Il mito e la cura. Proposta di un’esperienza di gruppo in Medicina Narrativa con pazienti neurologici
*Psicologa, Psicoterapeuta, Ricercatrice presso I.R.C.S.S. (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico), Lido di Venezia.
**Musico-arte terapeuta, presso dipartimento neuroriabilitazione I.R.C.C.S. (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico), Lido di Venezia.
***Neurologa, Departmento di Unit Complex spinal cord injury, multiple sclerosis, (I.R.C.S.S.), Lido di Venezia.
****Neurologa, Responsabile Dipartimento di Neuropsicologia e di Riabilitazione Neuropsicologica presso I.R.C.S.S, Lido di Venezia.
*****Psichiatra, Psicoterapeuta, Psicoanalista (S.P.I.) e (I.P.A). membro Psychodynamic Psychoanalytic Research Society (PPRS) , Venezia, Modena.
******Ricercatore, Docente di Diagnosi Psicoanalitica in età adulta, Università degli Studi di Padova, Psicoterapeuta, Candidata S.P.I. e I.P.A., Padova.
Relazione presentata nel III Seminario Nazionale di Studi sulla “Ricerca Empirica in Terapia Psicodinamica di Gruppo”. Padova, 22-23 febbraio 2013
Discussant: F. Del Corno, M. Di Blasi
Moderatore: E. Feruzza
Introduzione:
Da oltre tre anni presso l’IRCSS S. Camillo (Lido di Venezia) si applica la medicina narrativa tramite costruzione delle storie all’interno dei gruppi di MusicArTerapia. L’utilizzo del gruppo e dei laboratori espressivo- narrativi consente di poter affrontare tematiche altrimenti difficili da trattare singolarmente. L’analisi delle storie prodotte dai pazienti nei laboratori di medicina narrativa hanno messo in risalto come l’utilizzo spontaneo della metafora e del simbolo fosse facilmente compreso e condiviso dal gruppo. Sappiamo inoltre quanto la metafora, con il suo intrinseco concetto di mobilità, possa accrescere e favorire aspetti dinamici e transitivi dei singoli e dei singoli all’interno di un gruppo. Si è pensato quindi di utilizzare un particolare strumento come quello del il mito, già codificato culturalmente, come medium per sviluppare ulteriormente questi processi di elaborazione. Il mito, a differenza del sogno, offre una visione dell’immaginario che si declina nello spazio pubblico e condiviso.
Si viene quindi a costituire un’area di creatività condivisibile da tutti i membri del gruppo che consente, attraverso uno sguardo interlocutorio reciproco, la possibilità di liberarsi dagli stereotipi e di fondare una identità attraverso un confronto ed uno scambio tra i singoli.Il mito ha un rapporto metaforico con le difficoltà che si vogliono affrontare, così, senza presentare un rapporto razionale evidente con il problema, riesce ad eludere l’intenzionalità cosciente del soggetto. Le metafore (‘meta-fora’; ‘portare-oltre’) consentono quindi, di aggirare le resistenze che il paziente oppone al cambiamento: sono un modo indiretto di suggerire delle piste e delle vie di soluzione di problematiche profonde.
L’arteterapia è una disciplina che prevede l’utilizzo del processo creativo grafico‐plastico‐pittorico a scopo terapeutico, favorendo un’espressione di sé che va al di là e oltre la verbalità e che arricchisce la comunicazione di contenuti nuovi (Del Corno, 1989). Le questioni che fanno da cornice alla definizione di queste discipline sono inerenti alla loro storia, ai differenti modelli teorici, a ciò che riguarda il setting e la relazione terapeutica (che nell’ambito delle terapie espressive è sempre una tri‐relazione, nella misura in cui coinvolge operatore, paziente, elemento artistico), alle modalità di valutazione dell’efficacia terapeutica e a ciò che riguarda la neurofisiologia della musica e dell’arte. Queste ultime questioni risultano fondamentali e irrinunciabili in quanto l’arte in genere ha un legame forte con la mente e con il corpo, e ogni intervento di musicoterapia e/o di arteterapia non può prescindere dalla considerazione degli effetti che la musica e l’arte producono in chi ne fa esperienza a livello neurofisiologico, e quindi anche cognitivo, motorio, emozionale
Gli ambiti di applicazione delll’arterapia che stanno ricevendo un’attenzione sempre maggiore dalla letteratura scientifica, sono tre (Manarolo, 2006): interventi di tipo preventivo (gravidanza, primissima infanzia, scuole, istituti detentivi), interventi con valenze riabilitative (deficit mentale, deficit motorio, plurihandicap) e interventi con valenze psicoterapiche (autismo, psicosi,nevrosi, pazienti psicosomatici, pazienti oncologici, pazienti terminali, pazienti in coma, terapia della famiglia).
Per quanto riguarda l’arteterapia nel contesto più strettamente ospedaliero, nel 1994 l’American Art Therapy Association ha ufficialmente riconosciuto la Medical Art Therapy, ovvero l’utilizzo dell’espressione artistica e dell’immaginazione con persone che hanno subito un trauma fisico, cioè eventi con effetti traumatici acuti quali ad esempio incidenti, diagnosi infauste, ustioni. Questa disciplina può essere applicata anche con pazienti affetti da malattie croniche e degenerative che necessitano di cure prolungate, soprattuttoquando gli effetti di queste cure sono pesanti (chemioterapia, chirurgia invasiva).
In un ambito complesso e delicato come quello della riabilitazione neurologica, attraverso le terapie espressive praticate in setting gruppale, i pazienti che faticano ad esprimere verbalmente le proprie emozioni trovano una nuova forma comunicativa che coinvolge suoni e immagini. I materiali artistici e musicali forniscono un mezzo di comunicazione aggiuntivo o alternativo alle parole, e le produzioni artistiche sono molto importanti nella comprensione del gruppo nella sua totalità. L’arte ha un legame profondo con la mente, il corpo e lo spirito; facendo arte si possono esplorare, esprimere e affrontare temi relativi a tutti e tre questi ambiti (Malchiodi, 2009). Questa osservazione riporta all’ulteriore potenziale che questo genere di interventi può avere con persone colpite da malattie degenarative, attraverso un lavoro di recupero, consapevolezza e ricostruzione della propria immagina corporea.
La revisione della letteratura scientifica riguardante questi temi mostra come l’utilizzo sempre crescente delle terapie espressive in questo settore abbia effetti importanti e benefici in grado di diminuire il dolore percepito, aumentare il tono dell’umore, permettere l’espressione di emozioni profonde, accrescere le comunicazioni, migliorare la qualità di vita dei pazienti. (Boldt, 1996; Burns, 2001; Nainis, Paice, Ratner, Wirth, Lai, & Shott, 2006; Sabo & Michael, 1996; Sahler, Hunter, & Liesveld, 2003; Weber, Nuessler, & Wilmanns, 1997; Zimmerman, Pozehl, Duncan, & Schmitz, 1989). Diversi studi più specifici sull’utilizzo delle terapie espressive rivolte a donne con tumore al seno hanno rilevato come arte e musica siano in grado di migliorarne qualità di vita, risorse di coping e capacità espressive, oltre che abbassarne il livello di ansia e depressione e favorire una ridefinizione dell’immagine corporea (Bulfone, 2009; Oster, 2006; Slakov, 2003;Svensk, 2009, Thyme, 2009)
Obiettivi:
La presente ricerca prevede l’osservazione di alcuni parametri all’interno di un gruppo condotto da una musicarterapeuta e da una psicologa psicoterapeuta. L’obiettivo è quello di facilitare le persone ricoverate in un centro di riabilitazione neurologica a riconoscere ed esprimere le proprie emozioni partendo dalla rielaborazione personale del mito. Valutare come può cambiare l’immagine corporea e la percezione della storia di malattia in un trattamento di gruppo con i laboratori espressivi-narrativi. Valutare quanto i laboratori espressivi- narrativi possano facilitare il paziente a vivere se stesso in modo differente attraverso il confronto e il rispecchiamento con gli altri membri del gruppo.
Materiali e metodi
I destinatari di questo studio saranno i pazienti ricoverati presso l’IRCSS S. Camillo per un ciclo di riabilitazione intensiva. Il progetto durerà un anno, verranno seguiti sei gruppi dalla durata di un mese ognuno. Saranno reclutati pazienti con patologie degenerative croniche e con capacità cognitive discretamente conservate, ma con vari livelli di disabilità motoria.
Il gruppo è composto da un minimo di 4 pazienti a un massimo di 6 pazienti.
Il gruppo è a numero chiuso e viene effettuato un colloquio individuale con i vari membri del gruppo per valutare la possibilità effettiva dell’inserimento in gruppo. I criteri di esclusione seguono i criteri standard di esclusione per la terapia di gruppo.
Le conduttrici sono una psicologa psicoterapeuta e una musicarterapeuta.
Sono previsti 8 incontri di 1 ora ciascuno, distribuiti in 2 volte alla settimana per 4 settimane di cui il 4°, 6°,7° incontro, riguardano i laboratori espressivi-narrativi.
Il primo laboratorio consiste nella creazione tramite tecnica di collage del proprio labirinto personale.
Il secondo laboratorio consiste nel ricostruire attraverso la narrazione scritta una situazione “labirintica” reale o anche puramente inventata e nella descrizione delle modalità in cui se ne è usciti.
Il terzo laboratorio invita alla narrazione scritta in cui viene dato come stimolo il cambiamento.
Il progetto di ricerca prevede la somministrazione di due questionari self-report prima del ciclo di incontri (t0) e al termine degli incontri (t1) e di due questionari self-report nel corso del trattamento al fine di monitorare l’andamento del processo terapeutico. Nello specifico gli strumenti di analisi utilizzati sono:
1. SCL- 90R
La SCL-90-R è un questionario autosomministrato, che fornisce una misura standardizzata dello stato psicologico e/o psicopatologico attuale di un individuo. La scala SCL-90-R è composta da 90 item: a ogni item viene attribuito un punteggio su una scala Likert a cinque punti dove il soggetto fornisce una valutazione da 0 (per niente) a 4 (moltissimo) riferiti agli eventuali sintomi provati nel corso dell’ultima settimana fino al giorno della valutazione (Preti E., Prunas A., Sarno I. 2011). Le risposte fornite dal soggetto vengono interpretate sulla base di nove dimensioni sintomatologiche:
Somatizzazione (SOM): riflette il disagio derivante dalla percezione di disfunzioni del proprio corpo e include sintomi che riguardano l’apparato cardiovascolare, gastrointestinale e respiratorio. Inoltre include i sintomi algici e gli equivalenti somatici dell’ansia;
Ossessività-Compulsività (O-C): gli item indagano la presenza di pensieri, impulsi e azioni sperimentati soggettivamente come persistenti e irresistibili e che sono di natura egodistonica o indesiderati;
Ipersensibilità interpersonale (I-S): si focalizza sui sentimenti di autosvalutazione, inadeguatezza e inferiorità soprattutto nelle relazioni sociali che producono disagio intenso, estrema ipersensibilità rispetto al Sé e aspettative negative riguardo ai comportamenti interpersonali;
Depressione (DEP): i sintomi di questa scala coprono le manifestazioni cliniche della depressione e includono affetti disforici, ritiro dell’interesse nella vita, mancanza di motivazione e perdita di energia vitale, disperazione, pensieri suicidari e altri correlati cognitivi e somatici della depressione;
Ansia (ANX): include segni generali di ansia quali nervosismo, tensione e tremori, attacchi di panico e sentimenti di terrore, apprensione e paura;
Ostilità (HOS): riflette pensieri, sentimenti e comportamenti caratteristici dello stato affettivo negativo della rabbia con tutte le modalità di espressione e manifestazione come l’ aggressività, l’irritabilità e il rancore;
Ansia fobica (PHOB): si riferisce a una risposta persistente di paura verso una specifica persona, luogo, oggetto o situazione percepita come irrazionale e sproporzionata allo stimolo e conduce a comportamenti di evitamento o fuga;
Ideazione paranoide (PAR): espressioni primarie di questo disturbo sono: pensiero proiettivo, ostilità, sospettosità, grandiosità, autoriferimento, paura di perdita dell’autonomia e deliri;
Psicoticismo (PSY): include item indicativi di uno stile di vita introverso, isolato, schizoide, così come sintomi caratteristici della schizofrenia, come allucinazioni e disturbi del controllo del pensiero.
Sono inoltre presenti sette item che non vengono inclusi in nessuna delle dimensioni sintomatologiche primarie ma contribuiscono a integrare i punteggi globali della SCL-90-R e ad arricchire la lettura clinica del profilo.
Oltre ai punteggi relativi alle specifiche dimensioni sintomatologiche è possibile anche calcolare tre indici globali che fungono come indicatori di gravità sintomatologica e disagio psichico, quindi rilevano l’intensità e la profondità del disagio psicologico della persona. I tre indici globali sono:
Global Severity Index (GSI): è l’indice globale dell’intensità del livello di disagio psichico che integra informazioni riguardanti il numero di sintomi riferiti e l’intensità del disagio percepito;
Positive Symptom Total (PST): costituisce una misura dello stile di risposta e indica se il rispondente ha accentuato o minimizzato il proprio disagio sintomatologico;
Positive Symptom Distress Index (PSDI): riflette solamente il numero di sintomi riferiti dal soggetto, indipendentemente dall’intensità del disagio ad essi associato (Preti E., Prunas A., Sarno I. 2011, Derogatis L. R. 2011).
Come si può notare la SCL-90-R rileva sintomi internalizzanti come depressione, somatizzazione e manifestazioni di ansia e sintomi esternalizzanti come aggressività, ostilità e impulsività coprendo un ampio spettro psicopatologico (Preti E., Prunas A., Sarno I. 2011).
2. TAS- 20 (Toronto Alexithymia Scale)
La TAS-20 è un questionario self-report costituito da 20 item, che indaga le aree alessitimiche dei soggetti. Prevede una risposta su una scala likert a 5 punti dove 1 corrisponde a “non sono per niente d’accordo” e 5 corrisponde a “sono completamente d’accordo”.
Nella valutazione dei dati, oltre a informazioni relative alla somma totale dei singoli punteggi di ogni item, è possibile calcolare i punteggi che si richiamano agli item delle tre dimensioni che definiscono il costrutto di alessitimia:
Difficoltà nell’identificare i sentimenti ( F1) item: 1,3,6,7,9,13,14
Difficoltà nel comunicare i sentimenti agli altri (F2) item: 2,4,11,12,17
Pensiero orientato all’esterno (pensiero operatorio) (F3) item: 5,8,10,15,16,18,19,20.
3. FAT A.S.-G (Fattori specifici e aspecifici nei gruppi)
Il questionario self-report utilizzato per indagare i fattori specifici e aspecifici della psicoterapia di gruppo è il FAT.A.S.-G (Fattori terapeutici aspecifici e specifici nei gruppi). Tale strumento nasce da una ricerca condotta presso i laboratori dell’Università di Padova (L.I.R.I.P.A.C.) da parte della Dott.ssa Cristina Marogna. Lo strumento è stato costruito a partire dalla letteratura già esistente sui fattori terapeutici di gruppo e sulle ricerche connesse più recenti.
Prendendo in considerazione diversi autori quali Yalom (1997) e MacKenzie (2004) e alcuni strumenti quali il GrEThA-Q (Giorgi et al., 2006) e il QCG (Questionario sul Clima di Gruppo di MacKenzie 1981), che hanno indagato l’esperienza terapeutica sui gruppi.
Il questionario FAT.A.S.-G, costituito da 41 item, presenta due differenti versioni: una per i pazienti e una per il terapeuta ed eventualmente per il co-terapeuta e operatori che partecipano alle sedute. I quesiti posti ai pazienti riguardano principalmente come si sentono in gruppo, qual’è il loro personale contributo al gruppo e quanto pensano sia utile parteciparvi. In corrispondenza, ai terapeuti è chiesto di valutare il gruppo in questi stessi aspetti.
I fattori implicati nel processo terapeutico sono perciò rappresentati da 41 items e il soggetto può rispondere in base ad una scala Likert da 0 a 4 punti, in cui 0 corrisponde al “non accordo”, e 4 al “totale accordo”.
Lo scopo principale dello strumento è perciò quello di cogliere i mutamenti del gruppo dettati dalla maggiore o minore presenza dei fattori terapeutici, così da giungere ad una valutazione del processo. Inoltre può essere d’aiuto al terapeuta, comprendere l’andamento della terapia e come viene avvertito il gruppo soprattutto per valutare, in base alle affermazioni dei pazienti, se ricavano effettivamente un beneficio dal potenziamento degli indicatori che descrivono i vari fattori terapeutici. Grazie al Questionario è possibile avere una visione sul processo psicoterapeutico di gruppo in base alle risposte date dai membri, come anche una visione esterna che permetta un confronto tra ciò che è osservato e ciò che è percepito.
4. Questionario sul clima di gruppo
Il questionario sul clima di gruppo (Mackenzie, 1981) è basato sull’assunto che il “clima” o l’atmosfera psicologica del gruppo possa essere esplicitata dalla percezione dei membri attraverso un numero di costrutti. Il clima instaurato tra i membri è indicativo del fattore terapeutico “coesione di gruppo”.
Il GCQ è un questionario self report costituito da 12 items, con scala Likert di 7 punti, che costituiscono tre sottoscale relative al livello d’impegno, al livello di conflitto, e al livello di evitamento di responsabilità per il lavoro di gruppo. La procedura di scoring prevede la somma dei punteggi degli itmes per ogni subscala.
Le subscale considerate sono:
a. coinvolgimento, indicatore di coesione (items 1, 2, 4, 8, 11);
b. conflitto, indicatore di rabbia e rifiuto (items 6, 7, 10, 12);
c. evitamento, indicatore di riluttanza ad affrontare i problemi (items 3, 5, 9);
Le potenzialità di applicazione clinica di questo strumento di facile somministrazione sono molteplici e riguardano in generale la possibilità di descrivere l’andamento del processo di una terapia di gruppo, il clima che connota le sue differenti fasi di sviluppo e di evidenziare in modo oggettivo se si siano effettivamente create le precondizioni affinchè possano verificarsi i fattori terapeutici necessari al cambiamento.
Svolgimento degli incontri e scelta del mito:
Il mito scelto è “il mito di Arianna”
Gli incontri si sono svolti nel seguente modo:
1 inc: conoscenza tra i vari membri del gruppo e presentazione del lavoro e degli obiettivi che vengono esplicitati.
2 inc: lettura del mito e utilizzo di materiale visivo e scritto per memorizzare il mito
3 inc: discussione in profondità vari elementi del mito (associazioni libere)
4 inc: laboratorio di collage: ognuno costruisce il proprio labirinto
5 inc: ognuno commenta il lavoro dell’altro
6 inc: viene chiesto ai vari membri del gruppo di rappresentare verbalmente il mostro e successivamente di scrivere una situazione labirintica che hanno vissuto e come ne sono usciti
7 inc: discussione della situazione labirintica e varie strategie a confronto
8 inc: restituzione e saluti
Discussione:
Come emerge da numerosi studi, caratteristiche comuni a questi pazienti sono una fragilità del senso di Sé, un indebolimento delle capacità dell’io di assolvere le proprie funzioni e un uso di meccanismi di difesa primitivi.
Ci sembra quindi che la modalità di intervento proposta, con i laboratori di MusicArTerapia (e Medicina Narrativa) ed il suo sviluppo all’interno di un gruppo, sia il setting privilegiato per lavorare con persone che presentano questi tipi di problematiche.
Nella nostra ricerca si è usata l’immagine del labirinto che fa parte della storia della cultura e come tutti i simboli ancora vivi si sottrae a definizioni e riduzioni. Ne abbiamo tracce “visive” fin dal neolitico e la sua radice etimologica, per quanto ancora incerta, ci porta a popolazioni presenti prima dei greci nel bacino del mediterraneo. Sembra che inizialmente fosse concepito come un “canale di movimento”, dove i danzatori, procedendo tenendosi per mano, davano corpo ad un flusso, ad un succedersi di mutamenti.
Procedendo di smarrimento in smarrimento il labirinto diventa allora, dice Corrao, “Griglia” di senso, metaforica e mitica insieme, che consente l’esperienza di un “perturbante” “essere afferrati”, dominati, attratti e guidati da una Verità che supera l’Intelletto e la Coscienza […], per affondare le radici nel territorio buio dell’Ignoto e dell’Inconscio, al fine di un contatto asintotico con una sfera complessa e caotica, densa di esistenza e realtà insieme che dischiuda la possibile comprensione del misterioso vincolo che lega il corporeo e il mentale, l’antropico e l’animale, la dimensione fisica a quella biologica, il “reale” e l’”immaginario”, l’individualità e la pluralità, la permanenza e il cambiamento. La crescita trasformativa non avviene attraverso adagi regressivi, ma sempre attraverso un “andare avanti”, non si torna indietro dal labirinto, si esce trasformati.
Per evitare di perdersi nel labirinto c’è bisogno di una mappa o di un filo o dell’aiuto divino. Per non perdersi nel deserto, bisogna esserne abitanti. Perdersi, per l’appunto non indica una azione riflessiva, come pensarsi, parlarsi, toccarsi. In realtà ci si trova perduti, dove l’azione riflessiva è il cercarsi e il ritrovarsi, non il perdersi. In realtà intenzionalmente non ci si può perdere. L’immersione nell’estraneo è condizione necessaria ma non sufficiente della sopraffazione di esso sui nostri sensi nella forma di stupore e spavento. (F. La Cecla).
I miti e la loro narrazione ci appaiono, quindi, come possibili risorse in grado di favorire, sia i processi trasformativi della mente, che, allo stesso tempo, fungere da ponte tra i diversi piani di realtà, esterna ed interna.
L’analisi quantitativa dei questionari è in fase di elaborazione, da una preliminare elaborazione emerge come la capacità di produrre racconti mitologici, altrimenti detta ‘funzione mitopoietica’ sia una funzione fondamentale per la salute psichica dell’essere umano. Questa rappresenta, inoltre, la possibilità di indagare la relazione che esiste tra realtà esterna ed interna dell’individuo.
La paura dell’evolversi della malattia e della conseguente disabilità, se in una prima fase stimola una profonda e quasi insostenibile angoscia, in un secondo tempo porta ad interrogarsi sul senso della propria esistenza e sul bisogno di attribuirle un significato.
Attraverso il lavoro di gruppo, si crea la possibilità di valorizzare le caratteristiche personali dei pazienti, che non sono più riconducibili soltanto al proprio essere in senso fisico ed aumenta l’osservazione di sé e la possibilità di vedersi come persona, nella propria complessità psico-fisica.