dal film A beautiful mind di Ron Howard
A cura di Alberto Siracusano con la collaborazione di Michele Ribolsi
Se il termine “nevrosi” viene introdotto nel 1769 da William Cullen, il termine “psicosi” è stato coniato successivamente da Ernst von Feuchtersleben, scrittore e sottosegretario all’istruzione austriaco (Vienna, 1806 –1849), con il significato generale di “malattia mentale” o “follia”, ovvero una condizione caratterizzata da perdita di contatto con la realtà, disturbi delle percezioni, del pensiero e del linguaggio, dell’affettività e delle funzioni cognitive. È interessante notare come il termine nevrosi sia più antico di quello di psicosi. Risulta difficile definire questi due concetti senza tenere conto l’uno dell’altro: entrambi si definiscono per contrapposizione, attraverso una relazione di contrasto. Curiosamente, all’inizio la “nevrosi” veniva definita come “malattia dei nervi”, ovvero un disturbo primitivamente legato ad una disfunzione organica, mentre la psicosi era definita come un disturbo funzionale dell’immaginario (1). Tale relazione si invertirà successivamente. Nel Dictionnaire Encyclopédique des Sciences Médicales del 1877 non compare il termine psicosi ma quello di folie (l’autore dell’articolo era Cotard), ma già nel 1882 Magnan identificava le “follie propriamente dette psicosi”, cioè turbe psichiatriche che si manifestano con delirio, mania, melanconia. È del 1848, invece, la prima definizione del concetto di “psicosi unica” (Einheitpsychose) elaborato da Wilhelm Griesinger (1817-1868) per definire i disturbi psichici all’interno di un continuum psicopatologico unitario. Tale concetto è stato successivamente ripreso da Karl Menninger, il quale, nel 1958, notava come “invece di porre così tanta enfasi sui differenti tipi di malattie, dovremmo pensare alla malattia mentale come essenzialmente unica in qualità, ma piuttosto diversa in quantità”.
Kraepelin e Bleuler hanno compiuto numerosi sforzi nel tentativo di fornire una classificazione sistematica della psicosi sulla base di una osservazione clinica psichiatrica longitudinale. Emil Krapelin (Neustrelitz, 1856 – 1926) in una conferenza alla Clinica Psichiatrica di Heidelberg il 27 Novembre 1898 definì il concetto di “Dementia Praecox” come un unico quadro clinico ad esordio precoce ed esito con grave deterioramento delle funzioni cognitive e comprendente tre forme: l’ebefrenia di Hecker, la catatonia di Kahlbaum, la dementia paranoides, isolata dallo stesso Kraepelin. Pochi anni dopo lo psichiatra svizzero Eugen Bleuler (1857-1939) riformulò il concetto kraepeliniano di Dementia Praecox in quello di schizein – phren (dal greco “mente divisa”), schizofrenia (2). Da allora il concetto di schizofrenia si è legato a quello di psicosi, finendo col divenire in molti casi sinonimo. Attualmente, il DSM-5 parla di “Disturbi dello Spettro Schizofrenico” e “altri disturbi psicotici”, utilizzando il termine “psicotico” per definire manifestazioni deliranti o allucinatorie in quadri clinici diversi dalla schizofrenia propriamente detta (3).
In ambito psicoanalitico, Victor Tausk (1919) nel suo lavoro sulla “macchina influenzatrice” analizza in un caso di schizofrenia paranoide la struttura del delirio allucinatorio. L’intuizione di Tausk riguarda la possibilità che le differenti parti della macchina rappresentino diverse parti del corpo del paziente: la “macchina influenzatrice” è la proiezione del mondo interno del paziente e contemporaneamente lo strumento che influenza referenzialmente la vita psichica del soggetto. A partire da Sigmund Freud (Freiberg, 1856 – 1939), la psicoanalisi ha interpretato la psicosi come una rottura dell’Io con la realtà esterna: l’Io ritorna al suo stato originario indifferenziato, vale a dire si dissolve interamente o parzialmente nell’Es che non ha conoscenza degli oggetti e della realtà (4). Freud in particolare ha sviluppato le proprie teorie utilizzando le “Memorie di un malato di nervi” pubblicate nel 1903 da Daniel Paul Schreber (5), presidente della Corte di Appello di Dresda e da cui nacque il lavoro di Freud “Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia (dementia paranoides) descritto autobiograficamente” (6). Freud ha fatto diventare Schreber “il primo paziente psicotico” della storia della psicoanalisi e, grato di questo, lo definì, neppure troppo ironicamente, “professore di psichiatria e direttore di clinica” (lettera a Jung, 22 aprile 1910). A partire dalla famosa espressione contenuta nelle Memorie “Sarebbe davvero bello essere una donna che soggiace alla copula”, Freud ipotizzò che alla base della psicosi del Presidente Schreber ci fosse un rigetto delle sue tendenze omosessuali mediante la negazione e la proiezione. La scissione dalla realtà esterna e il crollo dell’Io trovano il proprio corollario nella regressione ad un antico livello narcisistico. Abraham (Berlino, 1877 – 1925) sottolineò a questo riguardo che la differenza fondamentale tra nevrosi e psicosi risiede nel fatto che nel processo di allontanamento dalla realtà siano preservate le rappresentazioni dell’oggetto oppure no, laddove nella psicosi il ritiro della libido dagli oggetti è marcatamente più diffuso. In tempi più recenti, Racamier (1924-1996) ha ripreso questo concetto sottolineando come “in ogni psicotico imperversa il conflitto tra l’attrazione verso l’oggetto ed il mondo e l’attrazione narcisistica”. “L’oggetto”, continua Racamier, “è il vero nemico per uno psicotico per il solo fatto di essere investito: il pericolo è quello di essere aspirato e assorbito dentro l’oggetto”. Melanie Klein (Vienna, 1882 – 1960) teorizzò le psicosi come legate alla caduta nella posizione schizoparanoide della prima infanzia, nella quale si identificano due meccanismi caratteristici, la scissione e la identificazione proiettiva (7). A partire dagli scritti di Melanie Klein oltre che di Freud, Wilfred Ruprecht Bion (Muttra, 1897 – 1979) ha formulato l’ipotesi di un “apparato per pensare”, in grado di determinare la trasformazione di elementi beta, ossia esperienze sensoriali grezze non metabolizzate, in elementi alfa, elementi di esperienza che possono essere collegati l’uno all’altro nei processi di pensiero conscio ed inconscio e nei sogni. Se questa trasformazione non si verifica, si ha lo sviluppo della psicosi (8). Uno degli aspetti più interessanti del discorso psicoanalitico sulla psicosi deriva dagli scritti di Paul Federn (1871-1950) nei quali l’autore affronta il problema centrale della possibilità che il soggetto psicotico sia capace o meno di sviluppare il transfert e conseguentemente di accedere alla cura analitica. A partire dal secondo dopoguerra, la letteratura psicoanalitica della psicosi è diventata vastissima e numerosi sono gli autori che se ne sono occupati; tra gli altri ricordiamo: Jacques Lacan, Ignacio Matte Blanco, Herbert Rosenfeld, Harold Searles, Paul-Claude Racamier, Piera Aulagnier-Castoriadis, Salomon Resnik, Gaetano Benedetti, André Green, Donald Winnicott, Hanna Segal. Già Bion aveva rivelato come la mente di un soggetto transita costantemente tra le posizioni schizoparanoide e depressiva. A questo riguardo Rosenfeld (1965) ha operato una distinzione tra lo “stato psicotico” (che corrisponderebbe ad una visione dinamico-globale del processo) e il “nucleo o personalità psicotica”, più statico nel tempo. Anche J. Lacan a partire dagli anni ’70 ha tentato di operare un superamento della rigida distinzione tra nevrosi e psicosi, attraverso l’elaborazione della clinica dei “nodi borromei”, per la quale la struttura psichica di un soggetto e il suo conseguente rapporto con la realtà è piuttosto dato da un annodamento corretto dei tre registri (simbolico, immaginario e reale) ad opera di un quarto, il “nome del padre”, o di una sua supplenza (9). Ancora più recentemente, è stata ipotizzata la presenza di “momenti psicotici” anche nella cura di soggetti nevrotici (10), rigettando di fatto l’equazione tra episodi deliranti/allucinatori e psicosi. Al riguardo, Piera Aulagnier ha identificato la presenza di momenti psicotici come una “zona sinistrata” all’interno della sfera psichica di un soggetto. Sulla scia di riflessioni winnicottiane, Roussillon (2011) ha parlato di “soluzione psicotica” come di una “organizzazione difensiva che mira a proteggere da un’angoscia disorganizzatrice” connessa ad una esperienza di “terrore agonico inelaborato” (10).
Negli ultimi anni, infine, la ricerca psicoanalitica si è interessata sempre più ad una categoria di pazienti che non rientrano nei parametri rigidi delle nevrosi o delle psicosi, secondo quanto stabilito da Freud in poi. Nella letteratura questi pazienti prendono la denominazione di casi “limite”, designazione che li situa in uno “spazio-tra”, ossia, tra la psicosi e la nevrosi. Sono i pazienti borderline, o personalità borderline (borderline personality), così chiamati soprattutto dagli autori inglesi e americani o i “cas-limites” degli autori francesi. André Green (1990), nel proporre il concetto di limite, osserva che “… il limite dell’insania non è una linea, bensì un vasto territorio senza alcuna netta divisione che permetta separare la sanità dall’insania”. Green ha riportato al riguardo come “paradossalmente i casi-limite costituiscono strutture abbastanza stabili nonostante o forse proprio in ragione della loro instabilità” (11).
In estrema sintesi, oggi il termine psicosi è stato nella storia utilizzato in una varietà di significati che lo hanno reso semiologicamente ambiguo e trova una sua specificità psicopatologica clinico – diagnostica dinamica solo all’interno del determinato contesto in cui viene utilizzato.
1. Edward Shorter. A historical dictionary of Psychiatry. Oxford University Press 2005.
2. Martin Bürgy. The Concept of Psychosis: Historical and Phenomenological Aspects. Schizophr Bull 2008; 34: 1200-1210.
3. Alberto Siracusano. Manuale di Psichiatria. Il Pensiero Scientifico editore 2014, in press.
4. Freud S. (1968). Opere 1892 – 1899. Progetto di una psicologia e altri scritti. Torino: Bollati Boringhieri.
5. Daniel Paul Schreber, Memorie di un malato di nervi, tradotto da F. Scardanelli e S. De Waal, Adelphi, 2007.
6. Sigmund Freud, Osservazioni psicoanalitiche sul resoconto autobiografico di un caso di paranoia (dementia paranoides) in Compendio di psicoanalisi e altri scritti, Newton Compton Editori, 2010.
7. Melanie Klein. La psicoanalisi dei bambini, a cura di H. A. Thorner e Alix Strachey, Milano: Fabbri, 2007
8. Wilfred R. Bion. Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. Tr. it. Armando, Roma 1970.
9. Jacques Lacan. Libro XXIII, “Il sinthomo”, 1975-76; traduzione e cura di Antonio Di Ciaccia, Astrolabio, Roma, 2006.
10. Maurizio Balsamo (a cura di). Momenti psicotici nella cura. Franco Angeli 2014.
11. André Green. La folie privée: Psychanalyse des cas-limites. Paris, Gallimard, 1990.
Maggio 2014