Parole chiave: Psicoanalisi, Fachinelli, Pontalis, Libertà
Maurizio Balsamo e Massimo Recalcati
Editoriale
La libertà della psicoanalisi
L’esperienza della psicoanalisi come esperienza di libertà è una definizione che possiamo ricavare dall’opera di due grandi psicoanalisti quali sono stati Elvio Fachinelli e Jean-Bertrand Pontalis, ai quali Frontiere dedica questo numero speciale. Questa definizione non si limita a riconoscere il carattere profondamente laico della psicoanalisi (Laienanalyse) che, come già riconosceva Freud, è tale perché ignora le verità assolute, ma ci spinge a riconoscere nell’analisi stessa un processo che tende a consentire l’accesso di ogni soggetto alla propria più radicale libertà. Se Freud aveva insistito nel porre in evidenza lo statuto eterodeterminato del soggetto – la sua dipendenza dalle fissazioni libidiche, dai condizionamenti famigliari, dall’Edipo o dalla sua assenza, dai traumi infantili, dal comandamento del Super-io sociale, dai legami collettivi, ecc. –, la psicoanalisi non può rassegnarsi a nessun determinismo. In questo senso pensare psicoanaliticamente il soggetto significa pensare la sua libertà. Ma di quale libertà parliamo? «Il concetto più utile da considerare – scrive a questo proposito Winnicott –, è che nello stato di salute psichica vi è “flessibilità” dell’organizzazione difensiva, mentre nella malattia le difese sono relativamente rigide.
Nella salute mentale, per esempio, si può rintracciare il senso dell’umorismo come parte della capacità di giocare, che costituisce come uno spazio nell’area dell’organizzazione difensiva. Questo spazio conferisce senso di libertà sia al soggetto sia a quelli che sono o vorrebbero essere coinvolti emotivamente da lui.
Nel caso più estremo di malattia mentale non c’è alcuno spazio nell’area dell’organizzazione difensiva, tanto che il soggetto è irritato dalla propria stabilità nella malattia. È questa rigidità delle difese che fa sì che il soggetto si lamenti della mancanza di libertà»1.
L’osservazione di Winnicott prende in considerazione due versioni fondamentali della libertà che l’esperienza analitica pone egualmente in risalto: quella relativa alla libertà negativa, libertà dai conflitti, da un sistema difensivo troppo
rigido, da uno stato di malessere o di sofferenza e quella della libertà positiva 2, ovvero di una libertà che è data dalla crescita psichica, dalla capacità di istituire uno spazio di gioco all’interno dell’organizzazione difensiva. È la posta in palio di ogni analisi: potenziare la capacità propulsiva-trasformativa del soggetto, fare della libertà una condizione generativa. La dimensione di gioco inerente alla processualità psichica, alla sua possibilità di sviluppo e di arricchimento, rende conto di un’esigenza fondamentale, quella di riuscire a creare una capacità soggettiva di modifica, rilettura, ripensamento delle regole stabilite, delle norme prescritte, delle coercizioni ambientali, della fissità del proprio stesso passato. Si tratta di ridare al soggetto la sua capacità inventiva, di allargare i suoi orizzonti, di rendere possibile l’apertura all’imprevisto, all’ignoto, di consentire il riattraversamento dei propri confini identitari, le forme e le strutture della rimozione, del diniego e delle proprie scissioni. In termini analoghi si esprime Green quando parla del lavoro in seduta come «un lavoro di immaginarizzazione dell’ascolto dell’analista in rapporto al discorso del paziente. Una volta che il senso manifesto del discorso è stato compreso, ancora bisogna immaginarlo,figurarlo, renderlo visibile per il pensiero dell’analista. Per questo motivo io faccio riferimento al soggetto che gioca, al soggetto in grado di trasformare se stesso e le regole del gioco» 3. Il soggetto – in altri termini – è esso stesso questo gioco come espressione del «potere creatore dell’inconscio» 4.
Questo assunto di metodo custodisce la dimensione creativa che è al cuore dell’esperienza analitica. L’analisi, «liberando il paziente dalle proprie sofferenze gli offre una nuova libertà: crescere psichicamente. Ciò non vuol dire
che essa fa accadere automaticamente questa crescita. Si ha la scelta sui modi di servirsi della libertà, una scelta allo stesso tempo conscia ed inconscia. Nei fatti, questa libertà rappresenta un invito ad assumersi la responsabilità della propria crescita psichica» 5. Ma allora, come possiamo spiegare invece la possibilità, – come faceva già notare Kernberg in un’osservazione, divenuta celebre 6, che l’istituzione analitica possa essere messa al servizio del conformismo, della necessità di ripetizione dei concetti già noti, delle forme espressive predominanti, piegando l’analista in formazione, e non solo, a divenire servitore della chiusura del pensiero e dell’abolizione della libertà soggettiva, riducendo la formazione stessa ad una operazione di mera conformazione? … Continua a leggere
Maurizio Balsamo (Roma), psichiatra, psicoanalista con funzioni di training della SPI, già Maître de conférences e Direttore di ricerca all’Université de Paris VII.
Massimo Recalcati (Milano), psicoanalista, membro della Società milanese di psicoanalisi, fondatore di Jonas Onlus, docente all’Università di Pavia.
Note
1 D.R. Winnicott, Dal luogo delle origini, Cortina, Milano, 1990, p. 213.
2 M. Parsons, Jouir d’une liberté sérieuse, «Annuel de l’APF», 2017, 1.
3 F. Urribarri, Dialoguer avec Green, Ithaque, Paris, 2013, p. 35.
4 A. Green, La follia privata, Raffaello Cortina, Milano, 1991, p. 19.
5 M. Parsons, op. cit., p. 8.
6 O.F. Kernberg, Trenta metodi per distruggere la creatività dei candidati (1996), in Id., Psicoanalisi e formazione, FrancoAngeli, Milano, 2018.