La Ricerca

Pediatria/Psicoanalisi

24/03/14

A cura di Elena Molinari

Ambulatorio pediatrico: domande sorprendenti e nascita di pensieri psicoanalitici

Invece della via storica che ripercorre le tappe dello sviluppo di un dialogo tra pediatria e psicoanalisi, scelgo la via di illustrare con schegge di vita quotidiana il mio essere pediatra e psicoanalista per mostrare come possa mescolarsi il pensiero psicoanalitico a quello medico oggi; pensieri e pratiche di salute psichica e fisica che molti pediatri praticano rimangono meno fecondi perché occultati da una non consapevolezza del loro valore.

Una visita di controllo

“Di quale colore saranno gli occhi della mia bambina?” mi domanda con una sfumatura di preoccupazione giovane mamma. “Importante è che siano sani! Ora sembrano blu perché la cornea è ancora trasparente e si vede il riflesso della retina.

Un piccolo frequente dialogo e una risposta che viene un po’ in automatico considerando solo la spiegazione scientifica. E’ evidente che una tale risposta non serve, ma soprattutto elude un’importante domanda: perché le mamme sono così incuriosite dal colore degli occhi del proprio bambino?
La prima idea da cui ci si può lasciare sorprendere è che le madri si pongono il problema della forma, si interrogano sulle proporzioni, sul colore, la somiglianza e l’allusività che sono questioni che normalmente si pongono gli artisti. La domanda sul futuro colore degli occhi rappresenta quindi qualcosa di più di una domanda o di un corollario della preoccupazione materna.
Una prima ipotesi (psicoanalitica) è che le madri, come gli artisti, possano interrogarsi sulla compiuta bellezza di ciò che hanno generato per rassicurarsi rispetto ai sentimenti di difficoltà che possono aver provato per generare. Se si usa però una teoria già confezionata si avverte che la spiegazione che ci auto-forniamo riguarda appunto ciò che le mamme hanno passato, ma nelle loro domande esse si dimostrano preoccupate su ciò che si deve ancora esprimere compiutamente, cioè qualcosa che riguarda il futuro. Possiamo immaginare che, dovendo dar senso ai molti segnali del loro bambino (perché piange, sorride, dorme o si sveglia), devono come imparare a sognarne il corpo. Come gli artisti devono cioè osservare un dato sensoriale, lo devono de-formare facendolo passare attraverso i propri occhi, lo devono impastare con le proprie emozioni e trasformarlo in un’immagine, poi devono ri-trasformare questa immagine (un vero e proprio sogno ad occhi aperti) in azioni, parole, suoni cucite insieme da un senso possibile. Le madri fanno tutto questo inconsapevolmente e inconsapevolmente creano la mente- corpo dei loro bambini osservando il loro corpo-mente e sognandolo.

Un comune disturbo del sonno

DISTURBO SONNO_PALAZZO
Piero, un bambino di 4 anni ha difficoltà ad addormentarsi e soffre di frequenti angosciati risvegli durante la notte. Mentre mamma e pediatra parlano, Piero disegna la sua casa orgoglioso di aver trovato da poco una soluzione grafica per rappresentare i diversi piani dell’edificio. Che l’acquisizione sia recente lo testimonia la difficile integrazione tra il vecchio schema di casa, cioè il quadrato sormontato da un triangolo, e la forma rettangolare caratteristica di un condominio. Terminata questa prima fase Piero annerisce alcune finestre.

Hai colorato di nero le finestre…così sono chiuse?
Piero: Sono le tapparelle! Se Babbo Natale viene e non ti sei ancora addormentato, non ti lascia i regali.
Immagino che in questo periodo emozioni non facilmente digeribili interrompono il sonno e sopravanzano la sua capacità di costruire il sogno.
Penso perciò che il suo disegno sia non solo il racconto di un evento atteso, i doni natalizi, ma anche un derivato figurativo del sogno della veglia che Piero sta facendo in quel momento mente sente il pediatra e la mamma mentre parlano delle sue difficoltà. Immagino che la funzione trasformativa della sua mente continui a lavorare per metabolizzare sentimenti difficili che caratterizzano il suo rapporto con i genitori in questo momento della sua crescita: un senso di esclusione molto angosciante che nasce dalla richiesta che lui si comporti più “da grande”.
Penso che il disegno rappresenti il desiderio di Piero di essere come i suoi genitori gli chiedono: un bambino capace di ubbidire e di tollerare le difficili emozioni che comporta l’andare a letto separandosi da loro. I doni di Babbo Natale rappresentano la ricompensa attesa rispetto a questo adeguamento che la crescita (che la casa a più piani testimonia) gli impone.
Il travaglio però riemerge sia nella difficile integrazione fra modelli di casa a cui accennavo sopra, sia dal segno che, nell’annerire le finestre, diventa meno controllato, permeato da emozioni intense che faticano a rimanere entro i margini. Questo abbassare le tapparelle o chiudere gli occhi risulta difficile ed è necessario che una speranza, insieme ad un vero e proprio sogno inconscio sostengano il difficile processo elaborativo della solitudine e della rabbia.

Ospedale: quando il sogno diventa un incubo

FAMIGLIA IN_FUGA
Questa immagine rappresenta un momento di riposo durante la fuga di una famiglia che cerca di sottrarre alla morte il proprio bambino. Nonostante l’angoscia incombente l’atmosfera che viene rappresentata è di apparente tranquillità; è un momento in cui il bambino, contenuto nell’abbraccio materno, riesce ad addormentarsi. Il padre con il suo doppio nell’angelo sembra costruire il ritmo e la cornice per quest’atmosfera. E’ partendo da questa capacità dei genitori di contenere l’angoscia, di trovare anche durante un viaggio così incerto la capacità di sognare insieme al bambino, che la psicoanalisi ha imparato ad osservare la relazione tra bambini e genitori e a far tesoro di efficaci pratiche di promozione della salute psichica durante i ricoveri ospedalieri per malattie gravi.
La psicoanalisi ed in particolare la capacità osservativa degli analisti infantili, hanno molto contribuito a portare alla luce sia i processi dolorosi che un bambino deve attraversare e il rischio psichico che il dolore fisico può avere sullo sviluppo.
In particolare i bambini devono affrontare il “non senso” di medicine o interventi che invece di guarire spesso inducono malessere e sconcertanti cambiamenti nel corpo (fig. 1), l’enorme dilatarsi dell’immobilità a cui sono costretti (fig. 2), la gravissima sensazione di una possibile morte incombente (fig. 3).

Teresa 8 anni: gli zombi (fig.1)

ZOMBI

Giulia 7 anni: la flebo (fig.2)

FLEBO

Giuseppe 10 anni: l’incidente ferroviario(fig.3)

INCIDENTE TRENO

Molti studi ci hanno reso famigliare l’idea che soprattutto agli inizi della vita una grave malattia può far sì che la mente perda per un periodo di tempo la trama spazio temporale attraverso cui si struttura e da ordine all’esperienza. Il dolore o anche un’eccessiva stimolazione del corpo possono configurarsi per il bambino come una sensazione di essere sopraffatti dal corpo, come un esperienza di frammentazione che si accompagna ad un vissuto di “terrore senza nome”.

Tuttavia come la nascita, anche la malattia è un evento solo potenzialmente traumatico. Come sottolinea Paula Heimann (1958) le “memorie somatiche” connesse alla malattia possono essere memorie di sopraffazione dell’io, quando gli stimoli esterni sono incontrollabili e memorie di aver superato l’annientamento. Queste seconde, che ovviamente si accompagnano alla guarigione, possono essere fonte di una profonda fiducia in sé e nella propria capacità di superare le avversità.

La salute e la malattia quindi non sono due ambiti di esperienza completamente separati e l’ambiente, nel senso in cui lo intendeva Winnicott, può essere determinante nell’attivare e sostenere le capacità del bambino di trasformare questo tipo di esperienza in una consolidata capacità di affrontare la perdita e di fare il lutto per essa.

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