La Ricerca

Mattana G.(2016b). Il Sé fra Psicoanalisi e Neuroscienze

30/11/16

Giornata Nazionale di Studio del Gruppo di Ricerca Psicoanalisi e Neuroscienze, Roma 26 Nov 2016

 

Tavola Rotonda  –   La clinica psicoanalitica: plasticità neurobiologica, trasformazioni psichiche. Il ruolo delle diverse forme di memoria, con T.Giacolini, A.Iannitelli, G.Mattana, M.Ponsi, R.Spagnolo

 

Mattana G.(2016b). Il Sé fra Psicoanalisi e Neuroscienze

 

I rapporti fra la psicoanalisi e le neuroscienze vanno a mio avviso inquadrati all’interno di una visione complessa, articolata e pluralista dei livelli di descrizione della realtà, rinunciando all’idea della verità ultima e della spiegazione definitiva, accettando la molteplicità degli approcci e dei punti di vista, in una prospettiva idealmente vicina al «realismo interno» teorizzato da Putnam (1987, 1990), filosofo e logico contemporaneo recentemente scomparso. Al centro di tale approccio epistemologico, che implica il lutto della verità ultima e della spiegazione definitiva, è la complessità delle relazioni fra discipline diverse e l’esistenza di criteri di validazione specifici per ognuna di esse, essendo ognuna dotata di un suo sistema concettuale, linguistico e operativo, adeguato alla conoscenza del proprio oggetto d’indagine e irriducibile a quello di altre. E’ fondamentale, per la psicoanalisi, conoscere le basi materiali della mente, la complessità della struttura che la realizza, che non può da essa venire colta direttamente, collocandosi essa a un livello descrittivo diverso, e sapere che tale livello non è né l’unico né l’ultimo, pena il ricadere in uno spiritualismo sine materia empiricamente e logicamente insostenibile. Del pari, il livello descrittivo della psicoanalisi non può essere direttamente colto dall’indagine neuroscientifica: per conoscere la personalità di un individuo non c’è altra via che osservarlo e/o interagire con lui, a livello comune o all’interno di un setting analitico. Osservarne con tecniche di neuroimmagine la funzione cerebrale, accrescerà di sicuro la conoscenza delle basi materiali della sua mente, ma le caratteristiche di quest’ultima saranno comunque individuate con criteri indipendenti dall’indagine neuroscientifica.

Illustrerò tale punto di vista in relazione alla tesi della «dissoluzione» del soggetto, ritenuta da alcuni autori la logica conseguenza della sempre più approfondita conoscenza della struttura e del funzionamento del cervello. Secondo questo punto di vista, il Sé e l’Io, termini che in questo contesto, come peraltro in molta letteratura psicoanalitica e non, uso come sinonimi ed equivalenti a quello di soggetto, a livello cerebrale si «dissolverebbero», sostituiti da moduli, strutture e circuiti altamente specializzati, spesso largamente autonomi e indipendenti, operanti in maniera parallela e distribuita. Intendo qui riferirmi, prima ancora che a quello che Damasio (2010) chiama «Sé autobiografico», a quel «Sé nucleare» che ne fornisce la base e il presupposto, a quel senso minimale del Sé, che è quello per cui viviamo le nostre esperienze come nostre. Si potrebbe, semplificandolo molto, usare il termine kantiano di «Io penso» o «unità trascendentale dell’appercezione», per indicare quella «forma della soggettività», che consiste nella presenza continua di un «punto di vista», che unifica e ci fa vivere come inerenti a noi le nostre esperienze. E’ bene precisare che tale critica radicale alla nozione di soggetto, poco o nulla ha a che fare con la scoperta psicoanalitica della dimensione inconscia della soggettività, con l’affermazione del carattere composito e non auto-trasparente dell’Io, con la presenza di intenzioni che sfuggono alla volontà consapevole del soggetto. La psicoanalisi, infatti, tratta sempre e comunque di un soggetto; anzi, potremmo dire che essa inizia, e finisce, là dove si dà un soggetto, per quanto incompleto, patologico o dissociato esso possa essere. E’ il soggetto in quanto tale, invece, che è qui in discussione, è l’esistenza di un «proprietario» degli stati mentali, cui questi ultimi ineriscono in maniera essenziale, che viene negata, anche nel caso di quegli «stati multipli» del Sé, che sono teorizzati da alcuni autori e che implicano pur sempre un soggetto, in quanto «stati» di quest’ultimo o su diverse modalità e articolazioni.     

Massimo rappresentante del «nichilismo» verso il soggetto è Dennett (1991), filosofo della mente particolarmente vicino, soprattutto negli ultimi anni, alle neuroscienze. Dennett, sebbene non sia primariamente e programmaticamente un riduzionista, si avvicina, per quanto riguarda il Sé, a quella forma radicale di materialismo che è l’eliminativismo, sostenuto in un primo tempo con argomenti logico-concettuali da Rorty (1970) e Feyerabend (1963), e successivamente con argomenti empirici, fondati sulla ricerca neuroscientifica, dai coniugi Churchland (1989, 1992). Ecco il brano unanimemente considerato più rappresentativo della dissoluzione dennettiana dell’Io: «Nel nostro cervello c’è un’aggregazione un po’ abborracciata di circuiti cerebrali specializzati, che, grazie a svariate abitudini indotte in parte dalla cultura e in parte dall’autoesplorazione individuale, lavorano insieme alla produzione più o meno ordinata, più o meno efficiente, più o meno ben progettata di una macchina virtuale, la macchina joyciana. (…) Questa macchina virtuale, questo software del cervello (…) crea un comandante virtuale dell’equipaggio (…)» (1991, p. 256). Così commenta il filosofo Di Francesco (2002): «Dennett nega quindi che una parte più profonda della mente (il sé centrale) osservi, apprenda e riferisca qualcosa dei contenuti di un’altra parte (…) Il “comandante” dunque non sarebbe un individuo unitario (…) L’illusione di una continuità e coerenza di questo soggetto virtuale deriverebbe da una particolarità della nostra specie, quella di “tessere”, “filare” ma anche “secernere” (to spin) un sé (…) noi non siamo i produttori, ma il prodotto di queste storie» (pp. 229-230).  

All’eliminazione dennettiana del soggetto fa eco il neuroscienziato Gazzaniga (1998), il quale afferma provocatoriamente che «la psicologia di per sé è morta» (p. 21), nel senso che l’eventuale non corrispondenza punto a punto fra la psicologia e le neuroscienze, imporrebbe l’«eliminazione» dei concetti psicologici che non trovano riscontro nella realtà cerebrale. Gazzaniga propone l’ipotesi, peraltro molto controversa, dell’«interprete», un meccanismo automatico e inconscio presente nell’emisfero sinistro, che creerebbe l’illusione di un soggetto protagonista e agente della sua biografia, dissolvendo così una delle nozioni fondamentali della visione dell’uomo radicata nella nostra cultura. «Esista o meno l’interprete – dice Di Francesco – (2002) ciò che conta è la morale eliminativistica che Gazzaniga trae dalla scoperta che il cervello non è un sistema omogeneo, ma è invece composto da centri specializzati (dedicati a linguaggio, visione, movimento, sensibilità, ecc.) a loro volta suddivisi in una miriade di “agenzie” che presiedono allo svolgimento di compiti sempre più specifici (dal riconoscimento dei volti, alla distinzione tra animato e inanimato, al calcolo della grandezza relativa degli oggetti, al recupero dei ricordi infantili e così via)» (pp. 233-234). Sono possibili, naturalmente, fenomeni di integrazione, ma anch’essi sono affidati a moduli e circuiti largamente autonomi e indipendenti. «A questo punto – continua Di Francesco -, se cediamo alla tentazione di identificare la persona con il suo cervello (o, se si vuole, di ricercare la riduzione delle proprietà mentali che usiamo per descrivere le persone ai loro correlati neuronali), è facile comprendere come si giunga ad esiti eliminativistici» (p. 234).  

Quanto poi alle ipotesi sulle fonti cerebrali del Sé, è bene precisare che esse, da quelle di Damasio (2010) a quelle di Northoff (2004, 2008), nella misura in cui pretendono di identificare il Sé con una precisa struttura o meccanismo cerebrale, aderendo all’idea in base alla quale esso sarebbe il Sé e il Sé non sarebbe altro che tale struttura o meccanismo, si espongono, perlomeno, a due classiche obiezioni. La prima contrappone «cartesianamente» il carattere inesteso, unitario e indivisibile dell’esperienza soggettiva in prima persona, a quello spazialmente esteso, composito e conseguentemente divisibile della sua base materiale. Tale contrapposizione è particolarmente evidente in Damasio, che nega a più riprese che vi sia un centro del Sé a livello cerebrale, attribuendone l’origine a una complessa interazione di strutture sottocorticali e corticali, ma riguarda anche la struttura di base del Sé ipotizzata da Northoff, in quanto spazialmente estesa, composita e divisibile. La seconda obiezione, che fa perno sulla fallacia dell’homunculus, denunciata anche da Damasio (2010), può essere illustrata da un’interpretazione riduzionista della struttura individuata da Northoff – il sistema delle Cortical Midline Structures (CMS) incluso nel Default Mode Network (DMN) -, ovvero dalla tesi che essa sia il Sé (o una sua parte centrale) e che il Sé non sia altro che tale struttura. Il problema è che la spiegazione di come questa struttura, questa sorta di «soggetto nel soggetto» o homunculus, possa «leggere» le varie afferenze che la caratterizzano, presuppone al suo interno un’altra struttura, un altro «lettore» o homunculus che svolga tale funzione, e così via all’infinito. Come sottolinea Damasio (2010), ammonendo a non identificare il Sé con una zona specifica del cervello, il processo che porta alla costituzione del soggetto è bottom-up, non esistendo nel cervello un luogo privilegiato, sorta di materialistica versione della ghiandola pineale cartesiana, ove si annida il soggetto, intento a scrutare l’informazione che vi converge e a pianificare il comportamento.

Il Sé, secondo la lettura che qui propongo, corrisponde dunque a un livello di descrizione dell’umano diverso da quello delle neuroscienze, anche se con esso in complessa, problematica e necessaria relazione. Viceversa, il desiderio di trovare la verità ultima e la spiegazione definitiva, il desiderio di saturare  positivisticamente la domanda su cosa sia il Sé, identificandolo con una determinata realtà cerebrale, si espone a dubbi e paradossi come quelli che ho sommariamente illustrato. Il Sé, nella prospettiva che suggerisco, è una realtà psicologica, cardine della visione ordinaria di noi stessi come soggetti dotati di stati mentali e presupposto irrinunciabile della psicoanalisi, che condivide con la psicologia del senso comune l’assunto dell’esistenza di un soggetto, per quanto scisso o «multiplo» esso possa essere. A meno di impegnarsi in una molto problematica ontologia di stati mentali senza soggetto, gli affetti, i desideri e le fantasie indagati dalla psicoanalisi presuppongono sempre e comunque un soggetto, sono sempre affetti, desideri e fantasie di qualcuno. Da questo punto di vista, se le neuroscienze devono rinunciare all’ideale positivistico della verità ultima e della spiegazione definitiva, accettando livelli descrittivi diversi e irriducibili, o non facilmente riducibili, a quello della realtà cerebrale, la psicoanalisi deve a sua volta accettare la relatività del proprio punto di vista, ammettendo che, almeno secondo certe letture della realtà neurobiologica, il soggetto di cui essa parla letteralmente non esiste. Ciò non significa che esso sia un’«illusione» o un «effetto di superficie», poiché non trova riscontro, o pieno riscontro, a livello delle basi materiali della nostra realtà mentale, ma semplicemente che si situa a un livello di descrizione – alcuni direbbero a un livello «ermeneutico» – diverso, che sarebbe indebito reificare e assolutizzare.   

E’ una conclusione relativistica? Non necessariamente, poiché accettare l’esistenza di ambiti disciplinari diversi, di livelli di descrizione diversi, di modalità diverse di costruzione e controllo del sapere, non significa che non siano possibili rapporti interdisciplinari reciprocamente utili e fecondi. A condizione, tuttavia, che il confronto sia rispettoso delle diverse identità e specificità, cosa difficilmente realizzabile se si muove dal presupposto che vi sia una disciplina caratterizzata da un sapere più vero di quello dell’altra. Tale assunto è chiaramente espresso dal materialismo eliminativo di Paul Churchland (1989):  «(…) la concezione che comunemente abbiamo dei fenomeni psicologici costituisce una teoria radicalmente falsa – una teoria così manchevole che sia i suoi principi sia la sua ontologia finiranno per essere soppiantati, invece di essere progressivamente ridotti, una volta che le neuroscienze saranno state completamente sviluppate. La nostra reciproca comprensione e persino la nostra introspezione potranno allora essere ricostruite all’interno della cornice concettuale delle neuroscienze, ovvero di una teoria che, secondo quanto possiamo attenderci, sarà di gran lunga più potente della psicologia del senso comune che verrà a sostituire e, in generale, più sostanzialmente integrata con la scienza fisica» (p. 29).

La relazione fra due ambiti disciplinari distinti non può certo essere all’insegna della subordinazione ontologica e metodologica dell’uno all’altro, poiché in questo caso non di relazione si tratterebbe, ma di assimilazione o di sostituzione. Viceversa, in una prospettiva pluralista, l’influenza fra due discipline limitrofe non può che essere reciproca, come del resto avviene abitualmente nell’ambito della neuroscienza cognitiva, dove l’assegnazione a determinate aree cerebrali di una specifica funzione psicologica contribuisce in maniera determinante all’individuazione delle stesse, mentre la conoscenza dei meccanismi cerebrali che consentono la realizzazione di una determinata funzione mentale permette di approfondirne in maniera significativa la conoscenza. Così si esprimono in proposito i filosofi della mente Marraffa e Paternoster (2012): «I sostenitori di un’impostazione pluralistica (…) rivendicano la natura causale ed esplicativa delle entità appartenenti ai livelli più alti. Ossia essi negano l’esistenza di un livello fondamentale di spiegazione e asseriscono che le entità dei livelli più alti continuano a svolgere un ruolo causale ed esplicativo anche quando si sono approntate le spiegazioni di livello più profondo. Nell’ottica pluralista, il difetto più grave della visione riduzionista della relazione fra i livelli inferiori e quelli superiori è il suo carattere unidirezionale: nel caso in cui non sia possibile istituire una chiara corrispondenza fra una categoria psicologica e una categoria neurobiologica, la psicologia è la sola imputabile del fallimento. L’ottica pluralistica è invece bidirezionale: la psicologia dovrebbe essere sottoposta a revisione alla luce delle scoperte della neuroscienza, e viceversa» (pp. 84-85). Applicando tale prospettiva alla relazione fra la psicoanalisi le neuroscienze, qualora concetti di livello «alto» come quello di rimozione o di fantasia inconscia, tanto per fare degli esempi, non dovessero trovare riscontro al livello «base» indagato dalle neuroscienze, ciò non comporterebbe ipso facto l’abolizione dei primi, quanto piuttosto un incremento della ricerca. Ciò, tuttavia, non in vista del conseguimento della verità ultima, unica e definitiva, che non potrebbe che coincidere con la riduzione di una disciplina all’altra, o eventualmente con la sua eliminazione a favore dell’altra, ma della co-evoluzione di entrambe, nel quadro di una concezione complessa e pluralista dei livelli di descrizione del reale.

Bibliografia

Churchland P. M. (1989). La natura della mente e la struttura della scienza. Bologna, Il Mulino, 1992.

Churchland P., Sejnowski T. (1992). Il cervello computazionale. Bologna, Il Mulino, 1995.

Damasio A. (2010). Il sé viene alla mente. Milano, Adelphi, 2013.

Dennett D. C. (1991). Coscienza. Milano, Rizzoli, 1993.

Di Francesco M. (2002). Introduzione alla filosofia della mente. Roma, Carocci.

Feyerabend P. K. (1963). Materialism and the mind body problem. The review of metaphysics, 17, pp. 49-57, ristampato in Borst C. V. (1970) (a cura di), The mind/brain identity theory, New York, Macmillan.

Gazzaniga M. S. (1998). La mente inventata. Le basi biologiche dell’identità e della coscienza. Milano, Guerini e Associati, 1999. Milano, Mondadori.

Marraffa M., Paternoster A. (2012). Persone, menti, cervelli. Storia, metodi e modelli delle scienze della mente.

Northoff G., Bermpohl F. (2004). Cortical midline structures and the self. Trends in cognitive sciences, 8, pp. 102-107. 

Northoff G., Panksepp J. (2008). The trans-species concept of self and the subcortical-cortical midline system. Trends in cognitive sciences, 12, pp. 259-264.

Putnam H. (1987). La sfida del realismo. Milano, Garzanti, 1991.

Rorty R. (1970). Mind-body identity, privacy, categories. The review of metaphysics, 24, pp. 24-54.

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