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Nota di Amedeo Falci sul lavoro di A. Granieri “Succo del discorso e interpretazione insatura: una lettura a partire da uno scritto di E. Gaburri”

20/03/25
Nota di A. Falci sul lavoro di A. Granieri "Succo del discorso e interpretazione insatura: una lettura a partire da uno scritto di E. Gaburri"

Parole chiave: Processi somato-psichici inconsci, neuroscienze, legame affettivo, valore eutrofico


Amedeo Falci

Nota sul lavoro di: Antonella Granieri

Succo del discorso e interpretazione insatura: una lettura a partire da uno scritto di Eugenio Gaburri

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L’interessante articolo di Antonella Granieri su uno scritto di Eugenio Gaburri pone al centro della discussione alcune importanti considerazioni teoriche e cliniche sull’interpretazione, soprattutto laddove il campo analitico sia estremamente impregnato di elementi di intensità e turbolenze emotive. Un particolare elemento innovativo, che giustifica la presente nota, è nella premessa dell’autrice di voler procedere verso “una riflessione integrata tra psicoanalisi e neuroscienze”, per un dialogo su “alcune conoscenze sull’incidenza del somatico nell’ideazione intrapsichica e nella relazione interpersonale.” Questa riflessione dell’autrice si focalizza su alcuni punti cruciali: a) la distinzione tra affetti, emozioni e sentimenti, b) il tema dello statuto del corpo in psicoanalisi, e c) il tema dell’identificazione proiettiva [IP], particolarmente pertinente ai precedenti temi.

Riguardo il primo punto (a), la distinzione tra affetti, emozioni e sentimenti, direi che sia un argomento tanto cruciale per la psicoanalisi, quanto utilizzato con poca distinzione semantica e teorica. Nonostante i grandi avanzamenti nella vasta area interdisciplinare di ricerca sulle emozioni, i chiarimenti e le distinzioni concettuali da parte di ricercatori ben accreditati come Damasio, e contributi psicoanalitici, inesorabilmente questi tentativi di distinzione si sono appannati rapidamente e la maggior parte dei riferimenti psicoanalitici ha ripiegato sul più consueto termine affetti. Ben due Congressi sono stati organizzati dalla SPI per approfondire la questione affettivo-emozionale: Gli affetti, Saint Vincent,1990, e Le logiche del piacere – l’ambiguità del dolore, Roma, 2016. Ebbene, sembra che nulla sia cambiato, presso la comunità psicoanalitica in generale, rispetto ad una maggiore chiarezza concettuale nell’uso differenziato dei termini. Si può pensare che vi sia una preferenza, oserei dire affettuosa e fiduciaria, verso il termine originario freudiano, che sembra garantire un’affidabile estensione semantica a 360°.

Il testo freudiano non opera una distinzione netta, tra i concetti ed i termini di affetti ed emozioni, per come la pongono, ad es. la lingua italiana e la lingua inglese. Certamente si tratta di un’area lessicale e semantica molto sfocata, confusa, ed ogni disciplina di studio ha definito i concetti secondo propri criteri.  Freud utilizza metapsicologicamente sempre e solo Affekt come l’unico termine che esprima il lato energeticamente investito delle rappresentazioni: Affekte + Vorstellungen.Ma, riferendosi alla stessa area semantica, Freud usa anche, con minore frequenza, Gefühl ‘emozione’, o Gefühlsregung, ‘impulso emozionale’, ‘sentimento’, ed anche Empfindungen, che starebbe per ‘sensazioni’, ‘impressioni’, un equivalente di feelings, ma il termine inglese sta per sensazioni percettive e quindi, solo di traslato, sta per sensazioni emozionali. Potremmo quindi dire che Freud usi solo Affekt in senso energetico, e gli altri termini siano usati per indicare  ‘emozioni’ in senso lato. Come si vede parliamo di un quadro molto poco distinto, pieno di ambiguità e reso ambiguo da sovrapposizioni semantiche. Da aggiungere che Affektion e affektieren, significano in realtà ‘intaccare’, ‘far soffrire’, ‘rendere infermo’, esattamente come nell’uso nella lingua italiana, ad es., ‘affetto da morbillo’. Affekt viene dal latino afficere (ad + facere), ‘influire’, ‘imprimere un cambiamento’, quindi Affektion è indurre forti effetti su qualcosa tanto da produrre una risposta. Affekt sembrerebbe quindi riferirsi al lato corporeo delle emozioni della psiche. Ma quest’impregnazione materica, somatica di Affekt deriva da una più antica ascendenza metafisica del termine, in una collocazione vaga tra corpo, psiche, spirito ed anima, come dimostra questo brano di Cartesio, da Le passioni dell’anima (1649): “…gli esprits animaux aprono canali nervosi nel corpo producendo actions come movimenti volontari esterni, ma anche affections, come movimenti viscerali interni che costituiscono la base delle emozioni fornite dall’anima al corpo perché esso possa conservarsi.”    

Allora di che cosa parliamo quando parliamo di affetti in psicoanalisi? Parliamo di una eccitazione tendente alla scarica, o dell’intensità emotiva di un’idea? Le ‘affezioni’ patologiche sono per Freud, a partire dal suo approccio all’isteria, le eccedenze emozionali, quel «sovrappiù di eccitamento nel sistema nervoso» (Freud S., 1888, I, 52), concetti che derivano da quel linguaggio quantitativo della fisica di von Helmoltz e della psicofisica di Fechner, di cui Freud era stato ardente seguace. Ma gli ‘affetti’ sono anche cariche delle rappresentazioni ideative. Questa duplicità degli affetti — eccitamenti del s.n. con tendenza alla scarica, ma anche forza delle idee in seguito ad una carica — rivela l’impostazione dualistica del modello freudiano: gli affetti come quantità energetiche tra soma e rappresentazioni, tra res extensa e res cogitans.  Riguardo questo irrisolto problema della qualità fenomenologica delle emozioni, Freud ha un ripensamento nel 1924, nel saggio sul masochismo, quando si accorge dell’incongruenza tra l’impostazione quantitativa degli affetti seguita fin’allora, e l’aspetto fenomenologico, soggettivo qualitativo delle emozioni. Com’è possibile — si chiede — che il dispiacere sia un innalzamento della tensione affettiva ed il piacere sia un abbassamento di essa, come sostenuto con determinazione in Pulsioni e loro destini (1915)? La risposta appare chiara. Freud nella costruzione del suo sistema psichico ha dovuto seguire un criterio epistemico quantitativo — principio di costanza — ma non quello edonico-fenomenologico. Ecco quindi che nel 1924 Freud si converte all’aspetto qualitativo delle emozioni, che è esattamente il modello che appare molto più seguito nelle teorie e nelle cliniche della psicoanalisi contemporanea, e con le maggiori evidenze sul piano neurobiologico e neuroscientifico (ed umanistico-filosofico).  

La qualità fenomenologica degli stati emozionali si è andata liberando, dunque, anche dal legame obbligato con le idee. Nell’esperienza analitica attuale siamo molto più attenti a cogliere, accanto ad emozioni connesse a rappresentazioni, altri stati emozionali intensi e dirompenti che non hanno affatto idee rappresentative collegate: emozioni an-ideiche. Ecco quindi che si fa strada la concezione delle emozioni come stati di flusso. Non si tratta di stati di caos disorganizzato, ma solo di stati fisiologici di attivazioni dell’unità corpomente.

Questo argomento, che ovviamente richiederebbe una maggiore espansione, rimanda all’altro importante tema (b) nel lavoro della Granieri, che riguarda una più aggiornata rivalutazione dello statuto del corpo in psicoanalisi. Cercando di elaborare gli antichi dualismi corpo-mente, ancora perduranti nella psicoanalisi, occorrerebbe ripensare il corpo come una forma di realtà biopsichica complessa dotata di autoorganizzazione e competenze innatamente precostituite, capace di interpretare il mondo circostante e gli esseri umani prossimali — Nebenmensch (Freud, 1895) — e di interagire con essi attraverso regolazioni emozionali e semiotiche, selezionate evoluzionisticamente e condivise nelle pratiche sociali del mondo in cui il corpo è immerso (Falci, 2025).

In questa nota non appare possibile raccogliere le fila di decine di anni di studi sulle emozioni. Mi limiterei sinteticamente a citare gli studi ormai storici di Antonio Damasio (1994, 1999, 2003), Ph.D., Professore di Neuroscienze and Director of the Brain and Creativity Institute presso la University of Southern California, ricercatore interessato ad una esplorazione neurobiologica di emozioni e sentimenti (1999), del loro ruolo nell’organizzazione del Sé, in una rivalutazione del pensiero di Spinoza (2003), e in un superamento del dualismo cartesiano (1994). La proposta di Damasio sulla distinzione tra affetti, emozioni e sentimenti parrebbe didatticamente e clinicamente molto utile. Intanto l’uso del termine emozione (ingl.: emotion) appare più attuale, più estensivo e condiviso con i linguaggi della ricerca psicologica e neurobiologica contemporanea, rispetto a termine affetti, che per Damasio è più limitato a certi stati, termine che invece gli psicoanalisti continuano ad utilizzare come citazione filologica del testo freudiano. Quindi la nomenclatura si gioca principalmente nel differenziale tra ‘emozioni’ e ‘sentimenti’. Ripropongo l’organizzazione gerarchica di fenomeni somatici e somatopsichici al di sotto della soglia di coscienza, avanzata da Damasio (1999).

REGOLAZIONI BASILARI DELLA VITA. Schemi di risposta stereotipati e relativamente semplici che comprendono regolazione del metabolismo, attività riflessa, attività immunitaria, dispositivi neurobiologici di piacere, dolore, impulsi e motivazioni.

EMOZIONI, schemi di risposta neurobiologica stereotipati e complessi che comprendono emozioni di fondo, emozioni primarie, emozioni secondarie. Processi somatici innatamente presenti alla nascita (e verosimilmente attivi già dalla vita intrauterina), descrivibili come attivazioni a cascata di zone elettive dell’organismo, dei sistemi regolatori biologici, dei sistemi neuro-endocrini, di organi, della muscolatura viscerale, motoria, mimico espressiva.

SENTIMENTI, configurazioni sensoriali segnalanti stati emozionali che diventano rappresentazioni mentali. I sentimenti sarebbero quindi: emozioni + loro collocazione nella mappatura corporea + ricordi o contenuti mentali + stati fenomenologico-soggettivi. Emozioni e sentimenti, in una psicoanalisi in dialogo con le scienze della mente e con le scienze neuroaffettive, non sarebbero più da intendersi come imprecisabili quantità, ma come stati fenomenologico-soggettivi relativi a flussi neurobiologici del corpomente, utilizzati come modalità di regolazione corporea e soggettiva, ma anche come sistemi adattivi per la relazione e comunicazione interumana. Azioni e sentimenti quindi con una doppia valenza: regolazione interna e comunicazione intersoggettiva inconscia.

   Pankespp e Biven (2012) nel loro grande contributo allo studio delle emozioni nei mammiferi, utilizzano il termine affetti, ma in tutt’altra direzione rispetto a quella freudiana. Sostengono che nel cervello emotivo-affettivo si producano:

  1. Affetti come controlli di stato di base primordiali (sotto-neocorticali) 
    1a) Affetti emotivi (sistemi emozione-azione),
    1b) Affetti omeostatici (enterocettori corporei-cerebrali come fame, sete ecc.)
    1c) Affetti sensoriali (sensazioni piacevoli e spiacevoli/disgustose innescate a livello esterocettivo-sensoriale) 

2. Emozioni legate al sociale e all’ambiente.
Paura, fuga, aggressività, desiderio, sessualità, ricerca ambientale, sopravvivenza.

3. Emozioni soggettivate, regolazioni emotive, memoria, elaborazione di pensieri. In breve emozioni di un Sé più integrato.

Se una piccola osservazione mi è possibile esprimere sull’interessante lavoro della Granieri, mi riferirei all’affermazione (pag. 2): “Gli affetti, invece, nascono all’interno di una relazione d’oggetto riconosciuta come tale e possono essere intesi, come suggerisce Rayner (1991), come attività dell’Io”. Ecco, direi che, alla luce degli aggiornamenti sopra esposti, e riposizionando i termini dell’originario vocabolario freudiano, lascerei l’uso del termine affetti a quel contesto quantitativo di cui si è sopra accennato, mentre il senso tutto relazionale del passo citato mi pare andrebbe guardato proprio dentro la definizione di relazioni emozionali. Proprio per sottolineare il carattere non caotico o disordinato delle emozioni, ma il loro valore di legame, di attivazioni corporee con alto valore semiotico e comunicativo, al di là del verbale, e spesso discrepante dal verbale.

Ma quest’argomento, intuibilmente, sta scivolando verso il terzo grande tema del lavoro della Granieri: quello della reciproca comunicazione emozionale inconscia della coppia analitica. 

Nel 2016, in una personale ricerca nel Pep Archive sull’argomento Projective Identification, ho trovato un totale di 9,947 papers che trattavano il tema. Un numero grandissimo che sicuramente sarà, nel frattempo, aumentato fino alla data odierna. Non ho certo letto tutti gli articoli! Ma da una scorsa generale si può affermare che nessun paper spieghi le basi su cui funzioni l’identificazione proiettiva [IP]! Fatto, del resto, confermato in tante discussioni con colleghi. Tutti i lavori sono caratterizzati da accurate e raffinate descrizioni delle varietà cliniche dell’IP. Ma una spiegazione descrittiva è una spiegazione scientifica? Una conoscenza descrittiva non è una conoscenza esplicativa, la quale risponde alla domanda di giustificare entro paradigmi scientifici condivisi la relazione che esiste tra un certo fenomeno da spiegare, l’explanandum, in questo caso quella fenomenologia clinica chiamata IP, e ciò che appunto lo spieghi scientificamente, l’explanans. Saltando molti passaggi su cui è impossibile soffermarsi, forse alla luce dei modelli emozionali corpomente, la IP potrebbe essere letta come un processo mediante cui i soggetti inducono inconsciamente e non-verbalmente i loro stati emozionali, o la risposta ai loro stati emozionali, in altri soggetti, ad essi intimamente relati, i quali non possono fare a meno di tradurli, inconsciamente, in atti e sequenze, dando avvio a relazioni circolari. Se io sono invaso dai tuoi stati d’animo e il mio corpo si regola conseguentemente, senza che ne sia cosciente, allora si tratta di identificazione proiettiva. Quanto la psicoanalisi definisce, allora, IP, potrebbe essere compreso come l’attivazione di basilari processi corpomente del tuning emozionale costitutivo delle interazioni relazionali ed intersoggettive non verbali e implicite. Da questo punto di vista i processi di IP andrebbero visti, non tanto come meccanismi ‘primitivi’, ma come mantenimento ed evoluzione di competenze di comunicazione non verbale interpersonale tra madre/padre e ‘cuccioli’, innatamente preinnescati e perfezionati da una lunga catena evoluzionistica. Questo apparirebbe un mutamento prospettico sul valore conoscitivo e clinico dei processi di IP che perderebbero quei caratteri evacuativo-proiettivi, difensivi, per assumere il pieno senso di processi di segnalazione e comunicazione emozionale agentiva tra i bambini e gli adulti (ma anche tra gli adulti tra di loro). Il difficile è poi passare in parole.

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Bibliografia

  • Damasio A. (1994). L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano. Cortina, 1995.
  • Damasio A. (1999). Emozioni e coscienza. Cortina, 2000.
  • Damasio A. (2003). Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello. Cortina, 2003.
  • Falci A. (2020). Identificazione proiettiva e comunicazione emozionale inconscia. Rich&Piggle, 2020, 28(3): 304-316. DOI 10.1711/3476.34606
  • Falci A. (2025). Körper, Seele, Leib. Riflessioni sul corpomente e sulla corporeità in psicoanalisi. Rivista di Psicoanalisi (in pubblicazione).
  • Freud S. (1888). Isteria. OSF, I. Boringhieri, Torino.
  • Freud S. (1895). Progetto di una psicologia. OSF, I. Boringhieri, Torino.
  • Freud S (1915). Pulsioni e loro destini. OSF, VIII. Boringhieri, Torino.
  • Freud S. (1924). Il problema economico del masochismo. OSF, X. Boringhieri, Torino.
  • Panksepp J., Biven L. (2012). Archeologia della mente. Origini neuroevolutive delle emozioni umane. Cortina, Milano, 2014.

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