Metamorfosi di Narciso 1937 Salvador Dalí
A cura di Laura Contran
Il termine prende il nome dal celebre personaggio della mitologia greca creato da Ovidio nelle Metamorfosi. Il racconto narra di un giovane di rara bellezza e di straordinaria vanità, figlio del dio Cefiso e della ninfa Liriope, così preso da sé da rifuggire il mondo e l’amore degli altri. Di Narciso si innamora perdutamente la ninfa Eco la quale viene però sdegnosamente respinta e in preda al dolore e alla vergogna per il rifiuto subito vaga per valli e caverne fino a quando il suo corpo si consuma e di lei non resta che la voce. La dea Nemesi, per punire la superbia del giovane, lo condanna ad un amore impossibile: quello per la propria immagine che egli vede, per la prima volta, riflessa nell’acqua di uno stagno. Nel disperato tentativo di raggiungere e congiungersi con questa immagine Narciso annega. Al suo posto nasce un fiore che prenderà il suo nome. La parola narciso deriva dal greco narkè – sopore, stupore – una fissità che, come insegna il racconto di Ovidio, può rivelarsi mortifera.
Il mito e le sue suggestioni, di carattere etico ed estetico, hanno trovato ampia risonanza nell’ambito filosofico, letterario ed artistico. Nel linguaggio comune, la definizione di narcisista ha una connotazione negativa e si riferisce a persone con atteggiamenti eccessivamente egocentrici, poco empatiche e sostanzialmente disinteressate agli altri .
Con la psicoanalisi il narcisismo diventa un concetto centrale in quanto viene individuato come elemento costitutivo e originario della soggettività umana e, da Freud in poi, gli studi psicoanalitici sul narcisismo approfondiranno le sue possibili evoluzioni in senso sano e patologico.
Storicamente una prima lettura del narcisismo viene proposta in ambito psichiatrico dallo psichiatra tedesco H. H. Ellis nel 1892 al fine di descrivere un aspetto patologico della vita sessuale, legato all’autoerotismo, allorché un soggetto tratta il proprio corpo come oggetto sessuale fonte di desiderio e di piacere. Successivamente nel 1899 lo psichiatra H. Näcke lo utilizzerà riferendosi alle perversioni sessuali.
In una prima fase, Freud riprenderà queste tesi in relazione all’omosessualità e all’eziopatogenesi della paranoia. Nel suo studio sull’infanzia di Leonardo da Vinci (1910) descrive il meccanismo per cui l’investimento libidico porta a una scelta omosessuale dovuta alla fissazione dei bisogni erotici della figura materna e attraverso l’identificazione con lei “[…[ il ragazzo mette se stesso al posto della madre, si identifica con lei e prende la sua stessa persona come un modello a somiglianza del quale egli sceglie i nuovi oggetti del suo amore […] Egli trova gli oggetti del suo amore lungo la via del Narcisismo”. Nella psicosi (Il caso Schreber, 1911) il narcisismo diventa la manifestazione patologica del ritiro dell’investimento libidico dagli “oggetti” e quindi dalla realtà esterna; Freud in questo senso concorda con quanto già sostenuto da K. Abraham (1908) a proposito della demenza precoce.
Successivamente (Totem e tabù, 1912) Freud ridefinisce il narcisismo come fase intermedia dell’evoluzione sessuale che si colloca tra l’autoerotismo e l’amore oggettuale, tesi che riprenderà nel 1914 nel saggio Introduzione al narcisismo, il vero punto di svolta della sua teorizzazione che apre ad altre vicissitudini dell’Io quali l’amore di sé, la scelta sessuale, l’idealizzazione, la sublimazione, la pulsione di morte. In questo importante lavoro il narcisismo viene rivisto come una forma d’investimento pulsionale necessario alla vita soggettiva, non più dunque come una condizione psicopatologica ma come un dato “strutturale” all’origine della formazione dell’Io: “[…] un completamento libidico dell’egoismo della pulsione di autoconservazione”. Ma, aggiunge Freud, le pulsioni sessuali che in origine si manifestano in modo caotico e disorganizzato si legano al primo oggetto d’amore – l’Io – che è, innanzi tutto, Io corporeo.
Con la costruzione della seconda topica (Es, Io e Super-Io) Freud distingue due forme di narcisismo: primario e secondario. Il narcisismo primario (deducibile teoricamente solo a posteriori) è così definito in quanto legato a una prima fase dello sviluppo del piccolo dell’uomo che vive in uno stato indifferenziato non essendo ancora in grado di distinguere tra sé e l’altro, tra l’interno e l’esterno (il prototipo è la vita intrauterina). “Il narcisismo primario è una sorte di amore, che, più che di se stesso, può essere definito con se stesso” (Semi, 2000, 30).
Freud inoltre mette in rilievo la posizione dei genitori nella costituzione del narcisismo primario dell’infans (His majesty the baby). Il loro amore nei confronti del figlio “che deve appagare i loro sogni e desideri irrealizzati” è, di fatto, una reviviscenza del loro narcisismo tornato a nuova vita (1914).
Il narcisismo secondario è una situazione psichica più tardiva che comporta l’investimento libidico nei confronti di un oggetto esterno il quale, al tempo stesso, viene vissuto “come il proprio io”.
Il narcisismo secondario nasce dal fallimento del primo, da questa illusione di completezza “[…] ed esprime un tentativo di ricostituire delle condizioni interiori, psichiche, di piacevolezza, di autoconservazione, di sicurezza che quello illusoriamente garantiva (Semi, ibid, 62).
Tale passaggio costituisce il momento inaugurale del riconoscimento dell’alterità: un intervento esterno che soccorre e aiuta l’infans nella sua impotenza fisiologica (Hilflosigkeit).
Evoluzioni post freudiane del concetto di narcisismo
Sull’esistenza di un narcisismo primario e secondario, le posizioni degli analisti post freudiani si sono nel tempo differenziate spesso divergendo tra loro. Al contrario di Freud, il quale ipotizzava l’esistenza di uno stadio anteriore alle relazioni oggettuali in cui la libido rimane “in vacuo” fissata al corpo del lattante, Melanie Klein giunge a sostenere, attraverso la sua esperienza clinica di analista infantile, che sin dalla nascita esiste nell’infans la percezione dell’oggetto, anche se parziale (il seno materno). Inoltre, mentre per Freud l’oggetto è soprattutto la meta della pulsione, per la Klein l’oggetto è anche la meta delle emozioni, delle fantasie e delle difese del lattante. In questo senso Klein e gli autori successivi riprendono e sviluppano ulteriormente la correlazione già posta d Freud tra narcisismo e “onnipotenza del pensiero” in rapporto al preedipico, all’aggressività e alla pulsione di morte.
Tra gli psicoanalisti kleiniani H. Rosenfeld (1964) tenta di integrare il narcisismo con le concezioni di M. Klein. Egli rivede criticamente le tesi freudiane sostenendo che il narcisismo primario è da considerarsi l’espressione di un rapporto oggettuale primitivo in cui l’oggetto viene incorporato in modo onnipotente e viene trattato come proprietà del bambino che si identifica con esso.
L’ipotesi di fondo di Rosenfeld è che esiste un narcisismo libidico che va tenuto distinto da un narcisismo distruttivo, distinzione che si fonda sulla qualità dell’oggetto che viene idealizzato. Il narcisismo libidico è caratterizzato da un eccesso di idealizzazione per il Sé che viene mantenuto mediante identificazioni onnipotenti (proiettive e introiettive) con gli oggetti buoni e le loro qualità, ma non ha una valenza antirelazionale bensì è una difesa da sentimenti di dipendenza, di vuoto e di invidia.
Il narcisismo distruttivo corrisponde alla idealizzazione di parti cattive del Sé volte a colonizzare la parte più sana e meno narcisistica della personalità. Questa struttura psicopatologica nega e rigetta ogni sentimento di dipendenza, e quindi di separazione, nei confronti dell’oggetto (incluso l’analista) proclamando, per così dire, la propria autosufficienza, ma in realtà impedisce al soggetto di stare in contatto con le proprie emozioni e di entrare in relazione con gli altri.
Allontanandoci dal territorio kleiniano e spostandoci oltre oceano, uno psicoanalista che su questo tema ha dato un contributo senz’altro originale è H. Kohut, ispiratore della corrente della psicologia del Sé, che ha fatto del narcisismo l’asse portante del suo pensiero teorico conferendogli una “autonomia” inedita. Kohut ritiene che esistono due linee parallele di sviluppo della libido: una oggettuale, che porta all’amore per l’altro e una narcisistica che porta all’amore per sé.
Secondo lo psicoanalista americano, esiste uno stadio infantile, successivo al narcisismo primario, in cui si stabilisce il Sé grandioso del bambino (che si manifesta attraverso l’esibizionismo e le fantasie grandiose) da ritenersi non patologico ma sano e adattivo. In questa fase svolge una funzione fondamentale una presenza genitoriale capace di empatia e tenerezza rispecchianti (Mirroring) assicurando il consolidamento di questo arcaico Sé grandioso.
La sua teoria nasce soprattutto dall’osservazione clinica di pazienti con disturbi narcisistici che nel corso del trattamento analitico sviluppavano due modalità di transfert definite da Kohut: speculare e idealizzante. La prima corrisponde al bisogno del paziente di “ammirazione” e “rispecchiamento” da parte del terapeuta, la seconda, complementare alla prima, di idealizzare il terapeuta. Questi tipi particolari di transfert hanno portato Kohut ad ipotizzare un difetto originario da parte delle figure genitoriali nella loro capacità di accogliere empaticamente gli aspetti di onnipotenza infantile. Ciò comporterebbe un arresto dello sviluppo psichico del bambino allo stadio del “Sé grandioso arcaico” compromettendo la sua evoluzione più matura che conosciamo comunemente nella forma del sentimento di autostima e di fiducia in noi stessi.
La differenza sostanziale, rispetto alla teoria freudiana, è l’importanza che viene ad assumere l’ambiente (e quindi il conflitto tra il Sé e gli oggetti) nella costituzione soggettiva laddove Freud postulava una conflittualità intrapsichica (tra Io-Es e Superio).
I due specchi: Winnicott e Lacan
Lo stadio dello specchio costituisce il primo grande contributo di J. Lacan alla teoria psicoanalitica. E’ uno dei suoi concetti più famosi, una riformulazione della teoria del narcisismo freudiano e dell’identificazione. Ricordiamo, infatti, che per Freud il narcisismo rinvia al rapporto del soggetto con la propria immagine ideale (l’Io ideale) e alla funzione che l’immagine ideale svolge nella formazione dell’Io. La nascita del soggetto avviene attraverso questi due oggetti fondamentali: il corpo materno (il suo sguardo, le sue cure) e l’immagine del corpo proprio. Da qui si determinerebbero le successive scelte oggettuali, come ricorda lo stesso Freud, o forme d’amore: anaclitica (dalla funzione di sostegno esercitata dalla madre) e quella narcisistica nella quale l’oggetto è amato perché restituisce al soggetto un’immagine ideale di sé.
Lo stadio dello specchio rappresenta per Lacan la matrice originaria della formazione dell’Io o, come scrive nel suo lavoro L’aggressività in psicoanalisi, un “crocevia strutturale” nella costituzione della soggettività umana. Il senso di questa fase si dà a posteriori e si riferisce all’esperienza dello sviluppo psichico del bambino in un’età collocabile tra i 6 e 18 mesi, periodo in cui l’infans non padroneggia ancora il linguaggio né il coordinamento motorio. Il bambino può vedersi nell’immagine riflessa, può riconoscersi com’è osservandosi nell’immagine dell’altro che lo specchio gli restituisce e di fronte al quale il bambino ha un moto di giubilo. Vi è tuttavia una “discordanza” tra ciò che lo specchio gli rimanda – illusione di padronanza e di unità del proprio corpo – e la condizione di prematurità strutturale che caratterizza la condizione di dipendenza del piccolo dell’uomo. La funzione dello specchio è quella di produrre uno sdoppiamento nel soggetto per cui egli può “oggettivarsi” nell’immagine speculare dell’altro da sé, al fine di potersi riconoscere in un’alterità che lo identifica, in un’esteriorità che lo riflette.
Ciò che Lacan teorizza e intende far comprendere con lo stadio dello specchio è “[…] quanto c’è nell’uomo di slegato, di frammentato, di anarchico (che) si pone in rapporto con le sue percezioni sul piano di una tensione assolutamente originale. E’ l’immagine del suo corpo a essere il principio di ogni unità che percepisce gli oggetti. Ora, di questa stessa immagine egli percepisce l’unità solo al di fuori e in modo anticipato. Per il fatto di avere questa relazione doppia con se stesso, è sempre intorno all’ombra errante del suo proprio io che si struttureranno tutti gli oggetti del suo mondo”. (Seminario II, 191).
Lacan quindi sottolinea che lo stadio dello specchio assume una funzione anticipatoria e nello stesso sancisce quell’aspetto di alienazione – l’impossibilità di essere Uno – che contraddistingue l’essere umano.
Anni dopo Winnicott in Gioco e realtà del 1967 riconosce a Lacan il merito di aver introdotto l’esperienza dello specchio come tappa evolutiva dell’essere umano, ma la declina in tutt’altra prospettiva teorica. Rispetto alla ricostruzione metapsicologica di Lacan, Winnicott ne dà una versione più specificamente relazionale. Egli, infatti, sostiene che il precursore dello specchio è il volto della madre nel quale il lattante si vede: […] In altre parole la madre guarda il bambino e ciò che essa appare è in rapporto con ciò che essa scorge” (1967, 191). E’ da questo sguardo che l’infans riceve il primo riconoscimento del suo“essere”. E’ un gesto inaugurale che lo istituisce in quanto soggetto appartenente alla comunità umana e lo introduce nell’ordine simbolico.
Il lato oscuro del narcisismo
Un Autore che si è a lungo occupato del narcisismo dal punto di vista metapsicologico è lo psicoanalista francese André Green. In uno dei suoi lavori più famosi Narcisismo di vita, narcisismo di morte, Green ha messo in luce, a partire dalla clinica psicoanalitica e dal trattamento delle patologie gravi, gli aspetti negativi e distruttivi del narcisismo collegandoli alla pulsione di morte intesa non come distruttività pulsionale ma come forma di disinvestimento che permea tutte le relazioni d’oggetto. Nella clinica psicoanalitica Green ha individuato alcune forme di narcisismo negativo (che si rivelano e si riattualizzano nel transfert) in cui nei pazienti predominano sentimenti di impotenza che vanno dalla incapacità di amare, di coltivare le proprie risorse, e di vivere, più in generale, una vera soddisfazione nonostante il raggiungimento di risultati.
Tra le varie configurazioni patologiche, attribuibili a una ferita narcisistica originaria, la più nota è quella descritta da Green come Il complesso della madre morta (1983). Non si tratta di un lutto reale subito dal bambino nei primi anni di vita (Green lo definisce lutto bianco), ma di una depressione materna, insorta a causa di eventi di vita dolorosi e improvvisi, a seguito della quale la madre ha distolto bruscamente il proprio investimento affettivo nei confronti del figlio: “Il lutto della madre modifica il suo atteggiamento fondamentale nei confronti del figlio, ch’essa continua ad amare, continuando ad occuparsi di lui. Ma, come si dice, “senza metterci l’anima” (ibid.). Per il bambino questo distacco emotivo, a cui non è in grado di attribuire un senso, rappresenta una vera e propria catastrofe e viene a creare, per usare l’immagine proposta da Green, un “buco” nella trama psichica soggettiva. Da adulto potrà avere una vita relazionale e lavorativa apparentemente soddisfacenti, ma dentro di sé continuerà a tenere inconsciamente in vita questa immagine della madre morta identificandosi con lei.
Ma che cosa si intende dunque per narcisismo sano? Fermo restando che ciascuno di noi ha bisogno di sentirsi riconosciuto e amato come persona nella sua unicità, ciò che può variare (in termini quantitativi oltre che qualitativi) è il valore che attribuiamo allo “sguardo” del mondo esterno. In linea di massima possiamo affermare che il narcisismo sano è dato dalla capacità di un individuo di mantenere un sufficiente “equilibrio oscillatorio” tra investimenti libidici e affettivi che riguardano il proprio Io (amore per se stessi) e gli altri. Accade tuttavia che in alcuni momenti o fasi della vita (si pensi all’adolescenza o alla vecchiaia) questo equilibrio può andare incontro a forti turbolenze. Altre cause possono essere rappresentate da eventi o situazioni traumatiche (come ad esempio un lutto o una malattia) che causano, seppure transitoriamente, una regressione, ovvero un ritiro dall’Io dalla realtà che lo circonda.
Freud in una lettera ad Abraham dopo la stesura del suo saggio del 1914 scriveva “Il narcisismo è stata una dura fatica e porta tutti i segni delle relative deformità”. La frase di Freud risuona in un certo senso attuale poiché, nonostante i passi compiuti e la grande ricchezza dei contributi apportati dal punto di vista teorico e clinico dagli psicoanalisti postfreudiani nel trattamento di pazienti con disturbi narcisistici, il narcisismo rimane un campo di indagine ancora da esplorare anche alla luce delle patologie del nostro tempo che sembrano caratterizzate da questa impronta.
Bibliografia
Freud S. (1910) Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci, OSF 6, Boringhieri.
Freud S. (1910) Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia descritto autobiograficamente. (Caso clinico del presidente Schreber), OSF 6, Boringhieri.
Freud S. (1912) Totem e tabù, OSF 7, Boringhieri.
Freud S. (1914) Introduzione al narcisismo, OSF 7, Boringhieri.
Green A. (1983) Narcisismo di vita, narcisismo di morte, Borla.
Kohut H. (1971) Narcisismo e analisi del sé, Boringhieri, 1976.
Lacan J. (1947) Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’Io, in Scritti, vol. I, Einaudi, 1974.
Lacan J. L’aggressività in psicoanalisi, in Scritti, vol. I, Einaudi, 1974.
Lacan J. (1954-55) L’Io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Il Seminario libro II. Einaudi.
Laplanche e Pontalis (1967) Enciclopedia della psicoanalisi, vol. II, Laterza, 2010.
Rosenfeld H. A. Stati psicotici. Un approccio psicoanalitico, Armando editore, 1990.
Semi A. A. Il narcisismo, Il Mulino, 2007.
Winnicott D. (1967) Gioco e realtà, Armando editore, 2005.
Aprile 2015