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Gruppo di Ricerca Psicoanalisi/Neuroscienze. Report attività 2022 G. Mattana

22/03/22
Report attività 2022 Gruppo di Ricerca Psicoanalisi/Neuroscienze

Shigeko Kubota, 1981

GIORGIO MATTANA

COORDINATORE DEL GRUPPO PSICOANALISI/NEUROSCIENZE

2022 – REPORT DELLE ATTIVITÀ

Il Gruppo di Ricerca Psicoanalisi/Neuroscienze si propone di analizzare il concetto di difesa in una prospettiva interdisciplinare, alla luce di una concezione dialettica e complessa della relazione fra le due discipline. L’obiettivo è quello di mettere a fuoco analogie e differenze, assonanze e dissonanze, omogeneità e disomogeneità, in vista di un’integrazione rispettosa della specificità metodologica e concettuale dei due approcci. La dimensione del confronto interdisciplinare è accresciuta dalla partecipazione al gruppo del neuroscienziato Vittorio Gallese, noto per i suoi studi sui neuroni specchio e sull’intersoggettività, mentre la riflessione sulle implicazioni epistemologiche e ontologiche dei diversi modi di intendere la relazione psicoanalisi/neuroscienze è affidata all’interlocuzione con il filosofo della mente Michele Di Francesco.

Il gruppo, dopo aver superato qualche problema organizzativo, ha avviato una prima fase di discussione finalizzata a una più precisa definizione dei propri obiettivi e delle modalità della ricerca da svolgere. I primi incontri sono stati dedicati alla discussione di diverse opzioni metodologiche, che sono state esaminate anche attraverso il riferimento alla letteratura esistente in materia. Si è così definito quello che è stato ritenuto il metodo di lavoro più utile e promettente, escludendo le alternative più utopistiche e irrealizzabili, quando non metodologicamente implausibili, a conferma dell’obiettivo condiviso dell’integrazione e/o complementarità dell’approccio psicoanalitico e neuroscientifico sulla base del presupposto delle rispettive specificità. 

È emerso come un disegno sperimentale a base clinica, con trascrizione delle sedute, identificazione con una scala standardizzata dei meccanismi di difesa, indagini sugli eventuali meccanismi cerebrali sottostanti (con tecniche di neuroimaging? Durante il trattamento? O dopo, quando magari i meccanismi non sono attivi?), con campione omogeneo, gruppo di controllo e altro, fosse inimmaginabile. Ciò per ragioni organizzative, economiche, temporali, forse anche etiche, ma soprattutto per ragioni epistemologiche, rappresentando una sorta di riduzionismo, o meglio di confusione metodologica fra l’approccio psicoanalitico e quello neuroscientifico, ossia l’opposto del riconoscimento delle rispettive specificità.

Il materiale bibliografico esaminato ha permesso di verificare che, nell’estesa letteratura dedicata alla ricerca empirica sulle difese, i rari studi che ne indagano i correlati neurobiologici sono invariabilmente extrasetting. Si tratta in genere o di esperimenti controllati con campioni tratti dalla popolazione generale, o di indagini sugli ipotetici meccanismi di difesa di pazienti con lesioni cerebrali. Anche gli studi su pazienti psichiatrici, al di là del tema specifico delle difese, sono extrasetting, intendendo il termine in senso ampio, cosa che induce a ritenerne ancora più improbabile la realizzazione all’interno di un setting rigoroso e complesso come quello analitico.

Su questa base è stato ritenuto opportuno, realizzabile e promettente avviare una approfondita riflessione interdisciplinare sul materiale proposto da Gallese: una ricerca realizzata dal Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma in collaborazione con il Ravera Children Rehabilitation Centre di Freetown, Sierra Leone, Africa. Lo studio, della durata di dieci anni e condotto con rigorosa metodologia sperimentale, ha avuto per oggetto le abilità sociali e il riconoscimento esplicito e implicito delle emozioni in un gruppo di bambini e adolescenti maltrattati. Si trattava di soggetti che avevano subito abusi, violenze, abbandono o perdita dei genitori, che erano stati impiegati come soldati e che nella loro generalità avevano trascorso in strada la gran parte della loro vita.

In linea con l’aumento delle conoscenze sulla connettività cerebrale, i parametri neurofisiologici indagati si collocano al di fuori del paradigma localizzazionista, tendente ad assegnare funzioni specifiche ad aree cerebrali specifiche, interessando viceversa l’intero sistema nervoso centrale e autonomo e la sua relazione con il corpo. Sono stati studiati il riconoscimento esplicito delle espressioni facciali delle emozioni, la risposta implicita a esse attraverso la mimicry facciale dei soggetti e la funzionalità della regolazione vagale. Nell’insieme i dati hanno mostrato che nei bambini e adolescenti maltrattati esistono difficoltà nel riconoscimento esplicito delle emozioni riconducibili a un bias per la rabbia, un’attivazione incongrua della mimicry facciale in risposta all’espressione delle emozioni altrui e una ridotta attivazione del freno vagale, collegato alla disponibilità all’interazione e cooperazione sociale.

Su tali dati è in corso un’approfondita riflessione, che rappresenta anche un’evoluzione in corso d’opera degli obiettivi iniziali, fermo restando il quadro interdisciplinare e filosofico-epistemologico di riferimento e l’interesse per il significato e le implicazioni dei diversi modi di intendere la relazione fra psicoanalisi e neuroscienze. Si è passati dal proposito «statico» di ricercare analogie e differenze fra le due discipline, verificando se e in quale misura il concetto psicoanalitico di difesa sia applicabile in ambito neuroscientifico senza snaturarne il significato, all’obiettivo «dinamico» di integrare i due approcci.

I dati della ricerca in Sierra Leone mostrano gli effetti disregolativi di varie tipologie di trauma, inducendo incidentalmente a un più precisa definizione del disturbo post-traumatico da stress, ma appaiono per altri versi «opachi» e in cerca di un significato soggettivo coerente attraverso l’interlocuzione con la psicoanalisi. Nei risultati della ricerca si evidenzia l’operare di una o più difese? Di che tipo di difese si tratta? Sono difese adattative o disadattative? Questi sono alcuni degli interrogativi che ci siamo posti.

Tale approccio sembra compatibile con il metodo neurofenomenologico proposto da alcuni ricercatori e riconducibile alla teorizzazione di Varela, secondo cui il pregiudizio contro le descrizioni in prima persona e a favore di quelle in terza persona (neuroscientifiche) è un limite epistemologico che ostacola una migliore comprensione degli stessi dati neuroscientifici. Il vantaggio di avere a disposizione maggiori risorse esplicative prevale in questo caso sull’attenzione riduzionistica all’unificazione del linguaggio della scienza.     

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