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Merciai S. A. (2014). Prendersela con la neuropsicoanalisi, una polemica mal posta … Commento a un articolo di F.Ramus

20/02/14

Merciai S. A. (2014). Prendersela con la neuropsicoanalisi, una polemica mal posta … (1)

Silvio A. Merciai commenta un articolo di F. Ramus (“What’s the point of neuropsychoanalysis?”) uscito nel settembre 2013 sul British Journal of Psychiatry, 203: 170-171

Nel suo breve articolo What’s the Point of Neuropsychoanalysis, pubblicato nel 2013 su The British Journal of Psychiatry, Franck Ramus parte dalla definizione ‘ufficiale’ di neuropsicoanalisi offerta da Mark Solms e da Jaak Panksepp (2) per dedicarsi ad una sorta di attacco a tutto campo alla psicoanalisi (freudiana) ed alle sue applicazioni cliniche: perché – a suo avviso – la neuropsicoanalisi, scomodando e prendendo a prestito il prestigioso (e ‘alla moda’) prefisso delle neuroscienze, non fa che giustificare la tradizione psicoanalitica la quale violerebbe l’onestà intellettuale della storia delle scoperte scientifiche (non è vero che sia stato Freud ad introdurre concetti fondamentali che a lui vengono tradizionalmente attribuiti e che andrebbero invece ricondotti ai loro ‘veri’ autori, da Platone a Janet), esaltare la persistenza anacronistica di una teoria ormai desueta e inutile (non è vero che la psicoanalisi aggiunga conoscenze significative a quelle tradizionalmente attribuite al mainstream della psicologia (3) e avallare implicitamente posizioni certo molto criticabili come quelle assunte da alcuni psicoanalisti francesi in tema di autismo. Come gli replica acutamente uno dei commentatori – Felicity Callard – non si capisce bene se Ramus ce l’abbia più con i neuroscienziati (da LeDoux a Damasio a Kandel) che hanno espresso positivo interesse per la psicoanalisi o con gli studiosi della neuropsicoanalisi sensu strictu (come Solms, per l’appunto, che è tra i commentatori stessi) o con gli psicoanalisti francesi o con quell’impostore di Freud …

Non sorprende che il British Journal of Psychiatry pubblichi un articolo critico nei confronti della psicoanalisi – una disciplina verso cui l’importante rivista psichiatrica inglese nutre notoriamente poca simpatia. Sorprende alquanto, invece, che nel mirino della critica non ci sia, come altre volte, la psicoanalisi nelle sue versioni più tradizionali, ma un’area di studi – l’indagine sul rapporto fra funzioni psichiche e substrato biologico – nei cui confronti ci si sarebbe potuti aspettare che il Br. J. Psychiatry proponesse una riflessione ispirata a maggiore simpatia e interesse.

Quanto a Franck Ramus, dal suo sito si apprende che è un ingegnere diplomatosi nella prestigiosa École Polytechnique, che lavora da anni – dopo un’esperienza di post-doc all’Institute of Cognitive Neuroscience dell’University College a Londra – come ricercatore (e dal 2011 come senior research scientist) al Centre national de la recherche scientifique, che si è interessato in particolare di dislessia e di autismo (4) e che non ha avuto modo di sviluppare grande amore per la psicoanalisi (scrive nel suo blog che i suoi lavori sui disturbi dello sviluppo lo confrontano frequentemente con le ipotesi avanzate dalla psicoanalisi, spesso in contraddizione con i suoi risultati, e che d’altra parte le reazioni e le critiche di certi psicoanalisti nei confronti delle ricerche delle neuroscienze e delle scienze cognitive riflettono una grande incomprensione dei loro programmi di ricerca – e si ricomprende in questo ambito – ed una certa ignoranza delle loro acquisizioni scientifiche).

Francamente il lavoro di Ramus non mi pare né sufficientemente approfondito né ben documentato, ma invece alquanto sommario e superficiale: in questo mi sento abbastanza in sintonia con i suoi commentatori che glielo fanno notare con dettagliate argomentazioni – inutilmente, direi, vista la sua replica. Tra l’altro, il suo attacco alla psicoanalisi (francese) potrebbe sembrare inutilmente e incomprensibilmente livoroso se non lo si inquadrasse nel contesto della pesante polemica che ha recentemente coinvolto il mondo psicoanalitico francese (prevalentemente nella sua componente di ispirazione lacaniana) a proposito dell’etiopatogenesi e della terapia dell’autismo (5), culminata nell’incredibile divieto di diffusione (gennaio 2012 – solo recentemente, il 16 gennaio 2014, è stato rimesso in circolazione) del docu-film Le Mur, ou la psychanalyse à l’épreuve de l’autisme di Sophie Robert; Ramus è stato tra gli studiosi che più attivamente sono entrati in questa battaglia.

Il lavoro di Ramus, però, ripropone al dibattito alcune questioni su cui vari autori si sono più volte soffermati (io tra questi):

Il perdurante disinteresse e l’aperta diffidenza del mondo psicoanalitico ‘ufficiale’ nei confronti delle acquisizioni neuroscientifiche.

Mark Solms, acutamente, osserva nel suo commento che la posizione critica espressa da Ramus finisce con l’essere in perfetta sintonia con quelle espresse in ambito psicoanalitico da chi individua nell’interesse per le neuroscienze un pericolo di contaminazione per la psicoanalisi e porta ad esempio le posizioni critiche assunte da R. Blass e Z. Carmeli (cita il lavoro del 2007, ma io aggiungo anche quello, successivo alla risposta di Solms, del 2013). Come altre volte ho sottolineato (6), a me sembra veramente deprecabile – ed una grande occasione sprecata – che il mondo psicoanalitico continui, nella sua maggioranza, a ignorare e manifestare disinteresse nei confronti del mondo neuroscientifico: non si può fare a meno di osservare di quanto raramente temi di questo tipo facciano comparsa sulle nostre riviste o nei nostri congressi né si può fare a meno di ricollegare questa autoreferenzialità della psicoanalisi all’altrettanto perdurante resistenza nei confronti della ricerca empirica, come ancora recentemente – su questo sito e sulla Rivista di Psicoanalisi – hanno ben documentato Maria Ponsi e Vittorio Lingiardi).

La ricorrente affermazione che il dialogo con le neuroscienze possa servire per giustificare e validare le originali affermazioni freudiane.

Questo è il peccato originale di una prima fase del ‘movimento neuropsicoanalitico’ (se così possiamo chiamarlo, in analogia con il ‘movimento psicoanalitico’ delle prime fasi di vita della disciplina fondata da Freud), una posizione che tende a trascurare il fatto – non irrilevante! – che la psicoanalisi è progredita e si è molto arricchita dopo le prime teorie del suo fondatore. Più che utilizzare le acquisizioni delle neuroscienze per confermare le ipotesi teoriche di Freud converrebbe invece riprendere il suo disegno originale di fare della biologia della mente il principale alleato della speculazione e della teorizzazione psicoanalitica (il programma di Eric Kandel, per esempio). Utilizzare in modo appropriato le neuroscienze potrebbe dunque significare trovare aiuto nel difficile compito di procedere nella rifondazione e nella revisione delle teorie psicoanalitiche.

L’immagine, infine, che – anche in conseguenza delle osservazioni fin qui espresse – la psicoanalisi finisce con l’avere nella società allargata.

Ramus scrive, nella sua replica, che se si assume una prospettiva più ampia (a livello mondiale, cioè al di là dello specifico caso francese sull’autismo) si finisce comunque spesso con il trovare la psicoanalisi tra i principali fattori di resistenza ad una psicologia e ad una psichiatria evidence-based. Difficilmente si può dargli del tutto torto. Si può certamente invocare la relativa disinformazione di un ricercatore cognitivista sui molti filoni di pensiero che popolano la variegata galassia psicoanalitica, ma difficilmente si può disconoscere con quanta fatica e lentezza si stia uscendo dal nostro non così splendido isolamento – per usare la pertinente espressione di P. Fonagy (2003).

Sono le stesse osservazioni che vengono alla mente leggendo l’ulteriore commento all’articolo di Ramus pubblicato online sul Br. J. Psychiatry nell’ottobre 2013 da tre autori italiani (Gentili, Cristea e Pietrini) che rilevano che, prima di celebrare la nascita di una nuova disciplina, la neuropsicoanalisi appunto, converrebbe esaminare più da vicino gli studi in cui si applicano i dati della ricerca neurobiologica ai concetti e ai dati della clinica psicoanalitica: la maggioranza dei papers neuropsicoanalitici, infatti, sono soprattutto rassegne teoriche in cui si evidenziano analogie fra gli ambiti della mente e del cervello piuttosto che studi originali finalizzati a verificare ipotesi specifiche. Il dialogo fra neuroscienze e psicoanalisi, sostengono i tre autori italiani, è senz’altro auspicabile; ma muoversi in questa direzione implica abbandonare il Principio di Autorità (quello che legittima ogni affermazione a condizione che essa sia riconducibile al pensiero di un’autorità, Freud in primis – una affermazione che già Kandel aveva vigorosamente sostenuto) e accettare le leggi della metodologia scientifica (riproducibilità, falsificazione, verificabilità, misurabilità).

Gli autori si chiedono se ciò sarà mai possibile (sembra sottintendano che lo ritengono molto improbabile): io vorrei rispondere loro con le parole di Antonio Damasio, secondo il quale c’è una naturale alleanza tra neuroscienze e psicoanalisi, e con l’auspicio che, seppur lentamente, alla fine questo dialogo finirà con l’affermarsi.

Note

(1) Ringrazio Maria Ponsi, paziente e generoso editor della versione preliminare di questo testo.

(2) La neuropsicoanalisi cerca di comprendere la mente umana in particolare in termini di esperienza in prima persona e riconosce il ruolo essenziale delle neuroscienze in questa indagine: ma, a differenza della maggior parte delle ricerche neuroscientifiche, pone sullo stesso piano mente e cervello’ [mia traduzione].

(3) Ma Jeremy Holmes gli risponde che è invece proprio la superficialità della psicologia accademica a spingere i neuroscienziati verso la psicoanalisi, nella loro ricerca di modelli della mente compatibili con la scienza del cervello.

(4) Nel sito specifica che le sue ricerche vertono in particolare sullo sviluppo del linguaggio e della cognizione sociale nei bambini e sulla relativa patologia (dalla dislessia all’autismo) indagata nelle sue determinanti genetiche e ambientali.

(5) Il tema è stato anche oggetto, nello stesso periodo, di un vivace dibattito nella Mailing List della S.P.I.

(6) È la posizione che ho assunto ne La psicoanalisi nelle terre di confine (Raffaello Cortina, Milano, 2009) e, più recentemente in “Il contributo delle neuroscienze al pensiero psicoanalitico” (in Psicoanalisi senza teoria freudiana. Riflessioni da un congresso a cura di Antonio Imbasciati, Borla, Roma, 2013) e “Cavarsela alla meno peggio. Psicoanalisi e neuroscienze” (in Neuroscienze e teoria psicoanalitica. Verso una teoria integrata del funzionamento mentale a cura di Loredana Cena e Antonio Imbasciati, Springer, 2014).

Bibliografia

Blass R., Carmeli Z. (2007). The case against neuropsychoanalysis: On fallacies underlying psychoanalysis’s latest scientific trend and its negative impact on psychoanalytic discourse. Int.J.Psychoanal., 88 (1): 19-40.

Blass R., Carmeli Z. (2013). The case against neuroplastic analysis: A further illustration of the irrelevance of neuroscience to psychoanalysis through a critique of Doidge’s The Brain that Changes Itself, Int.J.Psychoanal., 94 (2): 391-410.

Gentili C., Cristea I. A., Pietrini P. (2013). Would neuropsychoanalysis ever be possible? Br.J.Psych., published online October 13, 2013.

Damasio A. R. (2012). Neuroscience and psychoanalysis: A natural alliance. Psychoanal.Rev. 99: 591-594.

Fonagy P. (2003). Genetics, developmental psychopathology, and psychoanalytic theory: The case for ending our (not so) splendid isolation. Psychoanal.Inquiry, 23 (2). 218-247.

Merciai S. A., Cannella B. (2009). La psicoanalisi nelle terre di confine. R. Cortina, Milano.

Merciai S. A., Cannella B. (2013). Il contributo delle neuroscienze al pensiero psicoanalitico. In Psicoanalisi senza teoria freudiana. Riflessioni da un congresso (a cura di A. Imbasciati). Borla, Roma.

Merciai S. A. (2014). Cavarsela alla meno peggio. Psicoanalisi e neuroscienze. In Neuroscienze e teoria psicoanalitica. Verso una teoria integrata del funzionamento mentale (a cura di L. Cena e A. Imbasciati), Springer, Milano.

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