NALINI MALANI 2008
Il ritiro psichico
Una lettura dall’analisi infantile
Maria Giuseppina Pappa
Il concetto di Ritiro psichico presenta una natura alquanto complessa, essendo tra i meccanismi, che si strutturano molto precocemente, nel primo anno di vita, che possono variamente esprimersi, in un’ampia gamma di manifestazioni, dal fisiologico e transitorio ritiro difensivo in fantasticherie, a vere e proprie organizzazioni psicopatologiche. In seguito a un eccesso di stimoli o a forti tensioni, un bambino può semplicemente addormentarsi, in una sorta di risposta auto protettiva. Tuttavia esperienze di intrusione, violazione emotiva, o deprivazione affettiva, o deficit di comprensione da parte delle figure di accudimento, possono rinforzare la tendenza al ritiro, che diventa una modalità di funzionamento più strutturata nel corso della crescita, tale da portare a uno stato di distacco mentale che sottrae il soggetto al contatto con gli altri e con la realtà circostante (https://www.spiweb.it/la-ricerca/ricerca/spipedia/#:~:text=Riparazione-,Ritiro%20Psichico,-La%20Spi ).
Le concezioni teoriche riferibili al ritiro sono varie, e partono da vertici differenti.
Freud (1907) afferma che gioco, fantasticheria, fantasia e sogno sono gratificazioni sostitutive che si fanno avanti quando le esigenze della realtà impediscono il soddisfacimento del desiderio e aggiunge che sono una forma di appagamento allucinatorio di desiderio (Freud, 1911).
Melanie Klein (1932) aggiungerà che l’appagamento allucinatorio accompagna incessantemente l’attività del bambino. I contributi degli analisti postkleiniani approfondiscono lo studio delle difese e degli stati mentali che rientrano nell’ambito delle organizzazioni psicopatologiche in risposta all’angoscia.
Bion (1967) sottolinea che l’assenza di un ambiente capace di “contenere”, e ‘trasformare”, depriva il bambino di un nutrimento fondamentale per lo sviluppo della mente. Nelle situazioni più favorevoli la frustrazione è tollerata e si può assistere al formarsi di un “apparato per pensare”, mentre in altri casi gli ostacoli e le difficoltà precoci di questo processo, creano i presupposti per lo strutturarsi di organizzazioni difensive. Il fallimento della dialettica contenitore/contenuto, l’assenza di rêverie, di preoccupazione materna, portano a deficit, arresti dello sviluppo del Sé potenziale, ma anche a organizzazioni psicopatologiche, che alterano in modo più incisivo e profondo la percezione del senso di Sé, e della realtà psichica. Il ritiro nella fantasia è caratteristicamente il ritiro difensivo, in un mondo immaginativo, illusionale, autocreato, per far fronte a un vuoto insostenibile, legato a un danno catastrofico alla naturale dimensione relazionale affettivo-emotiva del bambino, che viene lasciato ‘solo’. Tutto ciò ha a che fare con qualcosa di diverso da una ‘semplice’ sofferenza traumatica, traducendosi in una drammatica assenza di strutturazione della mente, in cui il bambino crea un mondo di piacere sensoriale e di onnipotenza, in cui rimane catturato, da cui diventa dipendente, che viene preferito al piacere del legame, del pensiero, e dell’autentica creatività.
Meltzer (1973) ha messo in evidenza la tirannia esercitata dalla parte crudele sul Sé sano del paziente, e il carattere di dipendenza e di piacere che la costruzione psicopatologica può assumere.
L’autore (1992), ritiene necessaria un’integrazione specifica con la teoria del pensiero di Bion, considerando indispensabile la teoria bioniana degli affetti, L (Amore), H (Odio) e K (Conoscenza), come i legami emotivi delle relazioni umane. Questo consente un ampliamento del significato del concetto di difesa, in quanto viene contemplata non solo la difesa contro la sofferenza mentale, ma anche quella contro l’emozione. Pertanto accanto alla difesa contro il dolore, viene sottoposta ad attenzione anche la difesa contro il piacere, data dalla mancanza di felicità che deriva dall’esperienza del crescere, la speranza che nasce dal contatto diretto con la bellezza del mondo.
Steiner (1993) ampliando ulteriormente la concettualizzazione di ritiro, arriverà ad affermare che i “rifugi” sono luoghi della mente dove il paziente si colloca, e si nasconde, per proteggersi dalle angosce schizoparanoidi e depressive. Il rifugio è da lui concepito come una difesa onnipotente, un’organizzazione patologica della personalità, intesa sia come raggruppamenti di difese, sia come sistemi di relazioni oggettuali strutturate, che viene usato dal paziente per evitare il contatto con gli altri e con la realtà. Per Steiner le organizzazioni patologiche della personalità funzionano come una medicazione per l’Io danneggiato dall’impatto con la realtà e incapace di riparazione. Il rifugio è messo in relazione con i meccanismi psichici coinvolti nella psicosi, ed è secondario alla catastrofe dell’Io per un attacco al pensiero. Come per Bion (1967) Steiner sottolinea quanto il paziente psicotico, nel tentativo di sbarazzarsi di una realtà odiata e temuta, attacchi l’Io percettivo, la parte dell’Io preposta alla percezione della realtà. Si tratta di un attacco che provoca una frammentazione dell’Io e degli oggetti, e conseguentemente un senso di angoscia e di confusione così forte, che l’unico modo per contrastarlo è l’organizzazione psicotica, sostenuta da forze deliranti e onnipotenti. Il rifugio psicotico è allora per il paziente un tentativo estremo di difesa contro una simile catastrofe mentale: il mondo psicotico viene idealizzato e vissuto come un luogo piacevole, perché costituisce comunque un rifugio dal terrore psicotico di disintegrazione e annientamento.
De Masi (2000, 2003, 2006, 2018) sostiene che il ritiro psichico sia primitivo e si stabilisca precocemente nell’infanzia, favorito dall’assenza psicologica delle figure di accudimento. Il bambino perde il contatto emotivo con la madre e con il mondo relazionale, e viene così a mancare un’esperienza capace di strutturare la mente, di nutrire le funzioni emotive comunicative, appartenenti all’inconscio emotivo-ricettivo. Per De Masi il ritiro è pertanto una condizione di vulnerabilità alla psicosi, una protezione dall’angoscia, per la mancanza di significato e il vuoto relazionale, ma anche un luogo di piacere e di onnipotenza, in cui la mente, anziché usare il pensiero, è usata come un organo sensoriale. Più in particolare il ritiro lede in maniera progressiva il contatto con la realtà emotiva e relazionale, non solo impedendo la percezione dell’assenza dei genitori e del senso di abbandono, ma creando uno stato di piacere. L’angoscia catastrofica compare secondariamente, quando il piacere dell’onnipotenza ha disgregato le funzioni del pensiero. Dunque se per Steiner il rifugio consegue alla catastrofe psicotica, per De Masi, il ritiro ha inizio nell’infanzia ed è invece il possibile preludio a una futura esplosione psicotica. La psicosi si insidia e si alimenta nel distacco emotivo, e nella dissociazione dalla realtà psichica in cui il soggetto si trova a vivere a lungo. Il ritiro diventa un luogo di piacere, in cui il soggetto arriva a sentirsi capace di creare dal niente i propri oggetti e di trasformare la realtà psichica, in tutti i sensi, anche nel suo contrario. C’è una prima fase in cui avviene una distorsione trasgressiva del pensiero, che non discrimina più tra sogno, delirio, e realtà, che affascina il soggetto, in una dimensione di “perversità”, una sorta di droga mentale, che prepara la strada alla successiva esplosione psicotica, con un caratteristico andamento a due fasi. De Masi (1999) sottolinea peraltro le forti analogie esistenti tra il paziente psicotico, che crea una realtà onnipotente, in cui può fare tutto quello che vuole, e quello perverso, che crea un mondo in cui può sovvertire l’organizzazione delle relazioni umane. Il ritiro è un luogo della mente che per poter continuare ad esistere, viene mantenuto segreto, ai genitori e, in analisi, all’analista. Le differenti concezioni teoriche di Steiner e di De Masi riguardo al ritiro, rivestono delle importanti implicazioni cliniche, e terapeutiche. Se Steiner descrive i rifugi della mente come operazioni difensive nella vita psichica adulta, De Masi li prospetta come condizione originaria, patogena e precoce nel bambino. Questo rende essenziale il contributo della psicoanalisi infantile, nei suoi vari ambiti di estensione del metodo psicoanalitico, sia come cura, che come prevenzione, come evidenziato anche da Colombi (2010; 2017). È possibile così avviare un lavoro analitico in età evolutiva, che aprendo alla relazione psichica, potrà preservare il soggetto dal rischio di una possibile deriva psicotica. De Masi peraltro mette in luce la necessità di un maggiore approfondimento del concetto di ritiro psichico infantile, in particolare per coloro che si occupano di problemi emotivi dell’infanzia, anche per differenziarlo e caratterizzarlo meglio rispetto all’ampia area dei Disturbi dello Spettro Autistico, che include una vasta serie di situazioni aventi come elemento comportamentale comune il ritiro sociale. Si tratta di condizioni psichiche che hanno origini ed evoluzioni diverse. Si può correre il rischio di includere nello Spettro Autistico bambini con difficoltà di socializzazione, ma che non mostrano gli aspetti più caratteristici dell’autismo, come ad esempio le bizzarrie del comportamento, destinate a non scomparire nel corso della vita.
De Masi sottolinea come sia essenziale, nel corso dell’analisi, che il paziente arrivi a rendersi progressivamente consapevole, nel tempo, anche se solo periodicamente, e in alcuni momenti, del suo funzionamento psicotico e della sua costruzione delirante. A tal fine è indispensabile che l’analista possa raggiungere il paziente nel ritiro psicotico, sostenendo le parti sane, in modo che l’organizzazione psicotica non inglobi il sé e non distrugga il senso di realtà.
Riferimenti bibliografici
Bion, W.R. (1967), Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. Armando Editore, Roma. 1970.
Colombi L. (2010), The dual aspects of fantasy: Flight from reality or imaginative realm? Considerations and hypothesis from clinical psychoanalysis. Int. J. Psycho-Anal., 91, 1073-1091.
Colombi, L. (2017), Sofferenze agoniche e dipendenza sensoriale. Riv. Psicoanal., 63, 527-551.
De Masi, F. (1999), La perversione sadomasochistica. L’oggetto e le teorie. Bollati Boringhieri, Torino.
De Masi, F. (2000), “The unconscious and psychosis. Some considerations on the psychoanalytic theory of psychosis”. In Int. I. Psychoan., 81, pp. 1-20.
De Masi F. (2003), On the nature of intuitive and delusional thought: its implications in clinical work with psychotic patients. Int. J. Psycho-Anal. 84, pp 1149-1169.
De Masi, F. (2006), Vulnerabilità alla psicosi. Raffaello Cortina Editore, Milano.
De Masi, F. (2018), Svelare l’enigma della psicosi. Mimesis Edizioni, Milano.
Freud, S. (1907), Creative writers and day-dreaming. SE, vol. 9.
Freud, S. (1911), Formulations on the two Principles of Mental Functioning. SE., vol. 12.
Klein, M. (1932), La psicoanalisi dei bambini. Martinelli Editore, Firenze. 1988.
Meltzer, D. (1973), Stati sessuali della mente. Armando Editore, Roma. 1983.
Meltzer, D. (1992), Claustrum. Raffaello Cortina, Milano. 1993.
Steiner J. (1993), I rifugi della mente. Bollati Boringhieri, Torino. 1996.