Lucy on the piano _ Peanuts
A cura di Ludovica Grassi
La musica ha un ruolo centrale nella strutturazione somato-psichica e nell’intersoggettività primaria, e in particolare nel dispiegarsi dei processi di simbolizzazione e soggettivazione. Essendo fatta dello stesso materiale e delle stesse dinamiche della vita psichica, la musica può essere utilmente impiegata nella clinica e nella ricerca in psicoanalisi, sensibilizzando l’ascolto e la risposta alle forme di sofferenza radicate nelle esperienze originarie.
Freud amava definirsi totalmente privo di sensibilità musicale, giustificando la propria incapacità di apprezzare la musica con una scarsa predisposizione fisiologica e, soprattutto, con la difficoltà a utilizzare per la musica un approccio razionalistico o analitico (Il Mosè di Michelangelo, 1913). Barale e Minazzi (2008) paragonano l’arretrare di Freud di fronte all’ignoto e all’indifferenziato del linguaggio asemantico della musica al ritiro di Breuer di fronte all’irruzione del transfert, ritenendolo dunque un rifiuto ad entrare nella sfera del pre-rappresentazionale (sentimento oceanico) per non minare le basi della giovane scienza psicoanalitica. Eppure la talking cure nasce come metodo di cura basato sulla parola, che è un tipo specifico di produzione sonora e che, come la musica, ha fra i suoi strumenti fondamentali l’ascolto e l’interpretazione.
Lo studio dei fenomeni musicali secondo una prospettiva psicoanalitica cominciò già fra i primi partecipanti alle “riunioni del mercoledì”. Max Graf, musicologo e critico musicale (e padre del piccolo Hans) pubblicò lavori su opere specifiche, quali ad esempio L’olandese volante di Wagner (1911), che Freud fece pubblicare sulla sua rivista di psicoanalisi applicata, oltre a uno studio sulla psicologia del processo compositivo (1947). Nella prima metà del secolo scorso, tuttavia, gli psicoanalisti analizzarono prevalentemente altre espressioni della creatività artistica, con un graduale passaggio dal modello basato sulla regressione dell’Es, che tendeva a correlare creatività e patologia, a concettualizzazioni in linea con la psicologia dell’Io, quindi imperniate su aspetti aconflittuali, adattativi, meno connotati da patologie nevrotiche e psicotiche. Un esempio di questa svolta, per quanto riguarda la musica, è l’articolo di Kohut e Levarie (1950) in cui il rapporto del soggetto con musica è ritenuto basarsi sul lavoro organizzativo e difensivo dell’Io, conscio e inconscio, di fronte a stimoli incomprensibili e traumatizzanti.
Theodor Reik ha avuto il merito di riportare l’attenzione degli psicoanalisti sulla dimensione uditiva, trascurata dalla centralità data dalla psicoanalisi all’immagine visiva nei processi rappresentativi, e sulle forme sonore e musicali, più vicine ai processi inconsci e ai moti affettivi: ascoltare con il terzo orecchio facilita la comunicazione inconscia fra analista e paziente, l’intuizione e la sorpresa.
Particolarmente influente sulle concettualizzazioni della musica è stato il pensiero di Susanne Langer (1951), che ha evidenziato come la struttura della musica sia isomorfa ai movimenti psichici, in grado di suscitare emozioni ma priva di oggetto e contenuto, una forma significante. Analogamente Anzieu (1987) ha definito significante formale una forma preliminare di struttura psichica e ha sottolineato il ruolo fondante di un involucro sonoro che originariamente avvolge la diade madre-bambino costituendo un primo confine fra sé e non-sé.
Molti sono i tipi di approccio che vengono usati per indagare il rapporto fra musica e psicoanalisi, quali ad esempio:
-gli studi biografici dei musicisti in rapporto con il loro stile e le loro modalità compositive, ma anche l’analisi delle composizioni musicali indipendentemente dalla personalità degli autori;
-l’analisi dei libretti d’opera o dei testi di forme musicali cantate, e dei contenuti cui alludono i titoli o le didascalie poste dagli autori stessi alle loro composizioni;
-le teorie su cui si basano le diverse forme di musicoterapia;
-l’uso di concetti musicali per definire elementi o processi psichici;
-le teorie che considerano la musica vettore ottimale di affetti non esprimibili verbalmente o mediante altre arti;
-lo studio degli elementi della musica e del loro ruolo nello sviluppo primario e in particolare nella relazione madre-bambino;
-l’approfondimento degli isomorfismi tra musica e funzionamento psichico.
L’infant research e le neuroscienze hanno sottolineato la funzione essenziale del ritmo e della musicalità nei primi scambi fra neonato e adulto di riferimento. In particolare Panksepp e Trevarthen (2009) individuano nella musicalità umana un sistema motivazionale autonomo e ipotizzano che gli stimoli musicali possano modulare l’espressione di specifici geni del cervello umano dando luogo a trasformazioni epigenetiche permanenti. L’importanza attribuita alla musica nelle relazioni primarie trova sostegno sia nell’ipotesi evoluzionistica di un precursore comune per musica e linguaggio (musilinguaggio cioè un sistema comunicativo, emotivo e referenziale, successivamente sdoppiatosi in due linguaggi con regole e finalità differenziate), sia negli studi di neuroimaging, che hanno evidenziato già nel neonato aree cerebrali specifiche di entrambi gli emisferi capaci di interpretare sequenze strutturate di suoni, soprattutto se con ritmi corrispondenti a quelli dei processi corporei.
Particolarmente interessanti sono gli studi che approfondiscono elementi musicali che hanno un ruolo fondante nei processi psichici, a partire dallo sviluppo del senso dell’udito e del tatto, che precede di gran lunga nella vita fetale l’organizzazione di altri canali sensoriali come la vista, qualificando le prime memorie ed esperienze prenatali come prevalentemente uditive oltre che tattili e propriocettive. La temporalizzazione, cardine dei processi di soggettivazione e simbolizzazione, ha origine non solo dall’andamento, ritmo e pulsazioni delle vibrazioni e poi dei suoni e silenzi percepiti dal feto e quindi dal bambino, ma anche dai suoi primi movimenti corporei che consistono in variazioni di posizione nello spazio e nel tempo. Maiello (1993, 2011) ha sottolineato il ruolo strutturante delle reminiscenze prenatali di suoni e ritmi che restano nella memoria del bambino come oggetto sonoro. In particolare la voce materna, caratterizzata dalla costanza qualitativa e dalla discontinuità nel tempo, avrebbe la funzione di introdurre il principio della differenza già nella vita prenatale. Le prime forme di rappresentazione potrebbero essere dunque di natura sonora, e precedere quelle visive.
La musica in tutte le sue forme è isomorfa alla successione di tensione/rilassamento e attesa/risoluzione che caratterizza la psicosessualità umana ed emerge nei primi scambi preverbali e imitativi tra il bambino e l’ambiente umano. La continuità dell’esistere che non tollera pressioni eccessive o interruzioni è infatti un tempo ritmico, e lo stesso meccanismo dell’après-coup può essere considerato una forma ritmica, costituita di pieni e di vuoti. La ripetizione, quale componente essenziale del ritmo, è un altro operatore di base del funzionamento psichico, già evidente nei giochi infantili presimbolici: la ripetizione e il silenzio (o pausa) producono un vuoto generativo di quella che sarà la rappresentazione dello stimolo assente. Inoltre il processo del lutto, essenziale alla vita psichica e ai suoi processi trasformativi, è parte integrante dell’esperienza musicale, in cui ogni suono distrugge quello precedente, comportando una serie ininterrotta di lutti e un costante lavoro della memoria.
Sul piano clinico, una maggiore attenzione alle componenti musicali e ritmiche nella relazione transfero-controtransferale, unita a una sensibilità specifica, sia nell’ascolto sia nell’interpretazione, agli aspetti infra-verbali della comunicazione, arricchisce il lavoro psicoanalitico con i pazienti, permettendo l’elaborazione di forme e contenuti inconsci ancora non rappresentabili.
Per concludere, va segnalato come numerosi psicoanalisti italiani abbiano dato importanti contributi all’area dell’incontro fra musica e psicoanalisi: per citarne solo alcuni, Antonio Di Benedetto, Alberto Schön, Mauro Mancia, Fausto Petrella e Riccardo Lombardi. Spesso dialogando fra loro, questi autori hanno arricchito la bibliografia esistente con l’analisi di opere e brani musicali, del rapporto fra interpretazione psicoanalitica e musicale, dell’ascolto musicale nella relazione analitica, delle relazioni fra espressione musicale e forme di sofferenza psichica, e tante altre tematiche che meriterebbero di essere approfondite.
Anzieu D. (1987). I significanti formali e l’Io-pelle. In: D. Anzieu et al. Gli involucri psichici. Trad. it., Milano: Dunod (Masson S.p.A.), 1997
Barale F. e Minazzi V. (2008). Off the beaten track: Freud, sound and music. Statement of a problem and some historico-critical notes. Int. J. Psycho-Anal. 89: 937-957
Freud S. (1913). Il Mosè di Michelangelo. O.S.F., 7
Graf M. (1911). Richard Wagner im Fliegenden Holländer. Ein Beitrag zur Psychologie Künstlerischen schaffens. Schriften zur Angewandten Seelenkunde, Vol. 9, 1970. Nandeln, Liechtenstein:Kraus
Grassi L (2015). Ascoltare la relazione. Musica e legami originari. Interazioni, 1-2015/41
Kohut H. and Levarie S. (1950). On the enjoyment of listening to music. Psychoanalytic Quarterly, 19:64-87
Langer S. (1951). Filosofia in una nuova chiave. Roma, Armando, 1972
Maiello S. (1993). L’oggetto sonoro. Un’ipotesi sulle radici prenatali della memoria uditiva. Richard e Piggle, 1/1993
Maiello S. (2011). Dialoghi antelitteram. Note sugli elementi ritmici e sonori del linguaggio e della comunicazione verbale. Richard e Piggle, 19, 3/2011: 246-266
Panksepp J., Trevarthen C. (2009). The neuroscience of emotion in music. In Communicative musicality: exploring the basis of human companionship. Oxford: Oxford University Press
Rose Gilbert J. (2004). Between couch and piano: Psychoanalysis, music, art, and neuroscience. Hove: Brunner-Routledge
Febbraio 2015