Panksepp e Davis – I fondamenti della personalità e i mutamenti di paradigma nelle neuroscienze – Giorgio Mattana
I fondamenti emotivi della personalità – Un approccio neurobiologico ed evoluzionistico
Autori: Jaak Panksepp e Kenneth L. Davis
Edizioni: Raffaello Cortina
Anno: 2020
In questo volume pubblicato postumo, scritto insieme all’allievo e collega Kenneth L. Davis, Jaak Panksepp, fondatore e principale teorico delle «neuroscienze affettive», estende le sue considerazioni sulla struttura emotiva umana alla personalità e al Sé. Non è certo la dettagliata discussione dei “Big Five”, la classificazione della personalità più diffusa fra i ricercatori accademici, l’argomento che può maggiormente suscitare l’interesse del lettore di orientamento psicoanalitico. Il modello dei “Big Five”, ricavato per analisi fattoriale dagli aggettivi usati nel linguaggio comune per descrivere la personalità, contempla cinque fattori discreti: Estroversione, Amicalità, Coscienziosità, Stabilità emotiva e Apertura mentale. Ogni fattore si estende lungo un continuum che si colloca fra due poli opposti e copre un’ampia gamma di comportamenti umani, ma non si riferisce direttamente ai tratti emotivi. Ne deriva un limite teoretico di fondo, evidente nel raggruppamento degli affetti negativi (“avversivi”) nel polo inferiore della dimensione della Stabilità emotiva, l’unica peraltro a riferirsi vagamente al mondo delle emozioni, sotto la generica etichetta di “nevroticismo”. Anche se la paura, la rabbia e la tristezza sono sentimenti distinti, anche se le loro “derive” psicopatologiche comportano problemi differenti, essi sono riuniti dai “Big Five” in un unico tratto.
A tale modello gli Autori contrappongono le Scale di valutazione della personalità delle neuroscienze affettive (ANPS), basate sui sistemi emotivo-motivazionali primari individuati da Panksepp a livello sottocorticale: quello della Ricerca, quello della Rabbia, quello della Paura/ansia, quello della Cura/accudimento, quello del Panico/tristezza e quello del Gioco/felicità. Tali sistemi, compreso quello del Desiderio Sessuale che non figura nelle Scale a causa del problema metodologico dell’attendibilità delle risposte, sono condivisi da tutti mammiferi e verosimilmente da altre specie animali, rappresentando nell’ottica darwiniana degli Autori i fondamenti della personalità. Tanto i «Big Five», discussi peraltro con grande acume e sottigliezza, quanto le Scale di valutazione della personalità da essi proposte, appartengono ai questionari di self-report. Si tratta di strumenti molto lontani dal metodo psicoanalitico, che si pone anzi classicamente agli antipodi dei resoconti introspettivi, compresi quelli sottoposti ai più raffinati metodi di analisi statistica, ed è piuttosto difficile che la loro trattazione possa attirare l’attenzione dello psicoanalista. L’opera si raccomanda tuttavia per una serie di questioni teoriche importanti, sulle quali si conferma e si precisa il contributo di Panksepp, che coinvolgono temi di indubbio interesse psicoanalitico, come il rapporto fra la coscienza e l’inconscio, le emozioni, la personalità, la psicopatologia e il Sé. E più in generale perché la sua lettura chiarisce che dialogare con le neuroscienze significa accostarsi a un mondo complesso e in continua evoluzione, caratterizzato da relative e provvisorie certezze, diversificato al suo interno e caratterizzato da una pluralità di vertici osservativi, che sarebbe erroneo scambiare per un complesso di conoscenze definitivamente acquisite e a maggior ragione per uno stabile e monolitico banco di prova delle teorie psicoanalitiche.
Panksepp si riconferma il principale artefice del mutamento di paradigma in atto nel mondo neuroscientifico in relazione all’origine della coscienza, che a suo avviso deve essere collocata nei nuclei sottocorticali profondi del cervello. Come ha affermato Solms, Freud avrebbe condiviso una diffusa «fallacia corticocentrica» che gli avrebbe impedito di situare la coscienza nei circuiti sottocorticali, sede dell’Es, e l’inconscio nella corteccia, sede dell’Io e del sistema percezione-coscienza. L’affetto in sé è conscio, o meglio la prima forma di coscienza è affettiva ed è essa che attiva la coscienza di ordine superiore legata alla corteccia e al linguaggio, esattamente l’opposto di quanto si è a lungo ritenuto. Contrariamente a quanto affermava la nota teoria di James-Lange, gli affetti non consistono nell’interpretazione cognitiva (neocorticale) dei mutamenti della fisiologia corporea, ma sono generati dal cervello e a esso intrinseci. L’emozione in questa prospettiva è concepita come attivazione dei circuiti sottocorticali, a loro volta origine dell’arousal fisiologico-viscerale, ritenuti capaci di dar luogo direttamente a intense esperienze affettive, da intendersi come la percezione o il vissuto soggettivo dell’emozione.
Il tema della coscienza si collega dunque direttamente a quello dell’emozione, centro dell’indagine neuroscientifica di Panksepp, che ritiene che i circuiti sottocorticali, in parte comuni e in parte fra loro differenziati, che presiedono ai diversi processi emotivi primari, diano luogo a intense esperienze affettive, a una vera e propria coscienza affettiva. Tali sistemi generano esperienze affettive distinte, che possono tuttavia in varia misura sovrapporsi, come ad esempio nel caso del sistema della Ricerca (Seeking System), che partecipa alla maggior parte degli altri sistemi, tutti controllati dagli stessi regolatori generali dell’attivazione cerebrale, come la serotonina, la norepinefrina e l’acetilcolina.
Le tesi di Panksepp rappresentano una decisa contestazione delle concezioni della natura cognitivo-linguistica della coscienza, generalmente collegata in ambito neuroscientifico all’attività delle più recenti ed evolute strutture neocorticali. Tali concezioni, tuttora molto diffuse, sarebbero di fatto delle riedizioni della teoria di James-Lange, in cui all’interpretazione delle afferenze corporee si sostituisce quella dell’attività delle regioni sottocorticali, e si baserebbero semplicemente su un’insufficiente conoscenza di queste ultime. Panksepp presenta le proprie vedute come uno sviluppo di quelle di Cannon, secondo il quale le emozioni nascerebbero da regioni talamiche sottocorticali, e di quelle successive di Bard che sottolineavano maggiormente il ruolo dell’ipotalamo, poi confluite nella teoria di Cannon-Bard. I dati su cui questa si basava rappresentavano una smentita della teoria di James secondo cui i sentimenti emotivi consisterebbero nella “lettura” delle risposte fisiologiche viscerali da parte delle aree corticali del cervello. Un ulteriore passaggio è costituito dall’ipotesi di Papez secondo cui i circuiti sottocorticali formerebbero “reti coerenti per l’emotività” (p. 50), successivamente approfondita da MacLean e dallo stesso Panksepp.
Gli Autori propongono di fondare la personalità sulle emozioni sottocorticali di base, intese come il fattore decisivo nel determinare il comportamento e la specifica reattività dell’individuo all’ambiente. Nella visione stratificata che, in una prospettiva rigorosamente monista, Panksepp propone della Mente/Cervello umana, i processi affettivi primari, oggetto privilegiato della sua ricerca, rappresentano la condizione filogenetica e ontogenetica della nascita dei processi secondari, legati all’apprendimento emotivo, e dei processi terziari, connessi alla più evoluta e specificamente umana capacità di riflettere sulla propria esperienza emotiva. I processi primari sono dunque una sorta di motore emotivo-motivazionale di base, di repertorio filogenetico di risposte e “categorizzazioni” valoriali degli oggetti ed eventi del mondo, sul cui fondamento viene costruita la mente “superiore” nelle sue componenti affettive e cognitive più avanzate.
Panksepp, contestando con forza la diagnostica e la nosologia psichiatriche tradizionali, concepisce le varie sindromi psicopatologiche in termini di squilibri emotivi da valutare caso per caso, considerando termini tradizionali come “depressione”, “schizofrenia” o “autismo” eccessivamente generici. L’intervento psicoterapeutico, in questa prospettiva, riguarderebbe solo i “piani alti” della psiche, quelli delle emozioni più evolute, complesse e “sociali”, legate ai processi secondari e terziari di apprendimento e categorizzazione linguistico-cognitiva, come la vergogna, il senso di colpa, la gelosia e l’invidia, senza possibilità di incidere in maniera significativa sulle emozioni primarie, come l’ansia, la rabbia o l’eccitazione sessuale.
“Che cosa sarebbe la personalità senza un senso di sé? Il ‘miracolo’ della mente è che gli esseri umani fanno esperienza di sé stessi e questo è essenziale per un senso di sé” (p. 293). Gli Autori affermano che il senso di sé sembrerebbe includere il senso della propria personalità, ma che il concetto di sé è sicuramente più generale di quello di personalità. Coerentemente con la loro impostazione di fondo, Panksepp e Davis illustrano i limiti di un concetto di sé “puramente neocorticale”, affermando che i dati che abbiamo a disposizione dimostrano che nonostante il danno a una qualsivoglia regione principale della nostra neocorteccia rimaniamo comunque esseri senzienti. Al contrario, danni anche relativamente circoscritti alle regioni sottocorticali tendono ad abolire la coscienza, in modo particolare se si verificano nella regione più antica del tronco mesencefalico, costituita dalla sostanza grigia periacqueduttale (PAG) e dalle regioni del tronco encefalico attigue, complessivamente definite come sistema di attivazione reticolare.
Il programma di ricerca lanciato dagli Autori è quello di mettere più compiutamente in relazione il Sé con quelle regioni e circuiti sottocorticali che presiedono all’attivazione dei nostri processi emotivi primari, la cui conoscenza è ancora incompleta a causa della loro minore accessibilità con tecniche di neuroimmagine rispetto alle regioni corticali. Ciò non significa naturalmente che al “Sé nucleare”, radicato a livello sottocorticale e condiviso dagli altri mammiferi, non si sovrapponga nell’uomo un Sé autobiografico o “senso autobiografico di sé” la cui massima elaborazione si verifica indubbiamente a livello corticale. Antecedente al “Sé nucleare” è il “proto-Sé”, che gli Autori descrivono in maniera piuttosto simile a quella in cui lo stesso termine è impiegato da Damasio, costituito dalla capacità di rispondere alle esigenze metaboliche dell’organismo, di promuovere movimenti fisici spontanei e di distinguere implicitamente fra Sé e non Sé. L’integrazione di tale livello con quello dei sistemi emotivo-motivazionali primari dà luogo al “Sé nucleare”, che è tuttavia ancora una pura esperienza affettiva ed esclude quella capacità di riflettere coscientemente sulla propria esperienza, quella capacità auto-osservativa che si realizza solo grazie all’intervento delle regioni neocorticali.
L’ipotesi di Panksepp è che il “Sé nucleare” nasca grazie alla capacità delle mappe neuronali di rappresentare stati somatici e viscerali dell’organismo, integrando input provenienti da varie fonti e generando in tal modo un senso di unità corporea. Tali sistemi neuronali di mappatura, che come afferma Damasio sono diffusi massimamente nelle regioni corticali superiori e verosimilmente in tutto il cervello, si trovano anche nel mesencefalo inferiore, tanto nella sostanza grigia periacqueduttale quanto nei collicoli inferiori e superiori, nel mesencefalo superiore e nel diencefalo, cioè nell’ipotalamo e nelle regioni talamiche della linea mediana. Oltre a condividere con gli altri mammiferi la presenza corticale di mappe sensoriali del corpo molto sviluppate, di mappe motorie complesse e di ampie aree di elaborazione percettiva di ordine superiore, l’uomo possiede grazie alla sua estesa neocorteccia capacità rappresentazionali e meta-rappresentazionali di ordine superiore, che gli consentono tutta una serie di prestazioni cognitive precluse agli altri animali e non solo di avere un senso di sé, ma anche di osservarsi e vedersi dal punto di vista degli altri.
Eppure gli Autori insistono sul fatto che ciò non significa che negli esseri umani il nucleo del Sé sia un fenomeno neocorticale, ma che come negli altri mammiferi esso è radicato nei sistemi emotivo-motivazionali sottocorticali, poiché i dati a disposizione non autorizzano l’ipotesi che alla corteccia e specialmente alla neocorteccia spetti il ruolo decisivo nel sostenere uno stabile senso del “Sé nucleare”. È infatti dimostrato che i danni alla neocorteccia possono provocare alterazioni della personalità, perdite percettive, motorie e linguistiche importanti, ma non intaccano il senso affettivo del sé dei pazienti che li hanno subiti, che lo mantengono inalterato nonostante le gravi perdite cognitive e motorie. A giudizio degli Autori nemmeno i celebri pazienti split-brain di Sperry suffragano la convinzione che la corteccia sia essenziale al mantenimento di un coerente senso del Sé, poiché in tal caso la separazione corticale dei due emisferi dovrebbe provocarne gravi alterazioni, come ad esempio la creazione di due sensi separati di sé, cosa che tuttavia non avviene. Come ha osservato Gazzaniga, allievo di Sperry, tali pazienti non mostravano una personalità divisa o particolari incoerenze nel comportamento motorio e nel controllo del corpo, pur evidenziando due menti cognitive diverse grazie a tecniche di laboratorio che permettevano di esaminare separatamente i due emisferi. Il bisturi del chirurgo – sottolinea Panksepp – non aveva separato le strutture sottocorticali profonde come il talamo, l’ipotalamo e il mesencefalo.
Un caso a parte sembrano essere le aree corticali evolutivamente più antiche, come quelle mediali, dotate di una struttura anatomica più semplice e dette “strutture corticali della linea mediana”, correlate da Northoff al senso primario del Sé. Tali aree non appartengono alla neocorteccia e si situano principalmente nelle regioni frontali, come la corteccia prefrontale dorsomediale, la corteccia prefrontale ventromediale e la corteccia anteriore del cingolo pre/subgenuale. Eppure anche in questo caso gli Autori sottolineano che gli studi di neuroimmagine utilizzati da Northoff non prendono in considerazione le più difficilmente esplorabili strutture sottocorticali. Ognuna delle regioni corticali evolutivamente più antiche considerate negli studi citati è infatti estesamente collegata a tali strutture, in particolare all’ipotalamo e alla sostanza grigia periacqueduttale, che sono fra le sedi principali dei sistemi emotivo-motivazionali primari. Quando queste regioni sono danneggiate ne risulta spesso seriamente compromessa la consapevolezza; quando la sostanza grigia periacqueduttale è completamente distrutta, non solo è gravemente ostacolata l’elaborazione di tutti gli eventi ambientali correlati al Sé, ma anche la coscienza stessa.