La Ricerca

Come favorire la mentalizzazione e il miglioramento sintomatico nei  pazienti borderline. F. Gazzillo

8/11/22
Come favorire la mentalizzazione e il miglioramento sintomatico nei  pazienti borderline. Francesco Gazzillo

MARCELLO MORANDINI, 2009

Parole chiave: Borderline; Psicoanalisi; Mentalizzazione;

Come favorire la mentalizzazione e il miglioramento sintomatico nei  pazienti borderline.

Quattro psicoterapie a confronto.

Kernberg, Marsha Linehan e la SPT e i trattamenti “as usual”.

Francesco Gazzillo

Sono stati di recente pubblicati, sotto forma di brief report in Frontiers in Psychology (Keefe t al., 2022), i risultati di uno studio sull’efficacia di quattro tipi di psicoterapia per i pazienti borderline: la Terapia Focalizzata sul Transfert (TFP; Yeomans, Clarkin, Kernberg, 2015), la Psicoterapia Dinamica di Sostegno (SPT; Appelbaum, 2005), la Terapia Dialettico-Comportamentale (DBT; Linehan, 2021) e dei Treatment as Usual (TAU) non manualizzati condotti da terapeuti di diversi orientamenti esperti nel trattamento dei pazienti borderline. Lo studio ha, inoltre, cercato di indagare se la funzione riflessiva (RF) agisse come mediatore rispetto all’efficacia di alcune o tutte queste terapie nel favorire il miglioramento sintomatico. Ricordiamo che, con funzione riflessiva, si intende la capacità di comprendere il comportamento e le reazioni proprie e altrui in termini di stati intenzionali (credenze, affetti, intenzioni ecc.).

I risultati di questa ricerca suggeriscono che i pazienti con bassa funzione riflessiva (RF) migliorano di più con la terapia focalizzata sul transfert (TFP) o con la psicoterapia dinamica di sostegno (SPT). Viceversa, pazienti con RF  nella norma migliorano di più con la terapia dialettico comportamentale (DBT) e i “treatment as usual” (TAU). 

In aggiunta, pazienti con RF molto bassa dimostrano incrementi maggiori nella RF con la SPT, mentre quelli con RF bassa mostrano maggiori miglioramenti nella RF con la TFP. Infine, la DBT e i TAU avevano tassi di drop-out superiori a quelli di TFP e SPT.

Al di là del complesso impianto metodologico, e indipendentemente da alcuni suoi limiti, credo che questo studio meriti attenzione per diversi motivi.

In primo luogo, è un ottimo esempio di quella che è la frontiera degli attuali studi su processo ed esito delle psicoterapie. Ormai non ci si chiede più quale trattamento specifico per disturbo sia più efficace degli altri – è ormai sufficientemente chiaro che tutti i trattamenti manualizzati specifici per disturbo, rispettate certe condizioni, sono ugualmente efficaci – bensì quali sono le caratteristiche di un paziente da prendere in considerazione per scegliere il trattamento più efficace per lui. Come già scritto, si va verso una “personalizzazione” della psicoterapia.

In secondo luogo, essi mettono in evidenza come i pazienti con funzione riflessiva compromessa traggano beneficio soprattutto da una terapia dinamica supportiva e dalla TFP, sia in termini di miglioramento sintomatico sia in termini di incremento delle capacità di mentalizzazione. Quest’ultimo punto, peraltro, sembra contraddire l’idea, avanzata dai sostenitori della Terapia Basata sulla Mentalizzazione (Bateman & Fonagy, 2014), secondo la quale un approccio francamente interpretativo sarebbe anti-mentalizzante in quanto darebbe al paziente l’impressione che la mente umana è così “trasparente” che un altro essere umano, il clinico, è in grado di vedere nella mente altrui Una buona mentalizzazione implica invece la comprensione del fatto che non si può “sapere” cosa pensi o provi un’altra persona (la mente è “opaca”), ma solo immaginarlo e ipotizzarlo.

Al contempo, però, anche un approccio assai meno interpretativo, come quello supportivo, sembra favorire un incremento della funzione riflessiva, soprattutto in pazienti in cui essa è molto deficitaria, cosa che lascia pensare che tale funzione possa beneficiare, in modo per così dire indiretto, anche del rafforzamento dell’Io o del Sé derivato dal sostegno del clinico. O, e questa è un’altra ipotesi possibile, da un trattamento eseguito seguendo  fedelmente un manuale, cioè prevedibile.

È bene però sottolineare che, in questo come nei due studi precedenti che hanno valutato i cambiamenti della RF nel corso di una TFP, la RF è stata valutata per mezzo della scala di valutazione della funzione riflessiva applicata ai trascritti della Adult Attachment Interview, e non per mezzo di misure di valutazione degli scambi che avvengono in seduta. Questo dato potrebbe anche legittimare l’ipotesi che la TFP migliori la capacità del paziente di pensare in termini mentalizzanti sulle proprie relazioni con i caregiver, non necessariamente in seduta. Stesso dicasi per la SPT.

Altro dato interessante che emerge da questo studio è che, contrariamente a quanto sostenuto a lungo e da molti, non è vero che la DBT, una terapia comportamentista con elementi di buddismo zen, sia il trattamento migliore per i pazienti borderline più gravi, anzi. E la DBT sembra anche avere tassi di drop-out maggiori degli altri trattamenti presi in esame dallo studio e sembra aiutare meno, sia in termini di sintomi sia in termini di funzione riflessiva, i pazienti con minori capacità di mentalizzazione. Cosa piuttosto controintuitiva, visto che il suo impianto non richiede grandi capacità di mentalizzazione ai pazienti.

Nel complesso, l’idea che sembrano suggerire questi dati è la mentalizzazione, se molto compromessa, possa essere favorita tanto dal “training” consentito da un approccio interpretativo sistematico rispetto al proprio modo di vivere le relazioni oggettuali (TFP), quanto da una relazione terapeutica positiva che “insegni e mostri” cosa vuol dire mentalizzare. 

Aldilà di questi dati, comunque, credo che studi come questo mostrino la grande utilità della messa alla prova delle proprie ipotesi per mezzo di ricerche empiriche. Al netto dei limiti che ogni ricerca presenta, infatti, il metodo scientifico a volte disconferma ipotesi che sembrano tanto ovvie da essere considerate indubitabilmente vere, e questo permette non solo di scartare, ma anche di rifinire le proprie teorie, oltre a poter dare indicazioni solide per la pratica clinica.

Keefe, J. R., Levy, K. N., Sowislo, J. F., Diamond, D., Doering, S., Hörz-Sagstetter, S., Buchheim, A., Fischer-Kern, M., & Clarkin, J. F. (2022, September 29). Reflective Functioning and Its Potential to Moderate the Efficacy of Manualized Psychodynamic Therapies Versus Other Treatments for Borderline Personality Disorder. Journal of Consulting and Clinical Psychology. Advance online publication. http://dx.doi.org/10.1037/ccp0000760

Bibliografia

Applebaum, A. H. (2005). Supportive psychotherapy. In Oldham, Skodol & Bender (2005) (a cura di), The American Psychiatric Publishing textbook of personality disorders (pp. 311–326). American Psychiatric Publishing. https://doi.org/10.1176/foc.3.3.438.

Bateman, A., & Fonagy, P. (2014). Il trattamento basato sulla mentalizzazione: psicoterapia con il paziente borderline. Raffaello Cortina.

Yeomans, F., Clarkin, J., Kernberg, O. (2015). La Terapia Focalizzata sul Transfert per il Disturbo Borderline di Personalità. Tr. it. Giovanni Fioriti Editore, Roma 2017.

Linehan, M. (2021), Trattamento cognitivo-comportamentale del disturbo borderline. Tr. it. Raffaello Cortina, Milano.

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Fonagy et al. (2015). Pragmatic randomized controlled trial of long-term psychoanalytic psychotherapy for treatment-resistant depression: the Tavistock Adult Depression Study (TADS). World Psychiatry, 14: 312-321

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