La Giornata di Studio è organizzata dal Centro Benedetta d’Intino.
ABSTRACTS DELLE RELAZIONI
Sara Micotti
Introduzione
La scelta del tema per questa Giornata di Studio nasce da vent’anni di lavoro del Centro Benedetta D’Intino con bambini, adolescenti, famiglie con problematiche emozionali. Pediatri, insegnanti, colleghi ci inviano pazienti e famiglie in difficoltà. Proprio per meglio dialogare con questi professionisti di altre discipline e per contribuire al dibattito sulla vitalità della psicoanalisi, alcuni anni fa abbiamo scelto di partecipare a una ricerca catamnestica sull’efficacia dei nostri trattamenti e ora ne offriamo i risultati, insieme a una panoramica sullo stato di questo genere di lavoro. La ricerca è stata svolta da Licia Reatto, con la collaborazione di Giuseppe Benincasa e di Valentina Tobia dell’Università Bicocca di Milano.
L’atteggiamento dei colleghi terapeuti verso la ricerca empirica è eterogeneo, e spesso si oscilla tra la svalutazione a priori e l’idealizzazione. Occorre invece fare costantemente uno sforzo per dotarci di strumenti critici adeguati, per diventare più consapevoli dei problemi metodologici insiti nel nostro lavoro, per conoscere meglio l’operare delle altre scuole e per rinnovarci. Ecco perché abbiamo invitato a confrontare i rispettivi disegni di ricerca tre esperti, che hanno condotto ricerche in diverse età della vita, prima infanzia, età di latenza, età adulta: Maria Pozzi (Tavistock Centre), Licia Reatto ( membro ordinario SPI), Emilio Fava (Università Cattolica, Milano).
La psicoanalisi ha una doppia anima, una più scientifica e una più artistica. I numeri della Rivista di Psicoanalisi in programmazione ne sono espressione. Giuseppe Civitarese, nuovo Direttore della Rivista, pubblica nel numero appena uscito un’intervista a Thomas Ogden, lo psicoanalista che da San Francisco scrive le pagine più vigorose sull’arte della psicoanalisi. Nel numero che uscirà in gennaio la rivista aprirà le porte alla ricerca empirica, con un lungo articolo di Vittorio Lingiardi e Maria Ponsi sull’ Utilità della ricerca empirica per la psicoanalisi. Poi seguirà un contributo originale di Vittorio Gallese, lo studioso scopritore insieme a Rizzolatti e al suo gruppo dei “neuroni-specchio”, sulle neuroscienze che hanno confermato molti dei concetti di Freud sul funzionamento inconscio della mente e sulle basi dell’empatia.
Nel 2011 al Convegno del CBDI “Prime relazioni. Psicoterapia psicoanalitica con neonati, bambini, genitori”, Björn e Majlis Salomonsson hanno presentato i dati delle loro ricerche sull’efficacia dei trattamenti psicoanalitici precoci con bebè e genitori condotte in Svezia. E’ mia convinzione che tali ricerche sistematiche (assai diffuse nei Paesi nordeuropei) possano avere un impatto sulla società e contribuire alla promozione del nostro lavoro, fornendo risposte adeguate a quanti sostengono che i risultati dei trattamenti psicoanalitici non sarebbero ben valutabili. Esperienze consolidate dimostrano, peraltro, che tale verifica sia possibile senza perdere la percezione del paziente come soggetto intero, conoscibile e non del tutto conoscibile, in dinamica evoluzione.
Psicoterapeuti e psicoanalisti possono fare ricerca in tre modi. Attraverso il lavoro clinico, ciascuno conduce giorno dopo giorno una personale ricerca sulla mente umana, anzitutto con i pazienti, nella stanza d’analisi, e la documenta nei resoconti clinici.
Poi, fa ricerca negli incontri di supervisione con i maestri e nel confronto pubblico con i colleghi, attraverso i convegni e la scrittura di saggi e libri. Si fa ricerca leggendo, scrivendo, e comunicando i propri pensieri. A questa dimensione della psicoanalisi come arte, il CBDI ha dedicato conferenze e seminari. Molti di essi sono stati condotti con sapienza e generosità da Claudia Artoni Schlesinger, il cui pensiero verrà oggi ricordato da Daniela Scotto Di Fasano.
C’è, infine, il modo empirico di fare ricerca, quello delle procedure sperimentali di raccolta e analisi dei dati, per misurare il grado di efficacia di un trattamento, anche comparandolo con altri. Per studiare i fattori terapeutici realmente attivi. E per capire come e per chi il trattamento analitico funziona. In questo caso, il clinico è chiamato a collaborare con il metodologo, per mettere a punto e sviluppare disegni di ricerca. Il fare ricerca è, come il lavoro clinico, un campo pieno di emozioni, che cimenta la “capacità negativa” del ricercatore e che può diventare occasione esso stesso per un processo di holding, contribuendo alla trasformazione sia del clinico-ricercatore sia del soggetto della ricerca.
Sono persuasa che la presentazione di alcuni disegni sulla valutazione dell’efficacia delle psicoterapie – ormai ampiamente dimostrata – possa sensibilizzare i clinici e incoraggiare la diffusione di queste ricerche nel nostro Paese, dove tale pratica, come accennato, non è frequente come dovrebbe.
Licia Reatto, Giuseppe Benincasa, Valentina Tobia
Valutazioni di esito nel trattamento psicoanalitico di bambini e adolescenti
Abstract
Lo studio riporta gli esiti di una ricerca volta ad indagare sul cambiamento terapeutico in soggetti in età evolutiva che abbiano effettuato una terapia psicoanalitica e mira a sviluppare alcuni risultati emersi da una fase precedente della ricerca sui fattori che concorrono all’esito terapeutico. Prendendo in considerazione l’opinione dei terapeuti, si era potuto rilevare il rapporto tra i fattori soggettivi ed oggettivi che concorrono al processo e all’esito e, tra gli altri, che le evoluzioni nel funzionamento, in particolare per quanto riguarda l’aspetto relazionale interno ed esterno alla terapia, e lo sviluppo delle capacità rappresentative risultavano significative nel cambiamento terapeutico. Mettendo questa volta a confronto il punto di vista degli ex-pazienti, dei loro familiari e dei terapeuti, e partendo dall’ipotesi relazionale, si è desiderato mettere in evidenza: 1) i cambiamenti occorsi nei giovani pazienti quanto alle principali aree soggettive e fenomeniche, 2) l’incidenza sull’esito dell’atteggiamento degli altri componenti della relazione e della loro capacità di rispondere alla realtà soggettiva del bambino o adolescente, 3) le eventuali aree residue non risolte e le loro determinanti.
Lo studio è stato condotto mediante opportuni questionari, modellati sulle aree del CORE OM adattate all’età evolutiva, su un campione di 54 soggetti trattati con terapia psicoanalitica in differenti servizi pubblici e privati, a trattamento concluso da almeno due anni; insieme agli ex-pazienti, l’indagine è stata rivolta separatamente anche ai relativi genitori e terapeuti.
I dati raccolti, codificati ed elaborati in cinque validi dominî, hanno messo in evidenza: 1) una sensibile modificazione nei soggetti intervistati, a distanza significativa ed a risultati relativamente stabilizzati; 2) i cambiamenti sono avvenuti in particolare nell’area della relazione, del funzionamento e nella capacità di rappresentarsi la propria realtà interna; 3) i risultati sono inoltre confermati dall’opinione indipendente di genitori e terapeuti; 4) quanto alle determinanti, la capacità dei genitori di avere adeguata ‘rappresentazione della realtà psichica del bambino/adolescente’ risulta correlata all’evoluzione positiva; 5) alcuni spunti riguardano lo specifico di talune forme patologiche
Si discutono le conseguenze di questi rilievi sul piano clinico e teorico.
Maria Pozzi
Dalla reattività al pensare riflessivo: evidenza di cambiamento negli stati mentali dei genitori attraverso la psicoterapia psicoanalitica breve 0-5 anni.
Abstract
Questo lavoro descrive uno studio che fu progettato per esaminare l’impatto della psicoterapia psicoanalitica breve con bambini da 0 a 5 anni e le loro famiglie.
Il lavoro si realizzò in un Child and Adolescent Mental Health Service (CAMHS) in Inghilterra, Servizio al quale i bambini vengono di solito inviati per uno spettro di problemi del comportamento e dell’emotività.
Lo studio affrontò l’ipotesi che il dare nome alle forze emozionali manifestate dalle famiglie nel qui e ora delle sedute e il portare anche la prospettiva del bambino dentro alla cornice del lavoro, poteva creare un movimento negli stati mentali dei genitori che diventavano meno reattivi e più riflessivi. Inoltre, lo stato mentale meno reattivo dei genitori avrebbe permesso al bambino di sentirsi più contenuto e avrebbe avuto un impatto positivo in relazione al sintomo presentato. Le ipotesi di ricerca furono testate su sette famiglie, usando descrizioni cliniche e dati quantitativi tratti dal materiale clinico videofilmato. La previsione fu confermata: i genitori mostrarono minori sentimenti di colpa persecutoria e maggiori sentimenti riparativi nei loro commenti. I resoconti dei genitori hanno anche evidenziato che 6 dei 7 bambini mostravano una significativa riduzione / remissione dei sintomi per i quali erano stati inviati originariamente. In questo lavoro verrà descritto il processo terapeutico sottostante a questi risultati.
Emilio Fava
Abstract
L’intervento descrive inizialmente le domande a cui i ricercatori hanno cercato di dare risposte. Le prime domande riguardarono gli esiti dei trattamenti e il confronto tra trattamenti concorrenti. Questo portò a domandarsi cosa si potesse considerare esito e a definire con maggiore accuratezza dei metodi di valutazione degli esiti che tenesse conto delle diverse dimensioni contenute in questo costrutto. Emergono subito due elementi fondamentali che caratterizzano il pensiero dei ricercatori e successivamente le loro metodologie: la ricerca di una maggiore precisione concettuale e le operazionalizzazioni dei concetti. Relativamente agli strumenti emerse il confronto tra metodologie tradizionali nella ricerca in medicina: i TRC e gli studi naturalistici tra cui gli studi “single case”, ciascuno dei quali aveva pregi e difetti. I risultati complessivi degli studi, condotti in differenti modi, portarono a risultati interessanti: da un lato la definitiva conferma della efficacia delle psicoterapie ma anche la difficoltà di dare una priorità ad un sistema di trattamento piuttosto che un altro (The Dodo verdict). La ricerca sull’efficacia, pur proseguendo nella definizione più precisa di “quale terapia per quale paziente”, si trovò ad incrociarsi con la ricerca di processo ( come – e non se- si ottengono i risultati). La ricerca di processo ha valorizzato i cosiddetti fattori comuni aspecifici, rispetto alle tecniche. Il discorso delle tecniche non è stato abbandonato, ma profondamente influenzato dalle scoperte sui “fattori comuni”. Ci si è concentrati su “che cosa fanno veramente i terapeuti, a prescindere dalle loro credenze teoriche?” e “cosa distingue un terapeuta di successo-non famoso ma che ha buoni esiti- da uno di minori capacità. Questo anche relativamente ai sottotipi di pazienti in quanto alcuni terapeuti dimostrano abilità differenti nel trattare differenti tipologie di pazienti. Individuare specifici sottotipi di pazienti, utilizzando sistemi diagnostici dimensionali, come OPD è l’aspetto complementare di questo modo di pensare alla ricerca. Il problema di ciò che definisce la competenza dei terapeuti, sia in termini di tecniche che di fattori comuni, è l’interesse attuale della ricerca.
Un aspetto interessante da citare sono le resistenze che il mondo dei clinici fa alla ricerca a volte per motivi fondati e condivisibili, ma anche in difesa di interessi corporativi e istituzionali.