A cura di Maria Paola Ferrigno
Melanie Klein e la nascita della vita psichica: i primi oggetti, gli oggetti parziali.
‘Oggetto parziale’ è un termine che rimanda alla teoria delle relazioni oggettuali nata con il lavoro di Melanie Klein: fa riferimento ai primi passi della vita psichica del neonato, al suo primitivo teatro di oggetti interni ed esterni e alle precoci fantasie che accompagnano la relazione con sé e con il mondo.
E’ a Melanie Klein che si deve una prima esplorazione dell’universo arcaico del funzionamento psichico del bambino.
L’Autrice si avvicinò alla psicoanalisi per cercare comprensione e aiuto per sé e restò profondamente affascinata dal metodo psicoanalitico e dalla sua efficacia.
Ben presto i suoi primi e illustri interlocutori, Sandor Ferenczi e Karl Abraham, riconobbero in lei l’acuta intelligenza, il suo profondo interesse per il metodo psicoanalitico e per lo sviluppo dei bambini e la incoraggiarono allo studio e alla pratica della psicoanalisi, in particolare alla psicoanalisi dei bambini.
Da quel momento, siamo nel 1919, l’Autrice iniziò il suo appassionato lavoro psicoanalitico che, oltre a mettere le basi della tecnica del gioco nell’analisi infantile, permise di fare luce sui funzionamenti primitivi della mente e aprire la strada alla comprensione della schizofrenia e al suo trattamento attraverso il metodo psicoanalitico.
Con il termine ‘Oggetto’, in psicoanalisi, si è indicato, in origine, l’oggetto di un impulso istintuale, inteso come una persona o una cosa che ha la funzione di soddisfare un desiderio, un impulso.
Tale termine è già presente nel lavoro di Abraham e dello stesso Freud: i primi oggetti con cui il neonato stabilisce relazioni inconsce sono oggetti libidici su cui avviene l’investimento delle pulsioni. L’oggetto è considerato, pertanto, meta di impulsi di energia e riconosciuto solo nella misura in cui dà soddisfazione o sollievo alla ‘pulsione’.
Solo negli anni ’30 Melanie Klein, come risultato di un’ attenta osservazione dei suoi piccoli pazienti attraverso la tecnica del gioco, assegna al termine ‘Oggetto’ un significato diverso individuandone una caratteristica più complessa: esso è una componente della rappresentazione mentale di un istinto, primo segnale di vita psichica.
Si tratta di rappresentazioni ‘fantasmatiche’, preesistenti e indipendenti dalla percezione del mondo esterno che permettono al neonato di orientare le pulsioni istintuali. Dall’interazione tra le pulsioni e tali oggetti nasce la relazione oggettuale e si avviano i primi legami.
La Klein diede così l’avvio ad una linea di pensiero psicoanalitico (la scuola delle relazioni oggettuali) che si diffonderà soprattutto nella Società Psicoanalitica Britannica.
Attraverso la tecnica del gioco l’Autrice poté osservare come i suoi piccoli pazienti utilizzavano gli oggetti (giocattoli) che nel loro gioco apparivano vivi e con cui essi stabilivano relazioni molto intense. L’Autrice comprese che, anche in bambini molto piccoli, si sviluppavano sentimenti molto forti per l’oggetto per quanto immaginario esso potesse essere.
Gli oggetti non erano solo passivi ( oggetti su cui il bambino, come sosteneva Freud, scaricava gli istinti) ma erano anche materiale della vita di fantasia del bambino.
Oggetti a cui rivolgere sentimenti, segnali di ‘presenze’ interne che collegavano la dimensione biologica, quella psicologica e quella sociale: corpo, sensazioni, affetti, relazioni.
Descrivendo l’esperienza che il bambino ha dei propri oggetti e il contenuto psicologico delle angosce che egli prova per essi la Klein scoprì che i bambini credono che gli oggetti possiedano intenzioni e motivazioni in linea con i loro particolari impulsi libidici attivi in quel dato momento. Il lattante, che concentra sulla bocca (in quella che viene chiamata ‘fase orale’) l’esperienza con il mondo, può credere anche che l’oggetto frustrante si comporti in consonanza con ciò che lui prova (e quindi può morderlo per vendetta ).
Nel 1952 l?Autrice pubblicò un articolo sull’International Journal of Psychoanalysis in cui affermava con molta forza, sulla base delle sue osservazioni cliniche, una posizione diversa da quella sostenuta da Sigmund Freud.
Mentre il padre della psicoanalisi riteneva che il bambino piccolo vive in uno stato narcisistico che non contempla una relazione con l’altro da sé, la Klein dimostrò mediante l’analisi di bambini piccoli che le relazioni oggettuali, con oggetti interni ed esterni, sono ‘ab initio’ al centro della vita psichica: il funzionamento mentale è dominato, fin dai primi istanti della vita, dalla relazione con ‘oggetti’ distinti dall’Io, presenze interne ed esterne.
Pertanto le pulsioni, a differenza di quanto sostenuto da Freud, sono sempre rivolte all’’Oggetto’ e segnale di una relazione.
La relazione con i primi oggetti, in stretta connessione con le fantasie ad essi collegate, va a comporre, fin dall’inizio, un complesso insieme di realtà oggettuali interne in relazione tra loro e con l’esterno. Esse rappresentano la prima visione del mondo che il neonato ha di sé nel /col mondo.
Nei primi giorni di vita il neonato vive in una sorta di simbiosi con la madre e non distingue il proprio corpo da quello di lei. Egli percepisce il seno materno -oggetto parziale rispetto all’intera madre- come un prolungamento di sé dotato di caratteristiche proprie e onnipotenti.
Il seno, per il neonato, è un oggetto in prima istanza emozionale che ha una funzione piuttosto che un’esistenza materiale. Esso è portatore, nella sua fantasia, di uno stato emotivo -buono o cattivo- e possiede intenzioni e motivazioni nei confronti del neonato stesso.
L’Io, fin dalla nascita, è pertanto coinvolto in un drammatico conflitto tra la pulsione di morte e quella di vita che, di volta in volta, diventano caratteristiche dell’oggetto con cui il neonato entra in relazione: è così che il seno che nutre e che dà quiete, calore, sazietà, benessere e tranquillità viene considerato ‘buono’ mentre il seno che differisce la gratificazione e anima l’angoscia della pulsione di morte diventa il seno ‘cattivo’.
In tale esperienza l’oggetto- seno, con cui il neonato stabilisce una relazione molto intensa, è parziale nel senso che è, per il lattante, una parte ma anche tutto ciò che c’è nell’oggetto.
Attraverso il lavoro di Melanie Klein il neonato non è più visto come immerso in una sorta di beatitudine ma, al contrario, in preda ad emozioni, spesso molto angoscianti, ricollegabili ad una potente angoscia di frammentazione e annichilimento (pulsione di morte) a fronte di esperienze sensoriali e corporee per lui devastanti e misteriose (ad esempio la fame). Nella relazione che egli stabilisce con la madre e all’interno di un continuo scambio con lei, non vi sono pertanto solo sentimenti quali l’amore e la gratitudine ma anche sentimenti distruttivi quali l’invidia, l’odio, la rabbia, la paura di annientamento e l’insoddisfazione.
Il seno della madre –oggetto parziale-, primo e principale oggetto di relazione, alla luce dei desideri istintuali del neonato e delle sue fantasie inconsce, viene investito di qualità che vanno oltre il nutrimento che esso offre.
Il lattante che ha fame, infatti, avverte le sensazioni corporee della fame anche ‘psicologicamente’ e attribuisce il disagio della fame ad un comportamento intenzionale di un oggetto malevolo, concretamente collocato all’interno del suo stomaco; è un’assenza percepita come una presenza che causa la sofferenza della frustrazione: questo oggetto ‘cattivo’ collocato all’interno dell’Io va a far parte del teatro interno popolato di oggetti.
Il neonato pertanto vive in un mondo di buone e cattive relazioni con oggetti ‘parziali’ a seconda delle sensazioni corporee che sperimenta in quel momento: il seno è ‘buono’ quando induce sensazioni piacevoli (ad esempio lo stomaco pieno di latte caldo) ‘cattivo’ quando è causa di sensazioni sgradevoli (ad esempio la fame).
Oggetti ‘buoni’ e ‘cattivi’, attraverso l’introiezione, vanno a far parte del Sè del neonato e danno l’avvio ad un primo senso di esistenza e di identità.
Seno buono e seno cattivo vengono tenuti, nella fantasia inconscia del neonato, ben separati tra loro, come fossero due oggetti distinti.
Egli vive così una situazione tipica della schizofrenia, dove le relazioni sono buone e cattive allo stesso tempo; il neonato teme che il seno cattivo possa perseguitare il seno buono e il Sé cattivo possa danneggiare quello buono: da qui deriva una angoscia di persecuzione di tipo paranoide, come accade nella schizofrenia.
Melanie Klein descrive due modalità di funzionamento del bambino relative allo stato di organizzazione dell’Io in rapporto alle prime relazioni con gli oggetti e alla natura dell’angoscia e alle difese attivate per affrontarla. Una prima modalità, propria di quella che l’Autrice chiama posizione schizoparanoide (nei primi quattro mesi di vita), e una seconda successiva modalità, propria della posizione depressiva, che inizia, temporalmente subito dopo. Il termine ‘posizione’ usato dalla Klein vuole, differentemente dal concetto di ‘fase’ freudiana, evocare l’idea di un continuo va e vieni tra i due stati della mente ed il loro nesso con la qualità della relazione che in quel momento si svolge.
Lo sviluppo del bambino ha alla base una continua elaborazione dei conflitti tra pulsioni di vita e pulsioni di morte, in una costante tensione tra la ricerca dell’oggetto che nutre, dà conforto e benessere e l’angoscia di frammentazione collegata alla frustrazione.
Solo nella seconda metà del primo anno di vita il bambino potrà cogliere l’unità dell’Oggetto, riconoscere la madre come altro da sé e in relazione con altri, in primo luogo il padre. L’unificazione dell’Oggetto apre la strada a un nuovo modo di relazionarsi con l’Oggetto e gli oggetti e porta alla nascita della costellazione emotiva e dei sentimenti.
Ma questa è un’altra storia: è la storia avvincente dell’Oggetto totale e della posizione depressiva che apre nuovi orizzonti alla vita psichica e alle relazioni con il mondo.
Bibliografia
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Novembre 2014