W-Eggleston-1972
Preadolescenza
a cura di Francesco Mancuso
La Preadolescenza si riferisce all’intervallo compreso tra i 10-13 anni, è un luogo, un passaggio trasformativo e diremmo transizionale che ha delle caratteristiche particolari e che può dare la possibilità al soggetto di esprimere le sue qualità, le sue risorse creative, ma anche i suoi impedimenti, i limiti e i rischi insiti in questo transito. Il soggetto non ne uscirà così come vi è entrato. Generalmente, siamo più attratti dalle trasformazioni somatiche e comportamentali della Preadolescenza più che da quelle psichiche.
Negli scritti teorico-clinici sull’età evolutiva e nella teoria e nella clinica psicoanalitica (Mancuso, 2021), la Preadolescenza tende a sfumare tra l’Infanzia e l’Adolescenza, così come troviamo la stessa tendenza, ovvero sfumare la preadolescenza, nella famiglia e nella società. E’ utile, invece, inserire la Preadolescenza, proprio per la specificità ed unicità dei fenomeni clinici, in una sua cornice teorica, idonea a descrivere i fenomeni emergenti, anche in linea con il famoso “secondo tempo” dello sviluppo psicosessuale di freudiana memoria.
Campanile (2003) ritiene il concetto di Preadolescenza alla stregua di un artificio che tuttavia ha l’utilità di “isolarla” per le sue importanti implicazioni sul piano teorico. Goisis (1999) considera la preadolescenza come un momento con caratteristiche specifiche, essa rappresenta il “non più” rispetto all’infanzia e il “non ancora” rispetto all’adolescenza”.
Il preadolescente esalta la condizione angosciosa della transizionalità. Viversi in transizione equivale a viversi senza una “definizione”, per cui si tende a preferire l’area dell’essere già… all’area del divenire. Proprio per sfuggire a questa angosciosa condizione molti dei protagonisti (ragazzi e genitori) tendono a comportarsi come se i bambini fossero “adolescenti” prima di essere pubescenti. Mettersi nell’assetto mentale di considerare un preadolescente come già adolescente trascura e oscura la componente giocosa e sognante che ricorda l’esperienza infantile del gattonamento dove l’euforia per lo spostamento in autonomia spesso vira repentinamente in un sentimento di spaesamento e ritiro o ritorno verso l’orbita genitoriale.
Un altro elemento importante che spesso viene trascurato in questa transizione è la dimensione della reciprocità. Il processo di separazione ed individuazione che prende avvio in Preadolescenza, non va inteso come un immediato “svincolo” dei figli dai genitori e, in quanto punto d’arrivo, rappresenta un compito evolutivo che coinvolge l’intero nucleo che si trova a vivere la transizione.
Come adulti, educatori o terapeuti, è decisivo sintonizzarsi con la “transizione”, concentrata in poco tempo ma che può sembrare interminabile. La transizionalità non va scambiata per staticità, poiché essa non avviene senza un lavoro psichico.
Forse mai come in quest’epoca domina lo scontro tra la natura e la cultura. Il preadolescente è difficilmente definibile, perché questo periodo evolve velocemente e riflette la rapidità dei cambiamenti sociali e culturali che egli assorbe con rapidità impressionante.
Se da una parte egli tende a uniformarsi alle “pressioni” culturali (famiglia e società) che lo spingono in avanti, dall’altra – come la neurobiologia moderna ci segnala- molte delle sue aspirazioni, in generale legate a pretese di autonomie decisionali e ad adesioni a modelli trasmessi dai media sono spesso frenate dall’immaturità dei processi di sviluppo cerebrali che si consolidano con l’avanzare dell’età. Spesso le condotte del preadolescente imprevedibili ed impacciate sono dovute a questa condizione di trovarsi alla confluenza di opposte correnti motivazionali e maturative. Il risultato è che spesso egli appare come una “caricatura” dell’adolescente, ma anche una “caricatura” dell’ex bambino.
Il bambino all’interno della sua latenza ci aveva abituati ad una certa stabilità della condizione infantile che ora si trasforma in turbolenza, anche per l’attesa di un segnale (pubertà) che arriva/non arriva e che produce ambivalenza nei genitori. Proprio per la tensione dominante, si ha la tendenza alla riduzione della durata del periodo e il preadolescente è presto assorbito, risucchiato dalle tematiche e dagli atteggiamenti adolescenziali. E’ un periodo in cui tutti sono a disagio e non si vede l’ora di passare oltre. Per questo, ci troviamo ad assistere ad un vero e proprio “furto della preadolescenza” da parte di agenzie culturali, ma anche da parte di molti genitori, che espropriano questo periodo dei loro figli del valore maturativo dell’attesa e della transizione. In ogni caso muta radicalmente il contatto con il soggetto preadolescente rispetto al soggetto bambino, il contatto è sempre più labile con le figure parentali e soprattutto è lui a deciderlo.
La visione del corpo, o di quanto gli sta accadendo, è per il preadolescente ancora troppo legata all’area infantile. Il corpo è il concreto e privilegiato strumento di comunicazione implicita e le verità affettive, che esso comincia a veicolare sono ancora misteriose. Il preadolescente vive la “sorpresa” puberale ma non sa bene come trattarla, sorpresa che talvolta può prendere la configurazione di un trauma. I tempi psichici sono più dilatati e il lavoro di elaborazione ed integrazione forse va considerato in più fasi:
– Quello che succede al preadolescente richiama l’immagine dell’intrusione traumatica sotto forma di cariche emozionali-pulsionali-ormonali che scuotono.
– Questa condizione esige il fare ricorso alle modalità di reagire ad analoghe situazioni “traumatiche” vissute in passato (richiami infantili ai mutamenti evolutivi ed ambientali).
– Il preadolescente percepisce la “mutazione” tanto attesa-temuta e ricorre ad una “appropriazione narcisistica” delle nuove conquiste, che spesso lo mette nella condizione di percepire lo scarto tra l’attesa ideale e la realtà; dunque deve ricorrere alle sue modalità “conosciute” di reagire allo scarto
– Tutto ciò prima di avviarsi ad un lavoro di lutto e di integrazione vera e propria più tipici dell’adolescenza.
Ph. Gutton (1991) attribuisce grande importanza al periodo puberale e con formula sintetica ma efficace evidenzia che la pubertà rappresenta per il corpo ciò che il pubertario rappresenta per la psiche. Penso che in Preadolescenza avvenga nel corpo e inizi nella mente quella transizione dalla pubertà, come evento fisico, al processo del pubertario, come evento psichico e cognitivo.
Stiamo dunque passando da una condizione di relativa tranquillità e stabilità (latenza), necessarie per lo sviluppo intellettivo e sociale del bambino, ad una condizione che sconvolgerà sensibilmente questo equilibrio. Anche per il corpo come per la mente avviene un accrescimento staturo-ponderale normalmente non alterato da stati di malattie che ne modificano la linea naturale dello sviluppo. In Preadolescenza è possibile confrontarsi con l’anticipazione di certe tematiche e patologie dell’adolescenza; ma anche prendere atto del prolungamento di certe manifestazioni infantili o della rivelazione di disturbi infantili che erano mascherati.
Mi sto avvicinando al tentativo di affrontare sia alcuni dei pericoli che incombono sul preadolescente in quella “mutazione” che ragazzi e ragazze stanno transitando, ma anche i tentativi di soluzioni più o meno patologiche che essi sono in grado di trovare.
Se finora, in condizioni di sviluppo normale, Edipo e Narciso avevano convissuto e si erano spalleggiati a vicenda, ritengo che la pubertà possa segnare un momento decisivo relativo ai possibili differenti percorsi. La pubertà diventa un “trauma” che genera una dissociazione funzionale a livello delle dinamiche interne.
Ecco che allora alla pubertà avvengono due serie di fenomeni che possono trovare un equilibrio oppure svilupparsi secondo linee differenti. Ad analoghe manifestazioni sintomatiche, sia per le ragazze che per i ragazzi, corrispondono origini ed evoluzioni differenti.
Una prima serie riguarda l’impatto di “Edipo” con quel corpo, impatto traumatico per quanto desiderato, come ampiamente descritto da molti autori tra cui A. Freud (1949) e P. Blos (1958; 1962).
La seconda serie di fenomeni riguarda l’impatto del corpo puberale con l’ologramma ideale di Sé che “Narciso” aveva da tempo anticipato e costruito.
E’ indubbio che la strada che attende Edipo, una volta “dotato” dell’attrezzatura biologica necessaria, è ricca di insidie attratto, come potrebbe essere da una parte dalle tendenze “incestuose”, dall’altra dalle necessarie ed avventurose imprese “parricide” (tematiche della separazione-individuazione).
Tutte queste realtà “conflittuali”, se a predominare è Narciso, possono essere by-passate (come soluzione difensiva). Altra possibile evoluzione è quella di confidare nella creazione fantastica di una realtà alternativa in cui viene mantenuta intatta l’onnipotenza della bisessualità trasferita in qualche galassia virtuale o da super eroe da videogioco.
Possiamo, dunque, ipotizzare di organizzare le problematiche e le manifestazioni sintomatiche riscontrate in Preadolescenza secondo che prevalga l’area edipica o l’area narcisistica. Abbiamo quindi la tematica del “conflitto” oppure quella dello “scarto” insanabile e mortificante. In altre parole se nell’area prevalentemente edipica il dilemma angosciante riguarda come, con le nuove dotazioni, affrontare il desiderio di “esplorare il mondo” (io ne ho il diritto o no?), nella dimensione prevalentemente narcisistica il giovane soggetto si scontra con l’inesorabile dubbio sulla sua insufficiente dotazione (fisica, mentale e cognitiva) a realizzare il progetto (ne sarò capace o no?).
Alla condizione traumatica del processo puberale, l’organismo risponde con le modalità e gli strumenti che ha utilizzato in passato in analoghe circostanze traumatogene, che possono interessare l’area:
- somatica (conversiva),
- mentale (fobie più o meno invalidanti, inibizione intellettiva, ritiro, maniacalità)
- comportamentale (ADHD, DOC o fobico–ossessivo, tossicofilia, attacchi al corpo, …).
Molte di queste forme possono essere definite di “transizione” proprio per la loro struttura ed evoluzione, ma possono essere i primi segnali di una patologia in adolescenza.
Nella stesura di questa scheda rimangono “scoperte” almeno due aree importanti. Prima di tutto l’area del particolare e specifico assetto terapeutico nel lavoro con questi giovani pazienti. Altra area “scoperta” riguarda la dimensione dei genitori visti sia come agenti in sofferenza con e per il figlio -che quindi chiedono aiuto primariamente per il figlio- ma anche nella condizione di chiedere aiuto per loro. Il momento che si concretizza con la richiesta di un intervento è per i genitori particolarmente delicato per il loro equilibrio, avendo vissuto l’esplosione interna di un malessere ri-acceso dalla Preadolescenza del figlio. Senza contare che la Preadolescenza rappresenta normalmente l’ultima tappa evolutiva del soggetto in cui i genitori hanno ancora una funzione determinante nel processo di individuazione e nel percorso terapeutico.
Bibliografia
Blos P. (1958), Preadolescent drive organization. Journal of the American Psychoanalytic Association, 6:, 47-56, 1958, Trad. It. L’organizzazione istintuale preadolescente, Trad. di Arnaldo Novelletto, Adolescenza e Psicoanalisi, Anno II – N° 1 – Gennaio 2002
Blos P. (1962), L’adolescenza. Un’interpretazione psicoanalitica. Franco Angeli, Milano, 1983.
Campanile P. (2003) Soggettivizzazione e “costruzione” della preadolescenza. Riv. di Psic., 1, 73-96.
Freud A. (1949), Alcune difficoltà nel rapporto del preadolescente con i genitori. Opere, Vol. II. Boringhieri, Torino, pp. 467-475.
Goisis R. (1999), A proposito di genitori e di preadolescenza. Appunti e considerazioni cliniche preliminari, Quaderno dell’istituto di Psicoterapia del Bambino e dell’Adolescente , vol. 11, pp. 17-25
Gutton Ph. (1991), Le pubertaire. PUF, Paris.
Mancuso F. (2021), Passaggio in preadolescenza: rischi e risorse creative. Quaderno dell’istituto di Psicoterapia del Bambino e dell’Adolescente, vol. 53, 2021.