Conrotto F. (2013). Quale ricerca per la psicoanalisi? Relazione presentata al Seminario Nazionale di inizio d’anno dell’Ist.di Training (Soc.Psicoanalitica Italiana) 16-17 nov. 2013 – Roma
Il titolo della nostra Sezione di lavoro ripete quello di un volume pubblicato nel 2002 a cura di V. Bonaminio e P. Fabozzi, nel quale erano confrontate le opinioni e i giudizi di numerosi autori circa il significato e il valore della ricerca in psicoanalisi e, implicitamente, si affrontava la questione dello statuto epistemologico della nostra disciplina.
Come ben sappiamo, Freud, per tutto il corso della sua vita, ha ritenuto che la disciplina che egli aveva creato dovesse far parte a pieno titolo delle scienze. Inoltre, egli riteneva che non ci fosse distinzione tra scienze naturali e scienze umane ma che la scienza fosse una sola. Ciò nonostante, non aveva grande attrazione per l’aspetto sperimentale di laboratorio.
La questione della scientificità non è stata al centro dei dibattiti tra gli psicoanalisti negli anni in cui Freud era ancora in vita e le eventuali divergenze tra lui e i suoi colleghi e discepoli si manifestavano su altri aspetti della psicoanalisi.
Il problema della scientificità della psicoanalisi si è cominciato a porre in maniera forte intorno alla metà del 20° secolo negli Stati Uniti (Conrotto 2000) ove, da un lato l’accesso alla formazione psicoanalitica e, quindi, la pratica psicoanalitica era permessa soltanto ai medici,- così è stato fino alla metà degli anni ottanta, – sia perché, nelle Università americane, la teoria della psicologia egemone era il comportamentismo che si presentava come una disciplina rigorosamente scientifica.
E’ toccato alla Ego-Psychology, che era la corrente psicoanalitica che ha dominato la psicoanalisi negli Stati Uniti fino all’inizio degli anni settanta e che si presentava come l’erede legittima della psicoanalisi freudiana, di assumersi il compito di sostenere l’appartenenza della nostra disciplina al mondo delle scienze. I contributi di alcuni dei più rilevanti esponenti di questa scuola di pensiero erano volti proprio in questa direzione, anche se ciò ha provocato alcune significative modifiche dell’impianto freudiano originario. Hartmann, che insieme a Kris e a Lowenstein, è stato tra gli esponenti di maggior rilievo di questa scuola di pensiero, affermava che la psicoanalisi fosse una scienza del comportamento, ampliando in questo modo, enormemente, il concetto di comportamento. Egli ha sostenuto anche che la psicoanalisi fosse una psicologia generale nonché una branca della biologia. Inoltre, facendo riferimento al concetto freudiano dell’Io, come era stato sviluppato nella seconda topica, introdusse nella metapsicologia il concetto di “adattamento” e teorizzò l’esistenza di una zona dell’Io libera da conflitti, da cui è derivata la tesi di un’autonomia primaria dell’Io.
In questo modo, il punto di vista energetico veniva ad essere attenuato a favore di quelli genetico e strutturale (topico-stutturale). Ma, nonostante queste trasformazioni in direzione di un assetto più compatibile con le scienze naturali dell’epoca, nel Congresso organizzato nel 1958 alla New York University, la presentazione della psicoanalisi fatta da H. Hartmann non ricevette il riconoscimento sperato. Infatti, il filosofo della scienza E. Nagel affermò che le ipotesi psicoanalitiche erano quantomeno “non provate”, in quanto, non era affatto possibile controllare l’efficacia e l’effetto degli interventi dello psicoanalista in seduta, né riprodurre sperimentalmente la situazione analitica. A volte le formulazioni metapsicologiche apparivano “locuzioni prive di senso”.
D. Rapaport, a sua volta, ha dedicato tutto il suo impegno teorico al tentativo di rendere la teoria psicoanalitica una psicologia generale passibile di verifica empirica e articolata in un sistema ipotetico-deduttivo. Il suo impegno si è rivolto al rafforzamento del punto di vista strutturale della metapsicologia, già sviluppato da Hartmann, e di una Psicologia dell’Io, focalizzata sui processi di adattamento dell’Io, come il padroneggiamento della realtà esterna e la comprensione dei processi di pensiero. Secondo Rapaport, la psicoanalisi, in virtù del suo metodo storico-clinico, sarebbe in grado di superare la distinzione tra scienze ideografiche che si occupano dei fenomeni unici, come ad esempio la storia, e scienze nomotetiche, quali sono le scienze naturali che si occupano di fenomeni riproducibili ed enunciano leggi generali. A parere di Rapaport, la psicoanalisi, pur essendo una scienza ideografica, rimane altrettanto una scienza nomotetica.
In realtà, neanche lo sforzo di Rapaport fu sufficiente a far accogliere la psicoanalisi tra le scienze della natura ed egli fu accusato di aver attribuito uno statuto metafisico agli assi portanti della teoria psicoanalitica da cui ne derivava che non potesse essere accettata l’equiparazione tra “energia fisica” e “energia psichica”.
Fu proprio tra i collaboratori di Rapaport che incominciarono a sorgere le critiche alla sua impostazione. Rosemblatt e Thickstun notarono che la metafora della forza veniva trasformata in un fenomeno oggettivo. Da ciò derivava che solo qualora le teorie psicoanalitiche avessero una corrispondenza con “cose”, cioè con dati oggettivi, potessero essere accettate, il che mostrava che l’epistemologia corrente adottava un criterio corrispondentista. Per questi motivi, essi proposero di rinunciare ai referenti metapsicologici a favore di referenti neurofisiologici. Si aprì così la strada alla ricerca neurobiologica in psicoanalisi.
Holt propose di stimolare l’osservazione in psicoanalisi attraverso la registrazione delle sedute. Rubinstein suggerì di adottare un modello fondato sulla teoria degli insiemi e sulla informatica – la mente computer.
Peterfreund suggerì di abbandonare i modelli fisicalisti a favore della teoria dell’informazione.
G. S. Klein ritenne di abbandonare qualsiasi tentativo di fare della psicoanalisi una teoria scientifica e suggerì di tralasciare la metapsicologia a favore della sola teoria clinica. Il modello di riferimento per la psicoanalisi doveva essere quello della storia. Da lui, si diparte la corrente di pensiero narratologico che vide poi in Spence il suo capofila.
Schafer abbandonò la metapsicologia per il “linguaggio dell’azione” e lo stesso fece M. Gill che propose che la psicoanalisi fosse inserita nelle scienze sociali.
Sull’onda di queste posizioni si è andata sviluppando la Infant Reserch, la cui lontana origine risale agli anni quaranta in Gran Bretagna ove, durante le discussioni controverse tra i kleiniani e i seguaci di A. Freud, qualcuno propose di affidarsi all’osservazione diretta dei bambini e dei lattanti allo scopo di verificare o meno la giustezza delle posizioni kleiniane. Da ciò, prese origine la infant observation che è divenuta prassi nelle scuole di formazione in psicoanalisi dell’infanzia.
Negli Stati Uniti, l’ Infant Reserch si è sviluppata ad opera di D. Stern e poi, in Gran Bretagna, ad opera di P. Fonagy, mentre si è aperta la strada al Relazionalismo e all’Intersoggettivismo
Mentre in area anglosassone le cose si sono svolte in questa maniera, nell’Europa continentale, la questione della ricerca in psicoanalisi si incrociava con quella dello statuto scientifico ed epistemologico della disciplina.
Tralascio, per brevità, le critiche di Habermas alla pretesa della psicoanalisi di presentarsi come disciplina scientifica da cui il suo suggerimento di liberarsi dell’ “autofraintendimento scientifico” e quelle di Ricoeur che riteneva che la logica scientista dovesse essere rigettata per far posto alla logica dell’ermeneutica, incentrata sulla ricerca del significato.
Intanto, non bisogna dimenticare che nel pensiero psicoanalitico si era andata affermando l’importanza del controtransfert, inteso ormai non più solo come “macchia cieca” da cui liberarsi attraverso l’analisi personale dell’analista e la successiva autoanalisi, ma come strumento di comprensione del transfert.
Sul versante di quanti hanno ritenuto che le scienze osservative sono irrilevanti per la comprensione dell’inconscio si è distinto in particolar modo A. Green (Bonaminio e Fabozzi 2002) che ha sostenuto che le scienze osservative eliminano il soggetto dal campo della ricerca e dalla teoria, per cui la psicoanalisi, che si fonda sulla relazione analista/analizzando nella situazione analitica, non può essere considerata una scienza della natura. I processi inconsci obbediscono ad un’altra logica che non è quella del vero/falso. Pertanto, la psicoanalisi utilizza i modelli biologici come metafore e come supporto alla speculazione metapsicologica. A suo parere, l’osservazione non ci dice nulla per cui bisogna distinguere tra il bambino “reale”, oggetto della osservazione che può essere utile per la psicologia che si occupa dei processi psichici coscienti, e il bambino “vero”, che è quello che emerge dal divano dello psicoanalista. Pertanto, a suo parere, la metapsicologia non è il fondamento extra-clinico della psicoanalisi ma è fatta da schemi atti a formulare congetture e metafore per mettere in forma i processi inconsci.
Ma, se l’osservazione e l’Infant Reserch non era accolta da parte di molti psicoanalisti, i contributi degli studi di neurobiologia sembravano confermare indirettamente alcune ipotesi teoriche della psicoanalisi (Pommier 2007).
Più recentemente G. Pragier e S. Faure-Pragier (2007) hanno proposto di utilizzare, in senso metaforico, quale tratto caratteristico della psicoanalisi, non più la fisica newtoniana e la biologia ma la teoria dei quanta. Infatti, l’inconscio è inconoscibile direttamente come lo sono le particelle sub-atomiche e, in entrambe le situazioni, l’introduzione dell’osservatore modifica l’oggetto osservato. A loro parere, la costruzione teorica è una fiction o una “simulazione”. La conoscenza psicoanalitica è dunque una co-costruzione analista/analizzato. Da ciò, ne deriva l’esigenza di ipotizzare una topica della coppia analitica a lavoro. Come nella fisica sub-atomica, l’oggetto della ricerca è percepito attraverso i suoi effetti e non direttamente.
L’après-coup è un esempio dell’inversione della freccia del tempo per cui è il dopo che crea il prima.
A loro parere, il sistema Inc. deve essere inteso come un sistema di autorganizzazione che procede in maniera ricorsiva.
Infine, anche la teoria dell’osservazione prevede una metapsicologia implicita dell’osservatore, in quanto non esiste una “immacolata” osservazione ma questa è condizionata dalle influenze che le differenti teorie al riguardo hanno su di esso.
Bibliografia
Bonaminio V. e Fabozzi P. (a cura di) (2002) Quale ricerca per la psicoanalisi? Milano.
Conrotto F. (2000) Metapsicologia: da Freud agli Stati Uniti, Riv.Psicoanal. 46, 3, 561-586.
Pommier G. (2007) Comment les neurosciences démontrent la psychanalyse. Champs Flammarion.
Pragier G. e Faure-Pragier S. (2007) Repenser la psychanalyse avec les sciences. PUF, Paris.