SALVADOR DALÌ , 1934-35
A cura di Anna Migliozzi
Secondo Segal (2007) una delle qualità per essere o diventare psicoanalisti è la capacità di avere o comprendere la passione.
Tuttavia, proprio in psicoanalisi la passione ha vissuto un destino controverso: avvicinata all’isteria, viene descritta come una forma di eccitamento, volta ad eludere l’amore reale per evitare la sofferenza o annullare l’analisi mentre, assimilata al furore, è descritta come un sentimento violento, capace di alterare l’intera personalità.
Già Freud (1915), pur attirando l’attenzione sul potere dirompente della passione (che, nel transfert, prendeva la forma dell’amore), riteneva opportuno governarla, evitando di metterla a tacere con surrogati. Svelando le radici infantili di questa passione amorosa, la paziente avrebbe recuperato una vitalità spenta troppo precocemente, consentendole di riuscire ad amare nella vita reale ( Rappaport 1956; Blum 1973; Meltzer 1974; De Masi 1989; Bolognini 1994; Bollas 1994). Qualora la passione fosse riuscita a far deragliare il processo psicoanalitico o pervertito la dinamica transfert-controtransfert, avrebbe perso la sua qualità trasformativa destinando la paziente a rimanere legata all’analista senza riuscire a proiettarsi nella vita reale e nelle relazioni (Major, 1985; Bergmann 1997).
Per Bion (1963), invece, la passione, che è la prova che ci sono almeno due menti e che sono legate, è un’emozione esperita con intensità e calore, che non rimanda necessariamente a qualcosa di violento e che non tenta ineluttabilmente di offuscare la ragione spingendola verso l’irrazionalità. Anzi, viene considerata un elemento essenziale per il buon funzionamento delle nostre facoltà razionali, in grado di dare significato e senso alla nostra esperienza umana (Ogden, 1991), permettendoci di percepire il “[…] misterioso atto creativo della mente” (Meltzer, 1986, 102). La passione necessariamente presente nel campo analitico, arriverebbe a potenziare la ricettività verso ciò che accade in ogni momento tra paziente e analista e favorirebbe la trasformazione dell’esperienza.
In quanto componente di L, H e K (Love, Hate, Knowledge, elementi astratti per indicare i legami emotivi esistenti tra il sé e gli oggetti e tra gli oggetti) la passione non viene dunque ridotta alla sfera del desiderio sessuale (Il sesso è un nome – Bion, 1991, 206) e nemmeno a quella del teatro d’amore (Io amo ?… si applica al ‘discorso’ non ad amare’ – Bion, 1991: 208) ma offre invece una doppia valenza: è un processo emozionale, che sviluppa legami, ed è un elemento fenomenologico, che crea meta-concetti ( Meltzer, 1978).
In questo modo, nella seduta analitica, la passione permette all’analista di diventare “oggetto dell’esperimento inconscio dell’altro” (Ogden 1997,10), per affrontare ciò che altrimenti sarebbe insopportabile e per portare alla luce ciò che prima era sconosciuto o non ancora rappresentabile (capacità di contenimento). E’ quindi, a tutti gli effetti, un modo di amare perché insieme alla rêverie – la capacità di pensare-sognare – si sviluppa in un rapporto con un oggetto, una madre o un analista, che è in grado di fornire e sviluppare gli elementi costitutivi della mente.
Per Bion, l’amore appassionato “[…] quanto di più vicino ad una trasformazione verbale che ‘rappresenti’ la cosa-in-sé, la realtà ultima, la O”, ci permette di rinunciare alla nostra rigorosa razionalità a favore di una posizione più sfumata che abbraccia l’assenza di chiarezza per riuscire a vedere gli aspetti insoliti della realtà in uno stato d’animo simile a quello dei mistici e dei poeti”.
Bibliografia
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Segal H. (2007) Encounters through Generations, filmed events organised at the British Institute of Psychoanalysis, London.
Novembre 2014