e dunque per la pianificazione del trattamento, che oltre a permettere di condurre psicoterapie “su misura”, hanno solide prove di affidabilità e si sono dimostrati correlati all’esito delle psicoterapie (per un esempio, vedi Gazzillo, Dimaggio, Curtis, 2021).
Bibliografia
Blatt, S. J. (2004). Experiences of depression: Theoretical, clinical, and research perspectives. American Psychological Association. https://doi.org/10.1037/10749-000
Gazzillo, F., Dimaggio, G., & Curtis, J. T. (2021). Case Formulation and Treatment Planning: How to Take Care of Relationship and Symptoms Together. Journal of Psychotherapy Integration, 31, 2, 115-128. http://dx.doi.org/10.1037/int0000185
Horwitz, A.V., Wakefield, J.C. (2012). La perdita della tristezza. Come la psichiatria ha trasformato la tristezza in depressione. L’asino d’oro, Roma 2015.
Leuzinger-Bohleber, M., Hautzinger, M., Fiedler, G., Keller, W., Bahrke, U., Kallenbach, L., Kaufhold, J., Ernst, M., Negele, A., Schoett, M., Küchenhoff, H., Günther, F., Rüger, B., & Beutel, M. (2019). Outcome of psychoanalytic and cognitive-behavioural long-term therapy with chronically depressed patients: A controlled trial with preferential and randomized allocation. The Canadian Journal of Psychiatry / La Revue canadienne de psychiatrie, 64(1), 47–58. https://doi.org/10.1177/0706743718780340
Moncrieff, J., Cooper, R.E., Stockmann, T. et al. The serotonin theory of depression: a systematic umbrella review of the evidence. Molecular Psychiatry (2022). https://doi.org/10.1038/s41380-022-01661-0