La Ricerca

Psicoanalisi infantile/modelli evolutivi

13/06/14

A cura di Amedeo Falci

Per modello evolutivo intendiamo il campo di indagine degli studi inerenti lo sviluppo infantile, dalle fasi precoci all’adolescenza. Sviluppo come criterio esplicativo dell’organizzazione complessiva della personalità. Sarebbe in realtà più corretto parlare di ‘modelli evolutivi’, per la pluralità dei campi di studio (psicoanalitico, cognitivo, psicosociale, psicolinguistico, etc.), e per la pluralità degli stessi modelli anche all’interno dell’area psicoanalitica.

Osservando dal punto di vista di una psicoanalisi attuale, sono state riconosciute le interazioni tra fattori biologici e fattori antropologici (culture, realtà familiari, disposizioni affettive e di accudimento degli adulti intorno al bambino, ed altro ancora). E proprio la considerazione di tale pluralità di fattori permette di rivedere e risistemare le classiche problematiche filosofiche connesse al tema dello sviluppo dell’essere umano e della mente. Innatismo o ambientalismo nella formazione dell’individuo, il bambino come tabula rasa sui cui tutta l’esperienza deve ancora essere incisa, o come essere impotente, incompetente e minus che deve essere ‘riempito’ e ‘formato’ dall’adulto. Il campo di indagine è, tra l’altro, confinante con l’area delle scienze biomediche (interazione tra fattori genetici ed acquisiti nella crescita infantile, sviluppo neurale, basi biologiche della differenziazione neuropsicologica). Dal punto di vista dell’evoluzione della mente, si tratta di capire quali siano i programmi, i processi e le strutture sottostanti che rimangono come invarianti ed assicurano pure una continuità nello sviluppo neuropsicologico dell’infanzia, di fronte ai complessi ed incalzanti mutamenti della crescita. In questo senso il concetto di fase evolutiva è stato essenziale per caratterizzare una suddivisione di livelli nelle organizzazioni dello sviluppo emozionale, cognitivo e relazionale del bambino. I criteri e le caratteristiche di tali fasi evolutive hanno presentato una grande variabilità a seconda delle diverse teorie dello sviluppo infantile.

La concezione psicoanalitica freudiana ha posto al centro dell’evoluzione psichica l’organizzazione inconscia delle spinte istintuali, delle pulsioni, dei desideri, ma anche degli stati di dolore ed angoscia nel bambino. Tale organizzazione istintuale è stata colta nelle sue dinamiche conflittuali sia rispetto ai valori sociali vigenti nell’ ambiente di crescita, sia rispetto alle stesse difese che la mente oppone alla forza delle pressioni istintuali innate. Tale ipotesi evolutiva ha avuto storicamente l’ indubbio merito di aver fornito un modello esplicativo “forte”, che ha reso possibile intanto una base teorica per le stesse teorizzazioni psicoanalitiche, e reciprocamente una più approfondita applicazione della psicoanalisi allo studio e alla terapia dei disturbi psichici dell’ infanzia e dell’ adolescenza.

Il valore euristico del modello evolutivo della psicoanalisi sta nella possibilità di rintracciare gli esiti psicopatologici nell’ individuo adulto nella storia e nelle variabilità dei primi rapporti del bambino con il mondo adulto, a partire dalle fasi più precoci della vita. Tale modello evolutivo può essere considerato come uno dei più fertili contributi offerti dalla psicoanalisi alle scienze umane e alle scienze psicologiche. Esso si è successivamente diffuso ad altri settori della ricerca clinica, stimolando un’ampia serie di ricerche nell’ambito di discipline scientifiche affini, ed ispirando un’enorme messe di ricerche nel settore dell’evoluzione psichica dei bambini.

Dopo un secolo di psicoanalisi, sono enormemente incrementate le conoscenze nell’ambito delle regolazioni affettive e dell’organizzazione cognitiva ed emozionale della prima infanzia. La tendenza dominante di tale mole di studi sembra confermare una grande e sorprendente competenza dei bambini, anche dalle prime settimane di vita, alle interazioni affettive e proto-sociali con gli adulti, confermando le intuizioni psicoanalitiche circa precursori dell’Io esistenti fin dalle fasi precoci. Nella ricerca psicoanalitica, le conoscenze sulle fasi iniziali dell’evoluzione mentale sono divenute quindi un ineliminabile supporto sia per l’affinamento e la verifica delle teorie psicoanalitiche, sia per più approfondite conoscenze sulle possibili origini di una molteplicità di disturbi psichici.

Tuttavia nel corso del tempo ci si è anche resi conto di molti aspetti problematici relativi ai modelli di sviluppo dell’infanzia. Già dalla stessa Anna Freud veniva l’intuizione che le fasi dello sviluppo libidico fossero inadeguate a rappresentare tutti gli aspetti dello sviluppo dei bambini, proponendo le linee evolutive come espressione di un raccordo tra i funzionamenti delle strutture psichiche, le tappe evolutive e le disponibilità dell’ambiente di crescita, arrivando fino al conseguimento dell’autonomia. Veniva in tal modo anticipato un nuovo filone della psicoanalisi molto più attento alle interazioni tra bambino ed ambiente umano di accudimento.

Anche la concezione rigida e deterministica di stadi di sviluppo lungo un asse unico – quello psicolibidico – è stata posta in crisi da altri settori di ricerca, a favore di una concezione di assi evolutivi multipli, secondo vari piani organizzativi bio-neuro-psicologici. L’intersezione e la regolazione tra tali assi ed i gradi ed i tempi delle fasi evolutive seguirebbero un andamento di frequenza probabilistica. Questo dato permette di cogliere più approfonditamente le pluralità di intrecci tra aspetti adattivi o disadattavi nella salute mentale degli individui, che non sempre seguono vie prevedibili. Ciò che conta sono le combinazioni e le possibilità integrative tra i vari assi di sviluppo, con la valutazione di aree disfunzionali e del loro grado di rischio psicopatologico nelle età successive. Gli esiti dello sviluppo vengono quindi adesso più modernamente visti come combinazione di fattori molteplici: i fattori di organizzazione neurobiologica individuale; i fattori di rischio evolutivo, tra cui i fattori traumatici; i fattori protettivi di ordine relazionale e contestuale; le potenzialità e le risorse dell’organizzazione mente del bambino.

La coesistenza di diversi modelli evolutivi del bambino evidentemente implica la necessità di criteri di verifica e validazione. Adesso possibili attraverso una serie di nuovi punti di riferimento. I modelli evolutivi psicoanalitici devono innanzitutto essere verificati con la loro validità retroattiva o predittiva nella clinica psicoanalitica. Ad es. la concezione di fasi orale ed anale, o, di una fase autistica normale, sono criteri evolutivi ancora validi per la clinica, e confermati dalla clinica? Altri criteri di verifica derivano dai dati della psicopatologia psichiatrica extra-analitica. Così come sono altresì di grande importanza, ed attualità, i dati relativi alle esperienze traumatiche ed ai suoi esiti sullo sviluppo infantile. Ancora di grande ausilio i confronti tra i modelli evolutivi psicoanalitici e gli studi su campioni di infanzia non-patologica osservata e studiata in certi contesti sociali (nursery, famiglie, scuole). Infine sono diventati contributi essenziali i dati provenienti dall’infant research, dagli studi sull’attaccamento e dalla neurobiologia dello sviluppo, perché permettono di confrontarci con (e di aggiornare) alcuni degli assunti fondamentali della psicoanalisi (tra i tanti: la precoce attivazione di precursori dell’Io già dai primi momenti dopo la nascita, la indifferibile tessitura relazionale tra il bambino ed il suo ambiente affettivo umano, la stretta connessione tra emozioni e conoscenze).
Non si tratta soltanto di un dibattito teorico, dal momento che nel campo della psicopatologia infantile ed adolescenziale siamo sempre più di fronte all’emergere di quadri clinici non del tutto comprensibili alla luce delle categorie psicoanalitiche “classiche” e che rimandano certamente a più sottili investigazioni delle complesse trame evolutive attraverso cui la mente si differenzia, si complessizza e si evolve.

Giugno 2014

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