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La neurofilosofia e la mente sana di G. Northoff. Recensione di M. Antoncecchi

30/06/20
La neurofilosofia e la mente sana di G. Northoff. Recensione di M. Antoncecchi

La neurofilosofia e la mente sana di G. Northoff. Recensione di M. Antoncecchi

George Northoff

La neurofilosofia e la mente sana

Imparare dal cervello malato

Raffaello Cortina Edizioni

Milano 2019

Recensione Maria Antoncecchi

Ritornare all’origine delle neuroscienze per studiare il cervello malato, alla ricerca d’indizi che ci possano ricondurre a una mente sana” (p. 3) è l’obiettivo che George Northoff si propone in questo interessante volume dal titolo ” La neurofilosofia e la mente sana” consapevole di operare un coraggioso capovolgimento dell’approccio dello studio del cervello e delle sue caratteristiche mentali. Attualmente le neuroscienze  studiano e comprendono come il cervello opera e funziona ma non sanno ancora spiegare come dall’attività neuronale si producano aspetti mentali come la coscienza, il senso di Sé e le emozioni. E’ stata la filosofia per prima a descrivere le caratteristiche mentali e a interrogarsi sul rapporto mente-cervello. Northoff, filosofo, neuroscienziato e psichiatra, parte dai filosofi del passato come Cartesio, Hume e Kant per arrivare ai filosofi attuali come Nagel e Searle con l’intento di correlare i concetti mentali con i dati neuroscientifici. L’intenzione dell’Autore è quella di costruire un ponte che colleghi la neuroimaging agli stati mentali partendo dallo studio del funzionamento del cervello di persone con disturbi neurologici e psichiatrici. I pazienti caratterizzati da perdita di coscienza e da alterazioni del Sé o dell’identità possono rivelarsi utili per comprendere i meccanismi che sono alla base del funzionamento mentale. George Northoff sembra voler esplorare, attraverso gli aspetti patologici, i confini tra neuroscienze, filosofia e clinica. Un progetto audace e ricco di spunti interessanti che si inoltra in un territorio sconosciuto e accidentato  ma che ha il merito di rafforzare l’idea della natura relazionale dello sviluppo psichico e di un Sé profondamente radicato nel suo ambiente.

La neurofilosofia e la mente sana di G. Northoff. Recensione di M. Antoncecchi 1Le neuroscienze cognitive hanno portato avanti due visioni contrastanti sul cervello e sulle sue funzioni. La prima, che ha caratterizzato la maggior parte della ricerca sperimentale, ritiene che il cervello sia sostanzialmente riflessivo e che la sua attività sia determinata dalle richieste ambientali; la seconda sostiene che l’attività del cervello sia essenzialmente  intrinseca  e sia implicata nel mantenimento delle informazioni, nell’interpretazione e nella risposta degli stimoli ambientali.  Da circa vent’anni questa seconda prospettiva sta trovando ampio spazio nella ricerca sullo stato di riposo del cervello a partire dagli studi di Raichle e col. (2009) che, attraverso le tecniche di imaging funzionale, ha  dimostrato che il cervello è attivo anche quando è in “stato di riposo” (ovvero in assenza di compiti espliciti). Un filone di ricerca che si discosta dai modelli del cervello in larga parte presenti all’interno delle neuroscienze cognitive e che apre importanti implicazioni nello sviluppo della concettualizzazione del Sé e della soggettività. L’attività dello stato di riposo, infatti, sembra esercitare il suo impatto non solo sull’attività indotta dallo stimolo ma anche sul resto delle funzioni sensoriali, motorie, cognitive e affettive. Un’attività intrinseca del cervello che sembra funzionare come una matrice sempre attiva, intrinsecamente creativa e proiettata verso il futuro. Un’ipotesi che trova una corrispondenza con altre discipline come i modelli operativi interni della teoria dell’attaccamento di Bowlby e i suoi sviluppi, la regolazione degli affetti (le ricerche sull’emisfero destro di Schore) e l’area psicoanalitica che si è occupata dell’inconscio non rimosso evidenziando l’importanza della dimensione emotiva e non verbale.  Come sottolinea Northoff senza l’attività di riposo nessuna caratteristica mentale può essere introdotta e costruita “allo stesso modo in cui senza un pavimento nessun mobile può essere portato nella stanza” (p. 27).

 

Ma quali sono le teorie sul funzionamento cerebrale? Gerald Edelman, neuroscienziato americano che ha vinto il Premio Nobel per le scoperte sul sistema immunitario, considera l’elaborazione ciclica dell’organizzazione neuronale del cervello come un aspetto fondamentale della coscienza. (Edelman 2003, 2004) Secondo l’autore, uno stesso stimolo viene più volte processato, elaborato ed integrato con altri stimoli in un processo circolare che attraversa diverse regioni del cervello in un circuito a feedback. Nei pazienti in stato vegetativo è stato rilevato che il cervello è in grado di elaborare singoli stimoli ma senza un lavoro globale a causa di una ridotta attività cerebrale. Giulio Tononi, ricercatore italiano, allievo di Edelman, ha sviluppato la teoria dell’informazione integrata (Integration Information Theory o IIT). Secondo Tononi, il grado di collegamento e integrazione delle informazioni è correlato all’aumento della connettività funzionale delle diverse regioni cerebrali ed è determinante per l’elaborazione della coscienza. Nei disturbi della coscienza, come lo stato vegetativo o le variazioni naturali che si verificano durante il sonno o nella anestesia, si evidenzia una ridotta connettività funzionale in tutto il cervello in particolare nelle connessioni talamo-corticali. I neuroscienziati Baars (2005) e Dehaene (Dehaene, Changeux, 2011) ipotizzano che la distinzione tra lo stato di coscienza e di non coscienza risieda nella differente distribuzione, locale o globale, dell’attività neurale. Secondo questa teoria (teoria del lavoro neuronale globale) lo stimolo è elaborato localmente in varie regioni del cervello per raggiungere la corteccia prefrontale e parietale che, in base al loro livello di attività, determinerà la globalizzazione dello stimolo in tutto il cervello. “Secondo questa teoria la globalizzazione equivale alla coscienza mentre la mancanza di globalizzazione determina l’assenza di coscienza, con la semplice elaborazione inconscia o preconscia dello stimolo in atto” (p.42).I pazienti in stato vegetativo (SV) mostrano una diminuzione della connettività funzionale e una minore variabilità dell’attività neurale dell’attività dello stato di riposo che influisce sul livello di coscienza. E’ stato dimostrato come il livello dell’attività, precedente allo stimolo, dello stato di riposo sembra essere determinante per l’elaborazione degli stimoli “self-specific”. Inoltre il sistema nervoso organizza l’esperienza in schemi spazio-temporali che vanno a costituire una griglia all’interno dell’attività intrinseca (Lasheley, 1949). L’attività intrinseca del cervello e la sua struttura spazio-temporale, secondo l’Autore, diventano la forma della coscienza rendendo possibile la trasformazione dell’attività neuronale a stato mentale. Northoff cerca di costruire un modello che integra le ricerche empiriche sul cervello e le spiegazioni che la filosofia ha fornito riguardo alla coscienza intesa  come  una funzione di ordine superiore o derivata dalle funzioni senso motorie. Questa visione di un’attività mentale, continua e indipendente  dalle funzioni senso-motorie e cognitive,  che organizza ed elabora gli stimoli sembra avvicinarsi al concetto di  “funzione alfa” di Bion (1972).Un’attività mentale capace di trasformare le esperienze sensoriali dell’esperienza emotiva (elementi beta) in contenuti psichici (elementi alfa) e di  immagazzinare l’esperienza sia al di fuori della consapevolezza che in modo conscio.

 

Numerose sono le ricerche neuroscientifiche che portano a pensare che l’attività intrinseca del cervello sia la condizione neuronale necessaria e sufficiente per una possibile nascita della coscienza. Il gruppo di ricerca di Northoff (Haung et al, 2014,2016;Quin, Northoff 2011) ha condotto uno studio sui pazienti in SV utilizzando stimoli autobiografici anziché stimoli cognitivi.  Le ricerche hanno mostrato che ci sono regioni del cervello che si attivano non solo con stimoli cognitivi (Owen et al.,2006) ma sono in grado di differenziare stimoli  autobiografici (self-specific) come ad esempio il nome proprio o altri eventi collegati alla loro vita rispetto a quelli non autoreferenziati (non-self). Una distinzione fondamentale per la costruzione della specificità del Sé senza la quale non può esistere la coscienza. Anche gli studi sulla memoria hanno osservato il self-reference effect (SRE) cioè ricordiamo meglio gli oggetti di cui abbiamo fatto esperienza rispetto a quelli che non sentiamo correlati a noi. L’introduzione di tecniche di imaging funzionale (fMRI) ha consentito di confrontare gli stimoli self-specif , gli stimoli non-self e le regioni alle quali questi stimoli rispondono. Si è evidenziato che le strutture corticali mediali (CMS) sono fondamentali per distinguere gli stimoli self-specific da quelli non-self. La loro attività sembra avere una funzione determinante nel processo della soggettività. Una scoperta che, secondo Northoff, “apre le porte della soggettività o del Sé alle neuroscienze”(p.63).  L’importanza delle regioni mediane si estende al contesto socio-ambientale: alcuni studi, condotti  per indagare le interazioni tra il Sé, gli altri (come ad esempio la capacità di comprendere i pensieri altrui) e lo stato di riposo, hanno portato alla scoperta  che le regioni del cervello connesse al Sé sono connesse con le regioni che collegano il Sé agli altri. Il cervello e le CMS codificano gli stimoli all’interno del contesto socio-ambientale. Dal punto di vista neuroscientifico significa che “ il cervello e in particolare le CMS sono intrinsecamente sociali”(p.65). Esplorando la relazione tra il Sé e lo stato di riposo, i ricercatori hanno osservato un’assenza di cambiamento dei livelli di attività dello stato di riposo durante l’elaborazione di stimoli self–related. Questo dato porta a ritenere che l’attività intrinseca del cervello “conosca il Sé”. Una traccia di soggettività che si sovrappone allo stato di riposo e alla sua attività spontanea e che fa ipotizzare che il Sé derivi da un processo continuo di strutturazione e organizzazione della relazione tra cervello, corpo e ambiente. Un’ipotesi che vede l’attività spontanea del cervello “intrinsecamente neurosociale” e che fa ipotizzare che negli stati vegetativi ci sia uno scollegamento tra il cervello, il corpo e l’ambiente con la conseguente perdita di coscienza.

 

A partire da questa prospettiva di un Sé intrinsecamente relazionale che George Northoff volge lo sguardo ai disturbi psichiatrici.  Il Sé dei pazienti depressi è caratterizzato da un’ alterazione dell’equilibrio tra il Sé e l’ambiente. Un minore “embeddedness” (p.92) che ci mostra un Sé isolato e scollegato dall’ambiente che lo circonda. Le osservazioni sul paziente depresso mostrano, infatti, un incremento del focus interno (self-focus) in quanto  l’attenzione è  maggiormente rivolta verso se stessi piuttosto che verso gli altri e un incremento dell’attenzione sul corpo ( focus-corporeo) che si traduce nella percezione soggettiva di sintomi corporei diffusi. A questi due focus è correlata una riduzione importante dell’attenzione nei confronti degli altri e dell’ambiente (focus-ambientale). Questo significa che nella depressione l’attenzione della persona è spostata verso il Sé a scapito delle sue percezioni e delle sue relazioni con l’ambiente. I dati raccolti, attraverso gli studi di imaging cerebrale, sulla depressione focalizzati sull’attività di riposo, hanno riportato un’ iperattività in diverse regioni della linea mediana che spiega l’aumento del focus interno e un’ ipoattività delle regioni laterali che testimonia il decremento del focus ambientale.

In breve i risultati emersi da queste e altre ricerche esposte nel volume ci descrivono un rapporto tra Sé, corpo e ambiente di dipendenza reciproca. Si tratta di un rapporto di equilibrio reciproco che nei pazienti depressi è evidentemente alterato e a cui corrisponde uno squilibrio neuronale nell’attività dello stato di riposo tra la linea mediana e le regioni laterali. Un’osservazione che porta a ipotizzare un flusso continuo, spazio-temporale, tra cervello corpo e ambiente che ci descrive un Sé profondamente radicato nel suo contesto: “le anomalie dello stato di riposo comportano anomalie tra cervello corpo e ambiente”(p.94) .

L’autore si interroga sulla natura dei sentimenti e sull’esperienza soggettiva delle emozioni attraverso i quali l’essere umano si connette al mondo. Nei modelli neuroscientifici i sentimenti sembrano essere collegati al corpo e alle funzioni senso-motorie. Per Damasio (2010) il processo per l’elaborazione dell’emozioni e dei sentimenti avviene in due fasi. Nella prima fase l’attività neurale elabora gli input provenienti dal corpo a livello inconscio mentre in una seconda fase avviene un ri-processamento dell’emozione da parte di altre strutture neurali  che danno origine a un “ sentimento emotivo”. Panksepp (2011) invece ritiene che i sentimenti emotivi derivino da un collegamento diretto tra gli input provenienti dal corpo e dall’ambiente con le funzioni sensomotorie. Un modello che vede “qualsiasi attività neurale nel cervello e il suo processamento degli input sensoriali provenienti dal mondo e dal corpo sempre associati a un sentimento”(p.103).Il neuroscienziato Bud Craig (2010) ha sottolineato l’importanza dell’insula nel costruire l’immagine mentale del proprio stato fisico, quel sentimento emotivo che definisce “material me.”  Le ricerche presentate nel volume di Northoff mostrano come il ruolo dell’insula sia fondamentale nel mantenere un equilibrio tra gli input interocettivi ed esterocettivi. Secondo l’Autore il nostro cervello non processa gli stimoli interocettivi provenienti dal corpo in modo indipendente dagli stimoli esterocettivi provenienti dall’ambiente. La ricerca sperimentale (Medford, Critchley,2010; Wiebking et al.,2014)ha infatti evidenziato il ruolo dell’insula nell’elaborazione degli stimoli interocettivi e nel mantenere un equilibrio tra gli stimoli  interocettivi e quelli ambientali. L’attività dell’insula sembra avere la funzione di un“interfaccia tra corpo e ambiente”(pag108).

Un esempio paradigmatico di “disconnessione sociale” è la schizofrenia. Northoff, come per la depressione, dedica un intero capitolo a questo grave disturbo psichiatrico. La persona schizofrenica si sente inondata di informazioni sensoriali che il suo cervello non riesce più a filtrare e a incanalare. Gli stimoli provenienti dall’ambiente e gli stimoli interni sono confusi e mescolati.  L’attività intrinseca del cervello, che struttura e organizza gli input proveniente dal mondo in termini spaziali e temporali, sembra non svolgere più la sua funzione e  i confini tra mondo e cervello sono labili o assenti. La formazione di deliri che caratterizzano le persone schizofreniche riflettono un distacco tra il Sé e l’ambiente circonstante. Attraverso le tecniche di imaging cerebrale (Northoff,2014) si è potuto constare un’attività anomala elevata dello stato di riposo nella corteccia uditiva e una difficoltà a modulare la sua attività in presenza di uno stimolo esterno. Inoltre uno studio di Whitfield-Gabrieli et al. (2009),esaminando le regioni mediane del cervello, hanno osservato una ridotta capacità di cambiamento nello stato di riposo in risposta agli stimoli estrinseci rispetto ai soggetti sani. Gli stessi soggetti presentavano un’iperconnettività funzionale correlata a sintomi allucinatori e deliranti. È stata anche evidenziata un’anormale connettività funzionale della linea mediana che sappiamo essere implicata nell’elaborazione degli stimoli self-specific (Holt et al, 2011). Particolarmente significative, secondo Northoff, sono le ricerche svolte sui pazienti schizofrenici e sulle fluttuazioni  in alcune frequenze temporali  (Hoptam et al.,2010) le cui alterazioni, nelle aree mediali, potrebbero consentire il collegamento di eventi o stimoli solitamente separati tra loro. I risultati di questi studi portano a ritenere che ci sia  un’anomalia nella struttura spazio-temporale dello stato di riposo che condiziona la risposta degli stimoli provenienti dall’ambiente. Alla luce di queste ricerche, Northoff ritiene che si possa ipotizzare nella schizofrenia l’interruzione dell’allineamento reciproco tra le strutture spazio-temporali degli stimoli ambientali e quelle dello stato di riposo rendendo impossibile per le persone schizofreniche la distinzione tra gli stimoli self specific e quelli ambientali.  “ Il cervello e il suo stato di riposo perdono la connessione con il mondo e cambiano la loro attività indipendentemente da ciò che sta accadendo nel mondo“(p.136).In questo modo gli schizofrenici si ritrovano a vivere in un mondo confuso e caotico che cercano di riorganizzare attraverso ricostruzioni deliranti che hanno lo scopo di compensare la mancanza di senso.  Questo disturbo profondo del Sé e dell’identità sembra scaturire, secondo l’ipotesi dell’Autore, da un disturbo spazio-temporale.

 

A partire dai disturbi dell’identità, Northoff, nell’ultimo capitolo, si pone il tema della continuità temporale del Sé: “ Siamo soggetti al tempo a e al suo flusso continuo; tutto cambia intorno a noi: i nostri corpi, i nostri ambienti, i nostri pensieri.(…)I neuroscienziati hanno scoperto che anche il cervello stesso e la sua attività nello di riposo non sono mai gli stessi”(p.144). Eppure  la nostra identità rimane stabile nel tempo. Sappiamo che lo stato di riposo codifica gli eventi della vita nella sua attività neurale e memorizza informazioni.  Uno studio ha mostrato come il grado di connettività funzionale e di entropia nello stato di riposo è correlato al grado di stress/ traumaticità degli eventi di vita della persona: maggiore è la presenza di eventi stressanti vissuti durante l’infanzia più elevata è la connettività funzionale e il livello di entropia tra amigdala e l’area corticale mediana.  Le regioni della linea mediana, implicate nell’elaborazione self-related, sono in continuo cambiamento e sono la parte più dinamica del nostro cervello nel collegamento con altre regioni.(de Pasquale e col.,2012). Ciò che i filosofi definiscono l’identità personale sembra basarsi sull’alto grado di variabilità e cambiamento delle regioni mediane. La continuità temporale del Sé è garantita da una discontinuità neuronale. Nella schizofrenia, i pazienti perdono la propria identità e le ricerche mostrano come la mancanza di continuità temporale sia collegata all’impossibilità di integrare e organizzare gli stimoli temporalmente da parte dello stato di riposo compromettendo il senso di continuità. Il cervello sano, invece, grazie all’attività del suo stato di riposo,  costruisce il suo tempo in linea con il tempo del mondo dando al Sé un senso di continuità su cui  si fonda l’identità personale. “ Grazie al cervello siamo nel tempo del mondo e possiamo sperimentare la continuità di noi stessi nel tempo e della nostra identità personale” (p. 169). Per Northoff il cervello e il suo stato di riposo, da lui definito “il mondo interiore del cervello”, (p.20) con la sua struttura spazio-temporale sono il crocevia di una visione che ambisce a trovare una chiave di lettura che possa integrare spiegazioni filosofiche, cliniche e neuroscientifiche della mente e del cervello. Un tentativo apprezzabile e interessante che apre interrogativi anziché chiuderli ma che ha il merito di mostrarci la complessità del problema e delle zone sconosciute che sono ancora da scoprire.

 

George Northoff neuroscienziato, filosofo e psichiatra, insegna all’Institute of Mental Health Research dell’Università di Ottawa

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