La Ricerca

Nissim Momigliano Luciana

3/06/14
Nissim Momigliano Luciana

Luciana Nissim Momigliano

A cura di Cristina Feri

Maestri della psicoanalisi

Luciana Nissim Momigliano (Torino 1919 – Milano 1998)

Luciana Nissim è stata una protagonista del cambiamento del modo di fare psicoanalisi avvenuto negli anni ’80 del Novecento. Italiana di famiglia ebraica, Luciana Nissim, dopo una breve militanza nel movimento partigiano, nel 1944 fu deportata ad Auschwitz. Della Shoah e dell’esperienza del campo ha dato la propria testimonianza in alcuni importanti scritti e in numerose interviste. Tra le poche donne italiane a laurearsi in Medicina prima della guerra, Luciana Nissim svolse la formazione psicoanalitica a Milano, prima con Franco Fornari e in seguito con Cesare Musatti sviluppando, tuttavia, nel corso di vent’anni, un percorso clinico e scientifico molto personale e innovativo. Psicoanalista rigorosa quanto capace di cambiare e aliena da ogni dogmatismo, ella ha dato un contributo importante nell’orientare l’attenzione dal paziente alla stanza d’analisi, verso la relazione analitica e un ascolto dell’altro che, non più “sospettoso”, divenisse autenticamente “rispettoso”. Per Luciana Nissim ciò che è importante non è solo interpretare quello che avviene nel paziente ma tra paziente e analista, punto di vista che la portò a interessarsi anche del peso della personalità dell’analista nella cura psicoanalitica, accanto al riconoscimento del paziente come “miglior collega”. Analista didatta molto apprezzata dalle generazioni più giovani, ha dedicato una parte della sua produzione scientifica al tema della supervisione psicoanalitica e della formazione degli psicoanalisti. Di aspetto particolarmente minuto, questa piccola grande donna era capace di sorprendere e interpellare chiunque la avvicinasse con la sua presenza carismatica, la sua intelligenza libera e la sua eccezionale capacità relazionale. La storia della sua vita, anche oggi, è testimonianza di onestà etica e umana ed esperienza di speranza.

LA VITA

nissim Luciana Nissim nacque a Torino il 20 ottobre 1919, in una solida famiglia borghese italiana di religione ebraica. Il padre, Davide, laureato in giurisprudenza, aveva combattuto nella prima guerra mondiale e in seguito aveva trovato impiego nell’amministrazione pubblica ma, poco dopo il matrimonio, si era trasferito con la famiglia a Biella per dedicarsi al commercio della lana. La madre, Cesira Muggia, apparteneva a una famiglia benestante del vercellese: bella, abbiente, sebbene non particolarmente colta, Cesira Muggia infuse e sostenne nella figlia il senso di un valore, del tutto laico, delle proprie origini, nonché di una solida appartenenza alla comunità intellettuale umana più attiva dell’epoca. Oltre a Luciana, la famiglia Nissim comprendeva altre due figlie: Lea, nata nel 1922, e Fernanda – detta “Dindi” – nata nel 1927, quest’ultima amatissima da Luciana che con lei conservò un legame privilegiato, dolce e intenso, fino alla morte.
Non sono molte le descrizioni e i racconti che Luciana Nissim ha riservato alla propria famiglia di origine, ma la profondità e l’intensità di quei legami sono costantemente testimoniate dall’uso del “noi” ogni volta che ella parla o scrive di sé e delle proprie vicende autobiografiche: affiora, allora, chiaramente, l’immagine di una famiglia solida, sufficientemente serena, libera, colta nella casa di Biella ma spesso anche nelle belle villeggiature, in montagna e al mare, o impegnata nelle attività quotidiane, lo studio, i rapporti con gli amici, l’intimità domestica. Foto3
Quanto all’ebraicità, i Nissim non erano osservanti e la dimensione religiosa, nel senso sia identitario sia spirituale, è assente nei ricordi e nei racconti di Luciana. Solo nella piena maturità, sul finire degli anni ’80, quando con dolore si risolse a mettere mano al suo passato, ella sentì riemergere l’antico invito allo Shema, all’ascolto attento di un mondo, piccole ritualità e atteggiamenti che erano stati propri della sua famiglia e che solo allora ritrovava in se stessa: “ (…) ricordo però che anche a casa mia qualche volta veniva usata da parte degli adulti qualche parola di un dialetto ebraico-piemontese che, come suggerisce Primo Levi in “Argon” (…) conservava le tracce di un’antica funzione dissimulatrice e sotterranea, ma probabilmente alludeva anche a un orgoglio segreto di appartenenza e di continuità con la tradizione.
Ripensandoci ora, mi accorgo che anche in tanti atteggiamenti della mia famiglia così assimilata, si sarebbero potute leggere le tracce modificate delle antiche tradizioni: mio padre non metteva i tefillim, ma a noi bambini era stato insegnato lo Shema, non osservava i precetti giornalieri, ma era impensabile che andassimo a tavola senza esserci lavate le mani…”(Luciana Nissim, 1989).
Bambina curiosa e intellettualmente precoce , fu sostenuta e assecondata in queste sue attitudini in particolar modo dalla madre che le insegnò a leggere a cinque anni, consentendole di iniziare il percorso scolastico con un anno di anticipo. Questo fatto, apparentemente insignificante, viene invece spesso ricordato dalla Nissim giacché gravido di conseguenze fortuite e decisive per la sua stessa vita. Brillante studentessa, frequentò il liceo classico di Biella e conseguì nel 1937 la maturità con il massimo dei voti. Decise allora di iscriversi alla facoltà di medicina di Torino “ (…) una scelta abbastanza inconsueta per una ragazza nei tempi e nell’ambiente in cui vivevo; comportava il trasferimento a Torino (…) e i miei genitori furono completamente d’accordo con me e mi appoggiarono in tutti i modi”. In effetti, Davide Nissim comprese e sostenne l’intelligenza ma anche l’originalità e l’indocilità della figlia, alla quale lo legavano sentimenti e passioni comuni, prima tra tutte quella per la montagna.
Luciana iniziò l’Università nel 1937 e nel 1938 furono emanate in Italia le leggi raziali, in base alle quali ai cittadini ebrei era vietato l’accesso alla scuola pubblica, ma – per una strana e inspiegabile eccezione – era consentito agli studenti universitari già frequentanti di ultimare il loro corso di studi. Pertanto, Luciana poté completare gli studi fino alla laurea, conseguita, con lode, l’8 luglio 1943. Gli anni torinesi furono anni di studio ma soprattutto d’incontri e amicizie, quelle di una vita. Luciana Nissim era una ragazza brillante, amava la vita, la montagna, ma anche l’amore e i deliziosi vestitini che le donavano, il conversare lungo e raccolto con le amiche, lo scambio intellettuale con i ragazzi della biblioteca della scuola ebraica. Tuttavia, la sicurezza di essere una, spesso la migliore, tra eguali, fu incrinata e l’identità ebraica, fino ad allora mai sentita veramente come una parte di sé, le venne imposta. “Il ’38 fu veramente sentirsi crollare la terra sotto i piedi. Io ho sentito proprio che perdevo i punti di riferimento. E’ stato tremendissimo. E’ stato veramente un crollo dove tutto il mondo in cui credevi di muoverti e di camminare e di essere al sicuro, improvvisamente diventa un mondo ostile in cui tu non avevi più nessun punto di riferimento. E’ stato tremendo il ‘38”(Luciana Nissim, 1995). Le discriminazioni entrarono nella vita dei Nissim e non fu più possibile negarle. Luciana trovò, come altri coetanei, un punto di riferimento e d’incontro nella biblioteca della scuola ebraica di Torino dove erano approdati, fra gli altri, anche i fratelli Emanuele e Ennio Artom, Franco Momigliano, Vanda Maestro, Giorgio Segre, Eugenio Gentili Tedeschi, Franco Tedeschi, Guido Bonfiglioli, Lino Jona, Alberto Salmoni, Giorgio Lattes, Anna Maria e Primo Levi. In questo gruppo così colorato di amicizie, tre nomi erano destinati ad assumere una tonalità più intensa: Vanda Maestro, l’amica più cara di quegli anni, così diversa da Luciana, accogliente, fragile ma ironica; Primo Levi, deportato insieme a Vanda e Luciana ad Auschwitz, che condivise con la Nissim l’esperienza di sopravvissuti e il ritorno dal campo; Franco Momigliano, un giovane affascinante, dotato di rara intelligenza ma anche di un carattere spigoloso e umbratile, appassionato e distante, che diventerà suo marito.
La vita e il mondo dei Nissim e il loro mondo non sembrano avere incontrato senza grandi difficoltà fino all’8 settembre 1943, allorché in Italia iniziò la fase della “persecuzione delle vite”. La famiglia decise di rifugiarsi in Valle d’Aosta, a Brusson e di qui Luciana, insieme a Vanda Maestro, mosse alla volta di Amay per unirsi a un gruppo partigiano da poco costituito da Primo Levi, Aldo Piacenza e altri. “Mi sembrava che quello che facevo avesse un senso: io non avevo il senso dell’ebraismo, della persecuzione, me l’ero aggiustata così: che ero una combattente che subiva le infelicità, i dolori e i rischi di chi aveva deciso in quel momento di combattere contro il nazismo” (Luciana Nissim, 1995). Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1943 il gruppo partigiano venne arrestato e condotto nella prigione di Aosta. Primo Levi, Vanda Maestro e Luciana Nissim si autodenunciarono come ebrei, ingenuamente fiduciosi che tale “colpa” fosse meno grave di quella di essere dei “banditi”. Furono invece trasferiti al campo di internamento di Fossoli di Carpi, nei pressi di Modena, dove rimasero dal 20 gennaio al 22 febbraio 1944. Qui, infine, insieme ad altre 600 vite, furono caricati sul convoglio per di Auschwitz, dove arrivarono nella notte del 26 febbraio 1944.
Il resto della famiglia Nissim, intanto, dopo aver tentato invano di ottenere il rilascio della figlia, trovò riparo in Svizzera, ove rimase fino alla fine della guerra.

“Ricordi della casa dei morti”

La deportazione, l’esperienza del campo e quella di sopravvissuta della Shoah meritano un approfondimento a parte nella biografia di Luciana Nissim, essendo la sua una testimonianza, per certi versi, non convenzionale e originale, come lei.
Luciana Nissim rese la sua prima testimonianza di deportata in campo di concentramento pochi mesi dopo la sua liberazione e il rientro in Italia, nel 1946. Il testo fu redatto in due versioni simili: una come relazione rilasciata dalla Nissim e conservata presso L’Archivio delle Comunità Ebraiche Italiane, a Roma (datata in modo incerto tra l’ottobre e il dicembre 1945); l’altra pubblicata nel 1946 (ma datata ottobre 1945-aprile 1946) in un volume a cura di Pelagia Lewinska, “Donne contro il mostro”, con il titolo di “Ricordi della casa dei morti”. Dopo di che, ella tacque per oltre quarant’anni. Solo dopo la morte di Primo Levi, (colui che si era assunto il sacrificio di testimone e di voce che cerca le parole), nel 1987, e del marito, Franco Momigliano, nel 1988 , Luciana Nissim tornò a mettere mano ai “Ricordi”. Nel 1989, pubblicò l’articolo “Una famiglia ebraica tra le due guerre”, e negli anni seguenti, oltre a ritornare a Birkenau, rilasciò importanti interviste e testimonianze. “Ricordi della casa dei morti” (titolo che cita testualmente l’opera di Dostoevskij) è un testo particolarmente prezioso, non solo per comprendere appieno la biografia della Nissim: esso costituisce anche, in assoluto, uno dei primi documenti testimoniali di sopravvissuti alla Shoah, fornendo una narrazione lucida, ma al contempo drammaticamente prossima e personale, delle donne incontrate, della vita nel campo, della realtà dello sterminio.
Luciana Nissim arrivò al campo di Fossoli di Carpi (in provincia di Modena) nel gennaio del 1944: qui i tre amici – oltre alla Nissim, Primo Levi e Vanda Maestro – incontrarono un giovane di origine napoletana ma trasferito a Torino, Franco Sacerdoti, con il quale strinsero un rapporto complice e affettuoso. Luciana, in particolare, si legò a lui, ricordando, anche molti anni dopo, Franco Sacerdoti come colui che l’aveva fatta sentire protetta, abbracciata, e al quale aveva affidato, in quei giorni sospesi, il compito di tenere vivi nel suo cuore l’amore e la passione per la vita. E’ grazie a lui che la Nissim non ricorderà il gelo invernale della sua prima prigionia, ma, al contrario, il sole, l’amicizia, lo stare bene con Vanda, Primo e Franco S., la sua intraprendenza di capo-baracca impegnata nell’accogliere e rassicurare i nuovi giunti. Lo sterminio e le persecuzioni contro gli ebrei erano ancora lontani, non veri. E soprattutto, lei non era sola.
Poi tutto precipitò e il 22 febbraio iniziò il viaggio alla volta di Auschwitz. Chiusa nel convoglio, per 4 lunghi, freddi giorni, Luciana non prova angoscia né disperazione ma ne è circondata: il viaggio è duro, le privazioni e il processo di disumanizzazione sono già attuati con sadica determinazione, l’umanità di ciascuno è svilita, quasi annullata ogni solidarietà. Un pensiero la sostiene: Franco, Primo e soprattutto Vanda sono con lei, e non ci sono bambini o familiari per i quali essere preoccupata. No, è giovane, può farcela.
Arrivarono ad Auschwitz nella notte del 26 febbraio 1944: era buio, freddo, il gruppo di amici fu subito diviso, gli uomini da una parte, le donne dall’altra. Non rivide più Franco Sacerdoti- che fu ucciso poco prima che gli alleati liberassero il campo-, né Primo Levi che ritrovò solo dopo il rientro in Italia. Ma Luciana rimase con Vanda. “Ich bin Ärtzin”: sono medico, imparò fulmineamente a dire appena giunta, e questo le risparmiò la rasatura dei capelli e la vita e, dopo il mese di quarantena, le consentì di essere impiegata come medico nel Revier, l’infermeria del campo, e di accedere a condizioni di vita relativamente migliori. Come ella stessa ha dichiarato, fu a Birkenau che iniziò il suo apprendistato di medico: lì dove non c’era nulla con cui curare, dove il desiderio di salvare qualcuno curandolo poteva condannarlo ad “andare in gas” e risospingerlo verso il campo poteva ucciderlo, lì dove nascere non era permesso. Stupisce la rapidità con la quale Luciana Nissim comprese e reagì all’assurdità della realtà del lager: ma ella seppe ascoltare il racconto delle altre prigioniere e osservare ella stessa cose, volti, storie. Questa costante presenza a se stessa e lucidità, impossibile da preservare per la maggioranza delle prigioniere, e l’aver mantenuto un senso dell’altro con cui essere in relazione, in dialogo, quasi in una strenua lotta contro una solitudine mortale, sono alcuni dei tratti peculiari della testimonianza e dell’esperienza nel lager della Nissim. In modo al contempo simile ma assai lontano da quanto ha fatto Primo Levi nei suoi scritti, i “Ricordi della casa dei morti” iniziano con una narrazione al singolare, “Sono partita da Fossoli di Carpi (…)” , ma, poco dopo, colei che narra non è più sola e diventa “Vanda e io…” e più oltre ancora “noi”, in una dualità che rimarrà una sua cifra esistenziale.
Sul finire dell’agosto 1944 Luciana Nissim si offrì volontaria come medico per accompagnare un trasporto di prigioniere ungheresi: non sapeva per dove né per cosa ma voleva dire uscire da Birkenau. Voleva anche dire lasciare Vanda Maestro, l’amica amatissima, ormai allo stremo e che non avrebbe fatto ritorno, ma anche colei che al momento di salutarla le disse: “Fai bene ad andare via. Se avrai una bambina, chiamala Vanda”. Luciana Nissim partì così alla volta di Hessisch Lichtenau, in Germania, un campo di lavoro per prigioniere ungheresi dove le condizioni erano lievemente migliori e dove rimase fino alla liberazione da parte delle truppe alleate. Tra il 20 e il 25 aprile 1945, durante uno spostamento delle prigioniere da parte delle SS, la Nissim, insieme a una compagna, riuscì a fuggire. Dopo un periodo di permanenza volontaria a Grimma, un campo allestito dagli alleati, il 20 luglio 1945 arrivò a casa. Erano partiti in 600, di quel trasporto tornarono in poco più di 10.
Che cosa l’esperienza del campo abbia davvero rappresentato nella vita di Luciana Nissim è impossibile dirlo, è rimasto dentro di lei. Ha detto, poco prima della sua morte: “Io amo pensare che ho girato pagina. Che è stato un libro dell’orrore, ma che ho chiuso e ne ho cominciato un altro della leggerezza e dell’amore. Penso anche che tra le varie fortune che ho avuto, ho avuto anche quella di girare pagina. Io sono venuta via da Auschwitz, non sono più là”.(Luciana Nissim, 1989)”.

Dopo il ritorno

La fine della guerra e il ritorno a casa nel luglio del 1945 vollero dire per Luciana Nissim ritrovare un mondo di vivi: tutti gli affetti più cari, ad eccezione di Vanda Maestro, la sua famiglia, molti amici e soprattutto Franco Momigliano erano vivi. Fu un tuffo nella vitalità: si iscrisse a Pediatria a Torino (conseguendo la specializzazione nel 1947), decisa a occuparsi dei bambini che ora, diversamente da quanto vissuto al Revier, potevano nascere ed essere curati; e poi nel novembre del 1946 sposò Franco Momigliano – che a sua volta aveva preso parte alla resistenza italiana – , compagno amato di tutta la sua esistenza. Ma in questo vortice di entusiasmo e desiderio di vita, Luciana Nissim incontrò un dolore quasi fatale per lei: nel luglio del 1947, dopo una gravidanza senza problemi e durante la quale non si era risparmiata nel lavoro, diede alla luce una bambina morta. La chiamò Vanda, come aveva promesso a Birkenau alla “sua” Vanda. Dopo il parto, però, cadde in una condizione di grave malessere, al confine tra la vita e la morte. Rimase ricoverata in ospedale, lo stesso in cui aveva cominciato a curare i bambini, per molti mesi. Poi, anche grazie a un nuovo antibiotico giunto da poco a Torino, guarì.
Dopo il matrimonio Luciana Nissim e Franco Momigliano si erano trasferiti a Ivrea per lavorare all’Olivetti di Adriano Olivetti, in quegli anni una straordinaria officina d’innovazione sociale e culturale. Tra il 1947 e il 1956 Luciana lavorò dapprima come responsabile dell’asilo nido Olivetti, quindi fu nominata direttore del Consultorio dell’Opera Nazionale Protezione della Maternità e dell’Infanzia per la provincia di Torino e, infine, divenne dirigente dei Servizi Sociali dell’Olivetti. Furono anche anni d’impegno culturale, politico e sociale, anni durante i quali la Nissim era vicina al Partito Comunista e, soprattutto, al movimento delle donne e alle battaglie femminili. Nel 1956, in seguito alla rottura dei rapporti con Adriano Olivetti per importanti divergenze sul ruolo del sindacato, sia Franco Momigliano sia Luciana Nissim furono licenziati dall’Olivetti. In seguito, Olivetti cercò di ricomporre tale frattura e Momigliano fu chiamato a dirigere il Centro Studi Olivetti a Milano, mentre Luciana non ricucì questo strappo che, al contrario, segnò un radicale cambiamento nella sua vita.
L’esperienza maturata con i bambini, fin dai primi anni torinesi e poi a Ivrea, aveva voluto dire per la Nissim imparare ad ascoltare anche le mamme, ad avvicinarsi al dolore e alla sofferenza, non solo somatica ma psichica, di piccoli e grandi. Alla fine degli anni ’50, inoltre, Nissim aveva avviato non solo rapporti professionali ma anche una solida e duratura amicizia con Livia Di Cagno, pioniera della neuropsichiatria infantile torinese. L’arrivo a Milano, perciò, coincise con la svolta verso la clinica: ecco allora l’incontro con la psichiatria, disciplina in cui conseguì la specializzazione nel 1959 con una tesi sulla schizofrenia infantile – e quello ancor più importante e appassionante con la psicoanalisi. Nel 1956, infatti, iniziò la sua prima analisi con Franco Fornari e nel 1960 un’analisi di training con Cesare Musatti, divenendo nel 1965 membro associato e nel 1973 membro ordinario della SPI. Peculiare e sorprendente il rapporto della Nissim con il ricordo dei suoi analisti e primi “maestri”, ai quali ella riserverà un ruolo non particolarmente significativo nella formazione della sua successiva identità di psicoanalista: “Ho cominciato ad afferrare veramente qualcosa quando ho letto Bion, non quello dei libri, quello dei seminari. E’ a lui che dobbiamo l’idea della personalizzazione e della intimizzazione dell’analisi”. Emerge qui un tratto del suo carattere, libero e poco incline ai vincoli intellettuali, restio a riconoscersi in una scuola o ad assumere il ruolo di discepola o allieva. Rigorosa quanto anticonformista e poco incline alle cerimonie, non era il bisogno di conservare o custodire a muoverla, ma l’andare incontro al nuovo, all’ignoto che può aprire diverse e migliori vie, il non smettere di lasciarsi interrogare per rimanere vigili.
Nel 1960, dopo una gravidanza coraggiosa, nacque Alberto, figlio amatissimo e a lungo sperato da Luciana Nissim e Franco Momigliano.
Fu una stagione fertile e ricca quella che si aprì con gli anni ’60: fu il tempo della maternità; fu il tempo della formazione psicoanalitica e dei molti incontri con gli autori più amati (Klein, Bion, Rosenfeld, solo per citarne alcuni); fu il tempo, come già la giovinezza, delle amicizie, nuove e rinnovate nelle quali la Nissim amava avvolgersi, così numerose, importanti nella sua quotidianità; fu il tempo, infine, di nuove relazioni, via via più numerose e per lei coinvolgenti, quelle con i pazienti nella stanza d’analisi.
La partecipazione di Luciana Nissim alla vita della Società Psicoanalitica Italiana e del Centro Milanese di Psicoanalisi fu, fin da subito, vivace, preziosa e generosa. Nel 1978 divenne psicoanalista didatta e in seguito ricoprì il ruolo di Segretario Scientifico della SPI e di Presidente del Centro Milanese di Psicoanalisi. Lavorò intensamente per molti anni: lavoro prima di tutto clinico, con i pazienti, ma anche scientifico, attraverso una produzione di articoli e contributi teorici che iniziò nel 1974 con l’articolo “Come si originano le interpretazioni nello psicoanalista” (Rivista di Psicoanalisi) e che è continuata fino agli ultimi anni di vita; e, infine, lavoro di supervisione, a contatto con pazienti e analisti in formazione, ruolo che le calzava a pennello.
Non era ancora arrivato il tempo dell’adagio, però, nella vita di Luciana Nissim. Nel 1987 Primo Levi si tolse la vita, a Torino. Luciana Nissim così lo salutò su La Stampa: “Ciao Primo, testimone sulla terra. Nel dolore disperato di oggi resto ormai sola a ricordare l’altro viaggio, e i carissimi Vanda e Franco S. che l’avevano condiviso con noi e non erano tornati. Luciana, 11 aprile 1987”. Pochi mesi dopo, nel settembre 1988, morì Franco Momigliano. Se Primo Levi era l’unico, insieme a lei, ad essere rimasto vivo ad Auschwitz, Franco Momigliano non era stato solo il compagno di vita. Egli era colui che aveva eletto a suo “specchio e censore, quando cadessi nel banale, o nel convenzionale, o, peggio, nel disonesto” (Lettera di L. Nissim a F. Momigliano, agosto 1945) e al quale, anche solo nel ricordo, si era aggrappata per tenersi viva: “ (…) fuori c’è Franco e mi aspetta!”, si era ripetuta nei giorni di Birkenau. E’ in questa solitudine che Luciana Nissim rimise mano ai dolori e agli orrori della sua vita ma anche a quelle fragilità, mai del tutto riconosciute e dalle quali molto si era difesa, combattendo. Nel 1989, in occasione del 36° IPA Congress a Roma tenne la relazione dal titolo “Una famiglia ebraica tra le due guerre”, nella quale, per la prima volta parlava in pubblico di sé ebrea italiana e superstite della Shoah. Nel 1992, infine, dopo quasi 50 anni, volle tornare, da libera, ad Auschwitz-Birkenau. Sono anni non solo di testimonianza attiva ma anche di ricerca: con spirito assolutamente laico, Luciana Nissim s’interessò all’ebraismo, che scoprì di non conoscere abbastanza, e avviò un rapporto con parti di sé meno vitali e a lungo tenute distanti.
Nel 1995, mentre si trovava in vacanza, Luciana Nissim si ammalò. La malattia tumorale che la porterà via le concesse ancora alcuni anni di vita e di lavoro, circondata, fino all’ultimo, dagli affetti più cari.
Muore, nella sua casa di Milano, il 1° dicembre 1998.
IL CONTRIBUTO ALLA PSICOANALISI

fotoMusattieNissim 600_1Una psicoanalista capace di cambiare: è una definizione preziosa che Andreina Robutti, collega, amica e autorevole studiosa di Luciana Nissim, ha dato di questa piccola e affascinante donna della psicoanalisi. Fil rouge di tutto il pensiero della Nissim è, infatti, il suo svilupparsi come un lungo dialogo mai dogmatico, ora interiore ora aperto, con “maestri”, colleghi, pazienti. Rigorosa nella formazione classica, Luciana Nissim ha saputo rimanere in cammino lungo tutto il corso della sua vita e lì, disponibile a comprendere e a interrogarsi, l’hanno incontrata i vari sviluppi che la disciplina psicoanalitica ha avuto nel corso degli anni, da Melanie Klein e la sua scuola, a Bion, agli intersoggettivisti e ai narratologi. Attraverso questo itinerario, tutt’altro che eclettico, Luciana Nissim non solo ha saputo tessere e conservare un modello sempre sufficientemente omogeneo, sia sul piano teorico sia sul versante dell’affidabilità clinica, ma ha dato il proprio originale contributo alla psicoanalisi (cfr. G. Di Chiara, 2003). Esso non va ricercato, tuttavia, in qualche mirabilia psicoanalitico, mai prima concepito. Al contrario. Usando una metafora musicale, si potrebbe dire che, pur essendo una compositrice dotata e originale e una solista squisita, Luciana Nissim è stata soprattutto una grande direttrice d’orchestra, in grado di trarre e a far fluire sonorità nuove a partire dalla sua capacità di ascolto rispettoso e profondo di ogni partitura (la lettura sempre attenta degli psicoanalisti del passato ma anche dei suoi contemporanei, senza preclusione di generi né di scuole), dalla conoscenza dei singoli strumenti orchestrali (la strumentazione teorica e tecnica psicoanalitica) e, infine, da una capacità di attenzione, amorevole ma mai indulgente, verso i componenti dell’orchestra, ossia paziente e analista. Non a caso, d’altronde, la Nissim così intitola il testo che segna una svolta nel suo modo di pensare e fare psicoanalisi: “Paziente e analista: una sonata a quattro mani” (1983).
Il percorso scientifico di Luciana Nissim può essere suddiviso in tre fasi principali.
A cavallo tra gli anni settanta e ottanta, l’impostazione clinica e teorica della Nissim è di matrice kleiniana (il filone kleiniano era stato aperto a Milano da Fornari negli anni ’60 e vi aveva trovato ampio sviluppo), imperniata sui concetti d’invidia (invidia primaria), di narcisismo distruttivo, di onnipotenza, rifiuto della dipendenza e sul più recente, fondamentale, interesse verso il controtransfert. Il primo articolo della Nissim, pubblicato nel 1974 sulla Rivista di Psicoanalisi con il titolo “Come si originano le interpretazioni nello psicoanalista” s’inscrive nel dibattito dell’epoca attorno all’interpretazione (a partire dallo storico articolo di Strachey sulle interpretazioni mutative e comprendendo il lavoro di P. Heimann sul controtransfert), ma il vertice non è quello del paziente, bensì quello della situazione analitica e della mente dell’analista. Nissim cita Corrao (e attraverso di lui Bion, Racker e altri), dove afferma che gli elementi che producono le interpretazioni provengono da entrambi i due co-attori primari e paritetici (paziente e analista) e il suo modo di pensare all’interpretazione è già lontano da un mero processo conoscitivo e cognitivo, è qualcosa di più: “un transito profondo, reticolare, mutativo dell’esperienza del paziente attraverso la mente e gli affetti dell’analista” (F. Barale, 2012). Nei lavori successivi si coglie all’opera la stessa urgenza di re-interrogare e ripensare concetti e prassi molto cari, sentiti come preziosi ma al contempo insoddisfacenti se collocati a contatto con il paziente nella stanza d’analisi. In “Un legato molto pesante: la gratitudine”, del 1983, Luciana Nissim rende omaggio a Melanie Klein (e ai propri maestri: gli amati Rosenferld e Bion tra gli altri) chiarendo che cosa per lei sia la gratitudine: cogliere, oltre alla grandezza, quanto di aperto a sviluppi futuri è presente in ogni lavoro (compreso quello di Freud e della Klein), anche quando questo voglia dire accantonare e dismettere parti fino ad allora ritenute essenziali.
Il punto di svolta nel lavoro e nel pensiero di Luciana Nissim è maturato ed è evidente nel suo lavoro più celebre del 1984 “Due persone che parlano in una stanza”, anticipato, in buona parte, l’anno prima al Centro Milanese di Psicoanalisi in un contributo dal titolo “Analista e paziente al lavoro: una sonata a quattro mani”. “Una Klein rivisitata da Bion potrebbe essere un modo abbastanza efficace di descrivere una certa evoluzione attuale, di capire e praticare psicoanalisi. (…) Cercherò dunque di parlare di questo dialogo che in una pagina delle Letture brasiliane Bion definiva ‘una conversazione che dovrebbe assomigliare alla vita reale’, come ha luogo quando due persone sono insieme in una stanza, e la relazione tra queste due persone è a two way affair, una faccenda a due, un parlare di qualcosa che è tra loro, invece che una questione relativa al parlare intorno all’analista e all’analizzando” (L. Nissim, 1984). Due persone che parlano in una stanza, dunque, ma delle quali una – l’analista – sia disposta a raggiungere l’altra – il paziente – ovunque questi si trovi, dismettendo i propri panni e mettendosi dalla parte dell’altro. Da questo vertice di osservazione il paziente diviene il miglior collega dell’analista, giacché egli meglio di chiunque altro sa che cosa voglia dire essere se stesso; inoltre, i fraintendimenti e gli inciampi sperimentati, di volta in volta, in seduta, possono essere visti come difficoltà dell’analista a sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda del paziente e non necessariamente come sue resistenze. Da una simile prospettiva, il dialogo che si vede svilupparsi tra paziente e analista assomiglia a una sonata a quattro mani: le associazioni del paziente – ma anche la sua persecutorietà e distruttività – non sono più così “libere” ma sono risposte agli interventi dell’analista nel qui e ora della seduta. L’ascolto analitico, secondo Luciana Nissim, consiste anche, e soprattutto, nell’attenzione a quello che accade in quel momento tra paziente e analista, rinunciando spesso ad interpretare quello che succede nel paziente.
Dopo il 1984 e fino alla sua scomparsa Luciana Nissim ha continuato a esplorare conseguenze e prospettive aperte dalle proprie riflessioni, sempre attenta e curiosa nei confronti dei molteplici filoni psicoanalitici coesistenti, sia quelli sentiti come prossimi (ad esempio, il modello relazionale d’oltre oceano) sia taluni più distanti. Ironica e anticonvenzionale, in “Una stagione a Vienna: ma Freud era freudiano?” studia, senza retorica, il modo di lavorare di Freud con i suoi pazienti, che scopre assai poco “ortodosso”. La sua attenzione si sposta poi sull’analista, sulle sue difficoltà ad affrontare il cambiamento, e sull’ascolto del paziente. In “Setting: tema con variazioni” (1988) si occupa, non a caso, del setting, principalmente inteso come assetto mentale dell’analista, insieme di misure e di atteggiamenti “parlanti”, anche se senza parole, necessario allo svolgersi dell’analisi, ma anche strumento che contribuisce direttamente al suo realizzarsi (G. Di Chiara, 2003). In “Psicoanalista allo specchio” – articolo che raccoglie due contributi, uno del 1989 e l’altro del 1990 – Nissim approfondisce il tema dell’ascolto rispettoso, suggerendo che l’analista abbandoni un modo sospettoso di ascoltare il paziente (“Si, si… tu dici così ma io so che le cose stanno cosà … Ti conosco mascherina!”) e attui un ascolto “rispettoso” delle difese che il paziente si è costruito per riuscire a vivere, della sua storia personale e della sua realtà.
Nel 1992 viene pubblicato il libro “L’esperienza condivisa”, a cura di Luciana Nissim Momigliano e Andreina Robutti che, raccogliendo i contributi di molti autori, può essere considerato il manifesto della scuola milanese sulla relazione analitica, a riprova di un dialogo fecondo di Luciana Nissim all’interno della comunità psicoanalitica.
Infine, parallelamente al lavoro di analista, Luciana Nissim Momigliano ha sempre affiancato quello di supervisore e didatta, impegnata nella formazione delle future generazioni di psicoanalisti. Certamente, la prospettiva offerta dal lavoro di supervisore sulla relazione analitica non è stata estranea al formarsi del pensiero originale della Nissim; al contrario, è stata utile al superamento di certe cecità che impedivano di capire quanto analista e paziente fossero entrambi parte in causa nella relazione analitica (A. Robutti, 2008). Il volume “Il cerchio Magico. Scritti sulla supervisione psicoanalitica”, pubblicato nel 2008 nei Quaderni di Psicoanalisi del Centro Milanese di Psicoanalisi, raccoglie i contributi dell’autrice su questi temi.
Nell’ultimo scritto pubblicato di Luciana Nissim “Pensieri (irriverenti) per un congresso” (1994), il tema dell’ascolto si amplia e, ancora una volta, diventa invito a lasciare che “la pace nel mondo” – anche quella del mondo psicoanalitico e dei singoli analisti – sia disturbata, secondo la famosa frase di Hebbel riferita a Freud e così spesso citata dalla Nissim. Riflettendo sulla crisi della psicoanalisi e sulle molte e feroci critiche che la scuotono, sia dall’esterno sia al suo interno, Luciana Nissim si chiede se non ci sia qualcosa di vero, se non valga la pena di ascoltare, perché le crisi “ se non ne abbiamo troppa paura, possono rivelarsi anche come crisi benefiche, che riescono a mobilitare risorse vitali e costruttive. Ed è così, con questo augurio, che oggi mi commiato da voi”.

BIBLIOGRAFIA

SCRITTI DI LUCIANA NISSIM MOMIGLIANO
(a cura di Andreina Robutti)

1946a. Ricordi della casa dei morti, in Nissim L., Lewinska P., Donne contro il mostro, Vincenzo Ramella Editore, Torino. Anche in Nissim Momigliano L. 2001 (con il titolo Auschwitz) e in Nissim Momigliano L. 2008.

1946b. Luci e ombre sul fattore Rh, in Giornale della Accademia di Medicina di Torino , 7/12.

1946c. Considerazioni sul fattore Rh nella patologia infantile, in collaborazione con Lattes E., Atti del III Congresso Nazionale della Trasfusione del Sangue, Milano.

1947a. Intervento del fattore Rh nella patogenesi dell’eritroblastosi fetale, in La pediatria del medico pratico, 22/2.

1947b. Ricerche sperimentali sul fattore Rh, in collaborazione con Costantini A. e Lattes E., in Minerva medica, 38/1.

1967. Presentazione, in Bruno Bettelheim, L’amore non basta, Ferro Editore, Milano.

1974. Come si originano le interpretazioni nello psicoanalista, Rivista di psicoanalisi, 20, pp. 144-165. Anche in Nissim Momigliano L. 2001.

1975. Una vicenda analitica esemplare: L’uomo dei lupi e le sue vicissitudini, letto al Centro Milanese di Psicoanalisi (CMP), dattiloscritti di Seminari, Biblioteca del CMP.

1976a. The psychoanalyst’ way, in EPF Bulletin, 9, 1977, pp. 17-22.

1976b. Relazione su la Prima Conferenza della Federazione Europea di Psicoanalisi, in Rivista di psicoanalisi, 22/3, pp. 439-440.

1976c. Omaggio a Rosenfeld, in Gaburri E. (a cura di), Eros e onnipotenza, Guaraldi, Rimini. Anche in Nissim Momigliano L. 2001.

1979. Taccuino d’appunti, in Rivista di psicoanalisi, 25, pp. 178-198. Anche in Nissim Momigliano L. 2001 con il titolo Creatività.

1980. Prefazione, in Di Cagno L. – Rovetta F. (a cura di), Le malattie croniche e mortali dell’infanzia. L’angoscia di morte, Il Pensiero Scientifico, Roma.

1981. La memoria e il desiderio, in Rivista di Psicoanalisi, 27/3-4, pp. 533-545. Anche in Nissim Momigliano L. 2001.

1982a. Note in margine a un testo: la supervisione analitica, in Di Chiara G. (a cura di), Itinerari della psicoanalisi, Loescher, Torino.

1982b. From an analyst’s note-book: some considerations on writing a paper, in International Review of Psycho-Analysis, 9, pp. 45-54 (versione in inglese di Taccuino di appunti, 1979).

1983a. Un legato molto pesante: la gratitudine, in Rivista di Psicoanalisi, 29/2, pp. 263-270. Anche in Nissim Momigliano L. 2001.

1983b. Analista e paziente al lavoro: una sonata a quattro mani, letto al Centro Milanese di Psicoanalisi.

1984a. “Due persone che parlano in una stanza” (Una ricerca sul dialogo analitico), in Rivista di Psicoanalisi, 30/1, pp. 1-17. Anche in Nissim Momigliano L. – Robutti A. 1992 e Nissim Momigliano L. 2001.

1984b. Il supervisore al lavoro, in collaborazione con Manfredi Turillazzi S., in Rivista di Psicoanalisi, 30/4, pp. 587-607.

1985. Una stagione a Vienna: ma Freud… era freudiano?, in La cultura psicoanalitica, Atti del Convegno, Trieste, 5-8 dicembre 1985, Edizioni Studio Tesi, Pordenone. Anche in Nissim Momigliano L. 2001.

1987. A spell in Vienna: but was Freud a freudian?, in International Review of Psycho-Analysis 14, pp. 373-389. Anche in Nissim Momigliano L. 2001.

1988a. Il setting: tema con variazioni, in Rivista di Psicoanalisi, 34, pp. 605- 682. Anche in Nissim Momigliano L. 2001.

1988b. Del corpo e del genere sessuale dell’analista: intervento alla discussione, in Russo L. – Vigneri M. (a cura di), Del genere sessuale, Borla, Roma.

1989a. Una famiglia ebraica fra le due guerre, letto alla « Max Heimann Lecture» The Holocaust in Italy, 36th IPA Congress, Roma. Anche in Nissim Momigliano L. 2001 e 2008.

1989b. Al di là del transfert e del controtransfert, letto al Primo Colloquio Psicoanalitico Italo-Francese, Roma, novembre 1989, e al Centro Milanese di Psicoanalisi. Anche in Nissim Momigliano L. 2001 con il titolo La relazione telepatica.

1989c. The psychoanalyst in the mirror: doubts galore but few certainties, «International Journal of Psycho-Analysis»1991, 72, pp. 287-296. Confluito in Nissim Momigliano L. 2001 con il titolo Psicoanalista allo specchio.

1990a. Le psychanalyste et le superviseur devant le mirror: beaucoup de doutes, peu de certitudes, letto alla «XXII Conference Permanente sur la formation», Londra, ottobre 1990, EPF Bulletin 37, 1991, pp. 63-84. Confluito in Nissim Momigliano L. 2001 con il titolo Psicoanalista allo specchio.

1990b. Lo psicoanalista allo specchio: testimonianze, letto al IX Congresso della SPI, Saint Vincent, maggio 1990, poi in Hautmann G., Vergine A. (a cura di ), Gli affetti, Borla, Roma 1991.

1990c. Ringraziamento. La supervisione, ovvero della “nonnità”, in Bartol G. (a cura di), In due dietro il lettino, Teda edizioni, Castrovillari.

1990d. Presentazione, in Neri C., Pallier L., Petacchi G., Soavi G.C., Tagliacozzo R., Fusionalità. Scritti di Psicoanalisi clinica, Borla, Roma.

1991. Il tè nel deserto: ulteriori considerazioni a proposito de Lo psicoanalista allo specchio, in «Rivista di psicoanalisi», 37/4, pp. 773-819. Anche in Nissim Momigliano L. 2001.

1992a. A spell in Vienna: but was Freud a freudian?, in Nissim Momigliano L. 1992f.

1992b. The analytic setting: a theme with variations, in Nissim momigliano L. 1992f.

1992c. The psychoanalyst faced with change, in Nissim Momigliano L. 1992f.

1992d. The supervisor at work, in Nissim Momigliano L. 1992f.

1992e. On the candidate’s side, in Nissim Momigliano L. 1992f.

1992f. Continuity and Change in Psychoanalisis. Letters from Milan, Karnac Books, London- New York.

1992g. Psicoanalisi del futuro: una psicoanalisi “dal volto umano”?, in Di Chiara G. – Neri C. (a cura di), Psicoanalisi futura, Borla, Roma 1993. Anche in Nissim Momigliano L. 2001.

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1993. Il desiderio dell’analista, letto al Centro Milanese di Psicoanalisi, In Nissim Momigliano L. 2001.

1994. Pensieri (irriverenti) per un Congresso, letto al X Congresso Nazionale della SPI, Rimini, 1994. Anche in Nissim Momigliano L. 2001.

2001. L’ascolto rispettoso. Scritti Psicoanalitici, a cura di Robutti A., Raffaello Cortina Editore, Milano.

2008. Ricordi della casa dei morti e altri scritti, a cura di Chiappano A., Editrice Giuntina, Firenze.

2009. Il cerchio magico. Scritti sulla supervisione psicoanalitica. Con un’intervista di Alberto Lampignano, a cura di Robutti A. e Chiari P., Quaderni del Centro Milanese di Psicoanalisi, Milano.

2012. Il contributo di Luciana Nissim alla Psicoanalisi, di Barale F. in Chiappano A., Ferruta A. (a cura di) (a cura di), Luciana Nissim Momigliano. Una vita per la psicoanalisi. Il paziente miglior collega, Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica – Archivio Storico, Roma.

INTERVISTE e VIDEO-INTERVISTE A LUCIANA NISSIM MOMIGLIANO

1995. Luciana Nissim. Interviste alla storia, di Marcello Pezzetti e Liliana Picciotto Fargion, Fonfazione Centro Documentazione Ebraica di Milano (CDEC) – videocassetta.

1997a. La memoria del bene: Luciana Nissim, di Annamaria Guadagni, in Diario della settimana, 2/8, pp. 14-21. Anche in Nissim Momigliano L. 2001.

1997b. Intervista a Luciana Nissim Momigliano di Alberto Lampignano, in Rivista Italiana di gruppo analisi. Accordi analitici tra individuo e istituzioni, 12/3-4, pp. 131-142

1998. Luciana Nissim Momigliano. Survivors of the Shoah, intervistatrice Vanessa Metta Rosen, Visual History Foundation, http://www.shoah.acs.beniculturali.it/index.php?page=Home&;lang=it
SCRITTI SU LUCIANA NISSIM MOMIGLIANO

CAPOZZI P., Luciana Nissim Momigliano. Una Psicoanalista, in Costruzioni Psicoanalitiche 1/2002, Franco Angeli, Milano.

CHIAPPANO A., Luciana Nissim Momigliano: una vita, Editrice Giuntina, Firenze, 2010.

CHIAPPANO A., FERRUTA A. (a cura di), Luciana Nissim Momigliano. Una vita per la psicoanalisi. Il paziente miglior collega, Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica – Archivio Storico, Roma, 2012.

DI CHIARA G., Il Centro Milanese di Psicoanalisi. Storia delle idee, lavoro presentato al Centro Milanese di psicoanalisi – 23 ottobre 2003.

Maggio 2014
SITOGRAFIA

https://www.spiweb.it/eventi/report-eventi/report-altri-eventi/giornata-in-ricordo-di-luciana-nissim-roma-ottobre-2010-introduzione-e-lavori/

http://www.aspi.unimib.it/index.php?id=1713

http://www.shoah.acs.beniculturali.it/index.php?page=Home&lang=it

www.anpi.it/donne-e-uomini/luciana-nissim/

www.iltempoinsorte.itwww.treccani.it/enciclopedia/luciana-nissim_(Dizionario-Biografico)/

www.enciclopediadelledonne.it/index.php?azione=pagina&id=636

http://metarchivi.istoreto.it/biografie/p_bio_vis.asp?id=502

https://scienzaa2voci.unibo.it/biografie/1215-nissim-momigliano-luciana?searchterm=nissimhttp://travasamento.altervista.org

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