Nicola Perrotti con Edoardo Weiss
A cura di Gabriella Gentile
Maestri della psicoanalisi
Perrotti, Nicola (Penne, 1897-Roma, 1970)
La storia di Nicola Perrotti è la storia di un piccolo grande uomo, che ha contribuito a cambiare l’Italia in ambito medico, psicoanalitico e sociale, in modo umile, non tradendo mai i suoi ideali, le sue scelte di libertà, pagando con l’isolamento, la persecuzione, in un periodo particolarmente buio della storia del mondo.
LA VITA
Perrotti nasce a Penne nel 1897, nello splendido Abruzzo, cui la psicoanalisi italiana deve la sua nascita, un paesino tra i monti che mai lasciò totalmente e a cui chiese di tornare alla fine della sua vita. Proviene da una famiglia facoltosa ma di idee socialiste e frequenta il partito già nel 1919. Si iscrive a medicina e parte per la prima guerra mondiale nella Compagnia della Sanità. Nel 1922, si laurea e inizia a leggere libri di psicoanalisi. Alla fine degli anni ’20, intraprende un’analisi con Edoardo Weiss, laureatosi a Vienna, analizzato da Federn e dal 1913 membro della Società Psicoanalitica Viennese e dell’Associazione Psicoanalitica Internazionale. Nel 1924, Perrotti sposa Irma Merloni, compagna di una vita, figlia del deputato socialista condannato nel 1935 dal tribunale speciale. Avrà tre figli: Massimo, Paolo e Daisy. Sarà Paolo a raccogliere brillantemente la sua eredità di medico e psicoanalista, ma anche di uomo impegnato nel sociale. E anch’io sono qui grazie a lui.
Nel 1921, a soli ventitre anni, Perrotti diventa sindaco della città di Penne e nel 1922 aderisce al Psi, il partito di Turati e Matteotti, mentre nel 1924 viene candidato alle elezioni. Nel 1925, viene sottoposto a regime di sorveglianza e inserito nell’elenco dei sovversivi. Inizia ad essere perseguitato quando viene richiesto dai fascisti di mettere dei vessilli alla finestra come festeggiamento per lo scampato attentato a Mussolini. Le finestre della sua casa rimangono chiuse e viene arrestato. Nel 1926, durante una rappresentazione teatrale al suono dell’inno fascista, tutti si alzarono tranne lui e la moglie Irma. Fu arrestato, picchiato e trattato con l’olio di ricino. Irma fu risparmiata perché incinta. Si traferisce a Roma, dove inizia a dedicarsi più sistematicamente alla psicoanalisi, allora vista con sospetto sia dall’ambiente politico che dalla Chiesa. Intanto Weiss, nel 1931, da Trieste si sposta a Roma, rimanendo sempre in contatto epistolare con Freud. Il primo ottobre 1932, con Perrotti, Servadio e Musatti, rifonda la Società Psicoanalitica Italiana, già fondata nel 1925 a Teramo con Levi Bianchini, che ora ne è eletto presidente onorario. Fortunatamente per la causa psicoanalitica, Levi Bianchini aveva in quell’occasione legalmente costituito l’associazione ispirata alle idee freudiane, denominata Società Psicoanalitica Italiana. Sarebbe stato, infatti, molto difficile, in pieno regime fascista, ottenere le autorizzazioni necessarie, ma bastò trasferire la Società, già costituita, da Teramo a Roma. Nella nuova Società, tutti i componenti sono analizzati. Perrotti è l’unico medico del gruppo ed anche l’unico a non avere origini ebree.
Nasce anche la Rivista Italiana di Psicoanalisi, che purtroppo avrà vita breve e nel 1934 verrà chiusa; due numeri rimasero fuori circolazione perché le autorità fasciste non rinnovarono al periodico i permessi necessari. Come ricorda Servadio, in nessuna circostanza storica psicoanalisi e dittatura andarono mai d’accordo. Nel primo numero, compare il primo lavoro di Perrotti: “La suggestione”. Lo stesso Freud ne parlerà a Weiss, esprimendosi così: “il Suo collaboratore Perrotti promette di diventare un elemento di sicuro valore”. Ma Perrotti è stato anche il promotore della nascita de Il Saggiatore, una rivista estranea al partito fascista, sulle pagine della quale rimase famosa la sua polemica con De Ruggero, che dopo aver letto testi di psicoanalisi scrisse un articolo su La critica in cui la liquidava come “serie di banalità”, aggiungendo: “da questo i lettori possono valutare l’intelligenza del Perrotti”. Quest’ultimo prontamente rispose punto per punto alla critica, pur sottolineando che “era ed è mia ferma intenzione non discutere con gli incompetenti-sentimentali”. Weiss aveva anche fondato una Biblioteca Psicoanalitica Internazionale – serie italiana – dove, oltre al suo l’articolo sull’agorafobia, comparvero traduzioni delle opere di Freud, di Anna Freud e della Bonaparte. Nel 1936, in occasione dell’ottantesimo compleanno di Freud, si pubblica anche il volume, Saggio di psicoanalisi in onore di Sigmund Freud, a cui collaborano Weiss, Musatti, Perrotti, Servadio, Merloni, Hirsch e Kovacs. Il ventisette novembre del 1934, su carta bollata da lire cinque, la Società Psicoanalitica Italiana, nella figura di Servadio, ripresenta la sua ennesima “rispettosa istanza affinché venga concesso di appartenere” alla Associazione Psicoanalitica Internazionale ed a quella di Vienna. Naturalmente, il Ministero dell’Interno diffidava e temporeggiava, richiedeva gli statuti delle sconosciute e “sospettabili” Società Psicoanalitiche europee, le cui “finalità” non risultavano “chiare”, alle quali il movimento italiano si ispirava chiedendo ufficialmente di poter aderire. Finalmente. Il primo aprile del 1935, dopo ripetuti scambi epistolari, solleciti e rinvii, il Ministero dell’Interno notificava il proprio rifiuto: restituiva gli Statuti delle Società “straniere”, allegati come da richiesta, e informava gli interessati di “non ritenere opportuno concedere al dott. Servadio l’autorizzazione richiesta”. Comunque, nel 1936, Weiss ottiene che la SPI venga ammessa come società componente dell’Associazione Psicoanalitica Internazionale (IPA), nonostante la “ancora non soddisfacente preparazione analitica degli analisti Italiani”.
Nonostante l’entrata in guerra dell’Italia con l’Etiopia e lo schieramento che si profila, che si formalizzerà nel 1939 con l’alleanza tra Mussolini e Hitler, i padri della psicoanalisi italiana lavorano attivamente sia in patria sia all’estero, come testimonia la loro partecipazione al XIV Congresso Internazionale di Psicoanalisi tenutosi a Marienbad. E’ in questa sede che la SPI viene ufficialmente salutata e riconosciuta dalla comunità psicoanalitica internazionale. Sarà lo stesso Weiss, al ritorno dal congresso, ad incaricarsi di comunicare formalmente questo evento alla prefettura di Roma . Perrotti continua intanto a svolgere con passione anche la sua attività di medico ed è già molto apprezzato tanto da essere considerato uno dei migliori medici di Roma. Ma nel 1938 Freud è costretto ad andare in esilio e la cancellazione totale della psicoanalisi di lingua tedesca fa prevedere che anche l’Italia sarà travolta. Nell’estate del 1938, al Congresso di Parigi, si respira un’aria inquieta ed oppressiva e nel settembre in Italia vengono firmate le prime leggi razziali. Molti sono costretti a scappare: Weiss a Chicago, Servadio in India, Hirsch in Venezuela e chi rimane in Italia è costretto a preoccuparsi della propria incolumità e quella dei suoi cari. Fa seguito un periodo buio in cui in Italia non si sente più nominare la psicoanalisi. Perrotti continua instancabile il suo lavoro e il suo impegno politico. A partire dal 1942, aiuta la ricostruzione in clandestinità del Psi e insieme a Romita e Vernacchi promuove il nucleo romano che ricostruirà il Psup. Le riunioni, a cui partecipano, tra gli altri, Nenni e Pertini, si svolgono nella sua abitazione, poiché la professione poteva fungere da buona copertura.
Nel 1945, viene nominato Alto Commissario Alla Salute e Igiene Pubblica. Nel ’45, dopo la liberazione, torna in Italia Servadio e riprende i contatti con Perrotti e Musatti. Quanta abnegazione, quanta fedeltà e quanta passione per la psicoanalisi! Nel 1947, viene ufficialmente ricostituita la Spi sotto la presidenza del prof. Perrotti. Ne diviene organo ufficiale la Rivista di Psicoanalisi, diretta da Joachim-Flescher, medico polacco. Ma la rivista esce solo per due anni. Flescher si trasferisce in America e alcuni analisti, tra cui Perrotti, danno vita a Psiche, rivista internazionale di psicoanalisi e scienze a carattere scientifico e divulgativo. Il ventidue e ventitre ottobre del1946, si tenne a Roma il primo Congresso italiano di psicoanalisi; il secondo, che si svolse dal venti al ventidue ottobre 1950, sempre a Roma, vertente sul tema dell’aggressività, ebbe notevole risonanza in patria e all’estero. Nel 1952, viene fondato l’Istituto di Psicoanalisi di Roma e la scuola di formazione. Dal 1955, si torna a pubblicare la Rivista di Psicoanalisi che tutt’oggi è l’organo ufficiale della Spi. L’Istituto diventa non solo una importante scuola, ma un luogo di incontro e confronto con le nuove frontiere della psicoanalisi ed ospita Winnicott, Lacan, Bouvet, Spitz, Balint e Nacht . Nel frattempo, il prof. Perrotti nel ’48 viene eletto come deputato nel collegio abruzzese con ventottomilaseicentocinquantuno preferenze, cifra quasi plebiscitaria.
Ho trovato, negli Atti parlamentari, le proposte di legge da lui avanzate in collaborazione con altri deputati, dove ancora emerge l’amore per la sua terra, l’insofferenza per ogni ingiustizia e la protezione per le categorie più deboli (la gente del sud, gli operai, i malati, i terremotati). Ancora più commoventi ed esplicative le richieste che gli giungevano da Pescara, dalle sedi dei compagni che lo avevano appoggiato: prima cambiale della Lambretta, fondi per la distribuzione dei viveri ai compagni bisognosi, fondi per coprire le spese per il processo intentato dai lavoratori del Fucino per la lotta contro i Torlonia.
Un uomo coerente e completo: studioso che ha creduto nella scienza, medico coscienzioso, psicoanalista libero e promotore della libertà come valore umano, convinto che ciascuno di noi contiene l’altro; politico dagli alti ideali che governava per il bene degli altri, credeva nella costruzione di un senso comune, di un socialismo interiore che lo portò, nel ’50, a rinunciare ad un viaggio in Russia, perché non volle firmare l’obbligo di non parlare male del paese del socialismo reale. Pur essendo ormai un uomo all’apice della sua carriera e di fama indiscussa, continuava a tornare nel suo piccolo paese natale e a visitare i suoi pazienti, recandosi anche in posti difficilmente raggiungibili. Si racconta che, quando una donna, al momento del pagamento, aveva estratto dal suo petto un frutto del suo lavoro di contadina, il segretario l’abbia richiamata, ma Perrotti lo abbia zittito dicendo, come se fosse venuto direttamente dal suo cuore: “ma non vedi da dove l’ha cacciato?”. Perrotti muore a Roma nel 1970 e viene sepolto a Penne, dove più di un contadino era solito chiamarlo “San Nicola”.
IL CONTRIBUTO ALLA PSICOANALISI
Nell’accingermi a rileggere gli scritti e a ripercorrere la straordinaria vita di Nicola Perrotti, ho ritrovato un maestro e china mi sono messa ad imparare. Ho amato la libertà mentale ed il coraggio di abbracciare idee nuove e rivoluzionarie, quando queste non erano accettate né promettevano lauti guadagni, ma quando attaccavano il sistema e per questo si veniva perseguitati. Ho toccato con mano l’amore per la scienza, vista come l’impresa che avrebbe salvato l’uomo dall’abbrutimento e dal ripetersi di vicende terribili, come le due guerre che l’umanità aveva appena subito. Una scienza al servizio dell’uomo, poco incline a seguire le mode, che sapeva rinnovarsi pagando il dazio dell’isolamento. Ho trovato un uomo innamorato della vita e degli esseri umani, che provava ad elevare perché fossero liberi di agire, godere pienamente e affrontare le difficoltà dell’esistenza. Uno psicoanalista retto, che rispettava i principi fondamentali dell’anonimato, tanto che tranne in un caso nessuno mai seppe chi fossero i suoi pazienti. Analizzò personaggi noti e meno noti, dei quali nulla sappiamo, fatta eccezione per lo scrittore Giuseppe Berto, che nel 1964 vinse sia il premio Campiello che il premio Viareggio con il noto romanzo Il male oscuro.
Era analista anche al di fuori della sua stanza, sempre in contatto con la realtà e la sofferenza dell’altro, del popolo, delle masse, dell’intero mondo, utilizzando la sua competenza per meglio comprendere la realtà politica e sociale. Un analista che, come raccontano i suoi allievi, riusciva a tirar fuori il meglio di loro, che guardava di loro sempre l’aspetto buono e unico, mentre li invitava a lavorare sulle loro parti oscure. Con una caratterista che ancora oggi differenzia la psicoanalisi da ogni altra terapia: un profondo rispetto dell’essere umano e della singolarità di ognuno. Queste le parole riferite da un allievo, lo psicoanalista Giancarlo Petacchi: “Non importa quanta luce si emette, l’importante è brillare di luce propria, non di luce riflessa”. Un analista votato alla clinica, che introdusse i seminari clinici nel training, pratica non esistente in nessun altro istituto al mondo. Nei suoi pochi ma importantissimi scritti, che toccano molti aspetti della vita quotidiana, scopriamo il grande analista, preciso e puntuale, che come Freud non scinde mai la teoria dalla clinica, che argomenta ogni pensiero e affronta tematiche nuove, come l’aggressività, la depersonalizzazione e il Sé, che diventeranno il futuro della psicoanalisi, con riconoscimenti anche all’estero.
Perrotti ha saputo accogliere ciò che c’era di nuovo nel panorama psicoanalitico mondiale, ma ha anche saputo contestare Freud, dando una lettura dell’istinto di morte originale e diversa. La sua scrittura, così semplice e profonda, da grande narratore, ha spaziato su una grande quantità di temi, dei quali stupisce la modernità e la varietà. Dal racconto sullo sport a quello sul calcio, alla rivendicazione dell’importanza degli aspetti etici e morali, attaccando però sagacemente l’esistenza di una doppia morale, soprattutto in campo sessuale, quando la sessualità veniva ancora considerata un’opera diabolica. Dall’invito a liberarsi delle nostre patologie per liberare la nostra creatività attraverso ogni arte, fino allo splendido decalogo del buon analista, che deve essere curioso di conoscere l’animo umano, curioso di sé e dell’altro, che conosce sé tramite l’altro; che deve avere la capacità di “stabilire una comunicazione col paziente ed il suo desiderio inesauribile di volerlo aiutare e di guarirlo”, che deve saper creare un buon ambiente emotivo, avere una pazienza infinita e intuito. Ma anche possedere un Io robusto eppure agile, comprendere il transfert e controllare il proprio controtransfert, infine, possedere un tratto speciale, “l’angoscia dello psicoanalista, cioè quello speciale bisogno di certezza e di dubbio metodico che è inerente alla professione della psicoanalisi.” Ma voglio concludere il mio inchino con una sua frase detta ad una donna, a cui aveva gratuitamente curato il figlio, che ripetutamente gli chiedeva cosa potesse fare per lui. Questa fu la sua risposta: “Mi ricordi, essere ricordati è un modo per non morire”. Noi, caro Professore, la ricordiamo.
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Vedi anche
Altre foto:
http://quitrieste.it/edoardo-weiss-e-le-malattie-dellio/casa-weiss/
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