La Ricerca

Illusione

20/09/13

A cura di Almatea Kluzer Usuelli

“Illusione” (dal latino illudere : deridere, farsi beffe, scherzare), é “ogni errore dei sensi o della mente che falsi la realtà” (Lessico Universale Italiano).

Nella letteratura psicoanalitica il termine illusione ha mantenuto fino ad un certo punto la medesima connotazione e il valore eminentemente negativo che gli é attribuito nel linguaggio comune, in contrapposizione con ‘realtà’ ‘verità’ e simili.

Nel saggio “L’avvenire di un’Illusione” Freud esamina il fenomeno religioso in rapporto all’impotenza infantile. L’illusione, che costituisce il fondamento delle credenze religiose, permetterebbe di soddisfare il bisogno di protezione da parte di una figura paterna. Il suo perdurare nell’età adulta è  visto come un segno di infantilismo . Anche se “la voce dell’intelletto é fioca, essa non ha pace finché non ottiene udienza.. E questo é uno dei pochi punti che consentano un certo ottimismo per l’avvenire dell’umanità. . . a lungo andare nulla può resistere alla ragione ” (L’avvenire di un’illusione,p.482)

Winnicott ha dato una connotazione nuova al termine illusione, promuovendolo a concetto fondamentale nella teoria e nella pratica psicanalitica. Secondo questo Autore il soggetto e l’oggetto nascono, differenziandosi progressivamente, dalla coppia madre-bambino, nell’ambito dell’area transizionale, attraverso la creazione di una serie di oggetti: transizionali, appunto, in quanto si collocano in una zona di passaggio tra bambino e mamma, tra quello che diventerà l’Io e il non io, il Soggetto e l’Oggetto, il mondo interno e il mondo esterno ecc.

Immaginiamo quest’area all’inizio come un’impercettibile fessura: mamma e bambino costituiscono un’unità, le cure materne si adeguano ai bisogni del bambino in modo tale da creare in lui un’illusione di completezza, di onnipotenza magica.

Le inevitabili imperfezioni delle cure materne, fatte di ritardi, di inadeguatezza, di distrazioni, confluiscono nell’esperienza della separazione e provocano in lui una graduale percezione dei propri limiti, dei propri confini.

Quest’evoluzione può avvenire in modo non traumatico, quando l’impercettibile fessura dell’inizio si allarga, diventando uno spazio sempre più vasto, popolato di oggetti transizionali, rappresentanti simbolici dell’unità primitiva, intermediari tra io e non io.

In questi oggetti si materializza l’illusione (fondata sull’esperienza del rapporto con la “madre sufficientemente buona”) della congruenza tra sé e  mondo esterno. In quest’area perdura la fiducia, l’illusione che l’oggetto, l’Altro, pur separato dal soggetto, corrisponda ai suoi bisogni,alle sue aspettative, sia predisposto a ciò, e che tutto quanto ci circonda si disponga intorno a noi con una certa coerenza o addirittura in bell’ordine provvidenziale.

Le delusioni inevitabili, i vissuti di frustrazione, mancanza, assenza, impotenza, introducono il soggetto nella dimensione del limite, nella “realtà” della propria finitezza; ma in condizioni ottimali questa consapevolezza acquisita si costituisce come un sapere che non intacca la capacità di illusione, così come del resto la capacità di illusione non oscura la visione chiara e distinta della “realtà” dei propri limiti.

C’é evidentemente qualcosa di paradossale in questa doppia visione, che non porta all’esclusione di uno dei due atteggiamenti tra loro contradditori.

Si potrebbe pensare ad un’organizzazione psichica, dove le diverse aree di funzionamento non sono tra loro integrate, senza tuttavia entrare in conflitto l’una con l’altra.

Se questo schema può corrispondere ad una struttura primitiva della mente, sorge tuttavia l’interrogativo di come possano coesistere nella vita adulta la capacità di illusione con il riconoscimento del limite che impone il “reale”. Nel suo percorso maturativo, l’Io tende verso una sempre maggiore integrazione e, nello sforzo di costituirsi come un’unità, riduce  la sua tolleranza nei confronti del paradosso e delle contraddizioni. Debbono quindi intervenire particolari “accorgimenti” per permettere all’Io di accogliere e di sopportare la compresenza di ambiti di esperienza contradditori.

Possiamo identificare questi “accorgimenti” con i meccanismi di difesa costituiti dal diniego e dalla scissione dell’io? Forse. In questo caso essi non sarebbero più soltanto i segni della psicosi e della perversione, ma verrebbero promossi a meccanismi fondamentali della psiche, in quanto permetterebbero all’Io di sospendere il giudizio, e di mantenersi in un’ area di relativa ambiguità, necessaria alla sua sopravvivenza.

Tuttavia vorrei precisare alcune differenze fondamentali relative alla funzione del diniego e della scissione nella costituzione dell’oggetto transizionale e rispettivamente del feticcio: mentre il feticcio si costituisce a partire dal diniego dell’assenza, l’oggetto transizionale é per così dire un prodotto della presenza materna e nasce  in un ambito di indifferenziazione tra io e non io, tra quello che diventerà il mondo interno e il mondo esterno. In questo caso il diniego si instaurerebbe secondariamente, a protezione dell’area transazionale, contro un eccesso di “alterità”, di “realtà” inassimilabile.

Il termine illusione dunque, nell’opera di Winnicott,  ha assunto una connotazione e un valore  nuovo: non più sinonimo di errore, bensì fondamento ontologico del soggetto. In questo contesto la realtà non si contrappone all’illusione, ma é invece definibile come illusione condivisa.

Un approccio del soggetto al mondo esterno non sufficientemente sostenuto dall’illusione, produrrebbe un’incapacità di dare un senso all’esperienza.

Bibliografia

Freud,S.(1927).L’avvenire di un’ illusione.O.S.F.,10.

Kluzer Usuelli,A. (1992) The Significance of Illusion In The Work of Freud and Winnicott: a Controversial Issue. Int J. Psycho-Anal. 19,179

Winnicott,D.W.1971. Playing and Reality. New York, Basic Books.

Winnicott,D.W.1987. Lettres vives. Editions Gallimard,Paris.

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