Eugenio Gaburri
Maestri della psicoanalisi
A cura di Noemi Pepe
Foto d’archivio
Gaburri, Eugenio (Soresina, 1934 – Milano, 2012)
La vita
Nato a Soresina, in provincia di Cremona, il 26 Febbraio 1934, figlio di Gilberto, cancelliere di tribunale, e di Alda Lanzi docente di storia dell’arte. Fin da piccolo coltivò la passione per la vela ed il violino, passioni che lo accompagnarono per tutta la vita.
Dopo aver frequentato il Liceo Scientifico, si laureò in Medicina a Parma, specializzandosi poi in neuropsichiatria. Nel 1962 si trasferì a Milano per lavorare nei centri di base e nel 1967 venne chiamato a dirigere l’ospedale psichiatrico di Varese, dove elaborò un modello di ristrutturazione dei manicomi; la sua idea era di non abbandonare i pazienti a se stessi e alle loro famiglie ma di creare una rete di servizi territoriali. Fu tra i primi a introdurre in Italia il pensiero di Bion.
Da sempre appassionato e sensibile alle tematiche di gruppo, nel 1975 fondò “Il Pollaiolo”, bottega di ricerca sulla teoria e la clinica dei gruppi, con Francesco Corrao, Claudio Neri, Nando Riolo ed altri. Nel 1995 si trasformò nell’Iipg (Istituto Italiano di Psicoanalisi di Gruppo).
Dopo la legge Basaglia si trasferì a Milano per insegnare alla SPI.
Dalla sua prima moglie, anch’ella psicoanalista, Gilda De Simone, ebbe due figli: Luca e Stefano. Fu nel 1992 che conobbe la sua seconda moglie, Laura Ambrosiano, in occasione di un congresso a Parigi sulla femminilità. Iniziò così anche una feconda collaborazione che esitò in diversi scritti a quattro mani (Ululare coi lupi, La spinta ad esistere, Il futuro sul lettino).
Fu segretario scientifico del Centro Milanese di Psicoanalisi “Cesare Musatti” e della SPI, redattore della Rivista di Psicoanalisi e presidente del CMP.
E’ scomparso il 6 Dicembre 2012, all’età di 78 anni, in seguito ad una lunga malattia, vissuta fino alla fine con grande coraggio e passione.
Il contributo alla psicoanalisi
Uomo e pensatore estremamente generoso, contribuì in modo creativo a far avanzare il pensiero psicoanalitico. “Battitore libero”, come lo definisce Massimo Recalcati, insofferente alle teorizzazioni scolastiche responsabili di irrigidire i concetti separandoli dall’esperienza clinica, era un vero navigatore, capace di navigare a vista nella realtà clinica, perdendosi nella confusione e nell’incertezza, da cui riusciva sempre a produrre un pensiero non convenzionale.
La sua grande passione per il mare e per la vela si rispecchiava, infatti, nel suo modo di pensare sempre originale, seguendo la direzione imprevedibile del vento, rotte nuove, non ancora note.
Gaburri imbeve i concetti freudiani del pensiero di Bion dando origine ad un pensiero innovativo, stimolante e coraggioso che propone una concezione della mente dialogica e relazionale, non timorosa di esplorazioni affettive. Come Spinoza, non si propone, infatti, di allontanare e controllare le passioni, ma di comprenderle, avendo il coraggio di soffermarsi su temi nuovi e complessi.
E’ proprio la disponibilità a lasciarsi “infettare” che permette la conoscenza profonda dell’altro, intesa come capacità di non tenere a distanza le emozioni e di avvicinarsi in una reciproca condivisione e coinvolgimento.
Ecco che lo spazio dell’interazione psicoanalitica si connota come un bagno denso di contagi dove “i processi di personificazione indicano la presenza di una disponibilità a perdere l’ancoraggio alla propria identità consolidata, a lasciarsi turbare e contagiare dall’impatto emotivo dell’incontro con l’altro” (Gaburri & Ambrosiano, 2003). Il ruolo dell’analista è quello di co-protagonista in grado di tollerare uno sostare spaesato, aiutato dalla corrente di tenerezza che lo lega al paziente. Fondamentale è la capacità negativa dell’analista, che “apre la mente ad un pensiero liberamente associativo che sigla una prospettiva etica della psicoanalisi” (Gaburri & Ambrosiano, 2008), e che caratterizza un analista con la mente libera, “senza memoria e senza desiderio” direbbe Bion, ma anche libera dal pensiero del gruppo di riferimento, capace di fare spazio dentro di sé al paziente, per poter rilanciare la bioniana spinta ad esistere. È solo dalla capacità negativa che può emergere la rêverie “un pensiero sognante e non lineare che si muove come unità funzionale tra associazioni libere e attenzione fluttuante. E’ un atteggiamento mentale senza memoria e senza desiderio, vale a dire (relativamente) libero di vagare fuori dal senso comune e dai significati condivisi” (Gaburri & Ambrosiano, 2003). L’incapacità negativa, di converso, è legata al socialismo (termine che indica l’identificazione a massa e usato da Bion come radice pulsionale delle organizzazioni che provvedono alle aggregazioni gruppali) in cui non è possibile ascoltare ciò che è diverso rispetto alle attese consegnate dagli assunti del gruppo.
E’ come un abbraccio il movimento della mente dell’analista verso l’altro, verso elementi inediti e non ancora pensati dell’incontro con il paziente. Quello che Romain Rolland chiama sentimento oceanico e che descrive una tensione a immergersi nell’universo condiviso, a sentire con l’altro, ad accorgersi delle implicazioni degli eventi e di avvertire la propria responsabilità rispetto ad essi e che permette la realizzazione della rêverie, in quanto “esperienza emotiva che consente di avvicinare intuitivamente, prima che razionalmente, gli aspetti di contiguità tra realtà interna ed esterna” (Gaburri & Ambrosiano, 2003).
Entrambe le dimensioni, consensuale, tipica dell’uomo oceanico, ed edipica, caratteristica dell’uomo terrestre, strutturano la mente.
Un altro tema centrale e trasversale del pensiero di Gaburri è proprio il conflitto tra identità e appartenenza, già presente in Freud (1921) e ripreso da Bion (1992) in termini di oscillazione tra narcisismo e socialismo, funzionale a rendere conto della trasformazione da individuo-massa a individuo autonomo. Gaburri avverte del pericolo insito nella spinta socialistica che “diffonde la speranza delirante di poter essere tutti ugualmente amati, di poter essere trattati secondo una giustizia uguale per tutti, di poter essere immortali […] essere ugualmente amati […] organizza una fantasia delirante fruita come tanto benefica e protettiva da ostacolare l’individuazione” (Gaburri & Ambrosiano, 2003). Il conflitto tra narcisismo e socialismo è centrale nell’Edipo in quanto è la dimensione edipica ed il ruolo terzo del padre ad aprire a possibili trasformazioni, promuovendo disidentificazioni e movimenti di allontanamento rispetto alla seduzione del socialismo e dell’indifferenziato, incoraggiando ad avventurarsi nella vita e a vivere le passioni.
Around the end
Se si nasce si muore eppure quanto è difficile far entrare nella realtà della vita l’idea della morte
(Freud, 1915)
Tematica che spaventa e riguarda tutti e terreno fondamentale d’indagine in psicoanalisi, la morte, è sempre stata un tema molto caro e presente nel pensiero di Gaburri. La morte è intesa come ciò che spinge a fare spazio all’inedito, al non ancora pensato; come qualcosa che apre a possibilità nuove. La morte, e in particolare la preconcezione della morte, non affrontata come contrapposizione alla vita ma come condizione dell’esistere.
Scrive Gaburri nel 2011, a malattia già inoltrata, in occasione del 1° colloquio italo-spagnolo :“la passione dei geni creativi (i mistici di Bion) che per tutta la vita si sono dedicati a ricerche scientifiche o artistiche, non si spegne con l’avvicinarsi della morte. Un caso esemplare di questa evenienza è l’opera di Michelangelo che, animato dalla passione, riuscì a lavorare fino agli ultimi giorni di vita rappresentando se stesso come un Cristo Morto sostenuto da un fantasma materno nell’ineguagliabile “pietà Rondanini”. In quest’opera artistica esemplare […] affiora la potenza della passione che travalica la morte”.(Leggi la Relazione )
La sublimazione diventa il prototipo di ogni possibile processo di soggettivazione e di umanizzazione della vita, allargando il proprio mondo alla creatività e al pensiero.
Nonostante la morte sia il limite inevitabile dell’esistenza umana, “il fatto di tenere così lontano il pensiero della morte e le paure connesse, finisce per conferire al vivere un andamento affannoso e affannato le cui espressioni estreme non sono tanto la perenne mancanza di tempo, ma l’illusione di poter fare a meno del tempo” (Rustad, 2001). Ecco che la mentalità di gruppo, l’identificazione a massa, il socialismo, diventa tanto più seducente per l’individuo in quanto prospetta un mondo senza tempo, in cui la caducità ed il terrore della morte sono allucinatoriamente assenti.
Nel 2009, il Professor Gaburri venne invitato all’Università Cattolica di Milano a partecipare ad una tavola rotonda dal titolo “Around the end, intorno alla morte”.
La tavola rotonda, organizzata dal Professor Osmano Oasi vede dialogare intorno al tema della morte il Prof. Gaburri, il Prof. Marco Sarno e il Prof. Marco Riva a partire da un filmato (prodotto dal Dr. Riva) in cui Freud, Jung, Bion, Lacan e Musatti parlano della morte.
Freud, nel 1938, prossimo ormai alla morte, parla delle pulsioni di vita, vero e proprio motore per l’inconscio.
Jung, nel 1959, descrive il distacco della psiche con le direttive di spazio e tempo, sancendone una sorta di immortalità della stessa e facendo della morte un traguardo per un inconscio minacciato.
Lacan definisce la morte come territorio della fede e afferma anche che la consapevolezza della sua non esistenza renderebbe la vita insopportabile.
E’, guarda a caso, Wilfred Bion che si addentra verso il nocciolo della questione, toccando la tematica principe dell’angoscia di morte in un malato terminale. Bion ritiene ingiusto definire una malattia o una persona come “terminale”, poiché bisogna considerare la prospettiva di morte in funzione del tempo che ancora deve venire e che deve essere vissuto al meglio. Ed è proprio su questo periodo che è ancora da vivere che la psicoanalisi deve spremere le sue forze, levando quell’angoscia che lega l’uomo al tema della morte.
«La morte non è una malattia, non prevede una cura, eppure durante la nostra esistenza ne siamo angosciati – spiegava Eugenio Gaburri-, ma la spiegazione è da cercare dentro Bion, quando ci suggerisce che ciò deriva dall’accanimento delle cose che non sappiamo spiegarci come affrontare. La paura della morte attiva quindi la psicoanalisi proprio perché la morte è irreversibile».
Gaburri sollecita ad affrontare questo limite per giungere alla rielaborazione del lutto e riuscire a sconfiggere l’atteggiamento “ipocrita” dell’uomo.
Il lutto è l’angoscia che si produce nell’emergere dalla condizione mentale indifferenziata. Ecco che “il lavoro psichico è innanzitutto il lavoro del lutto, che non riguarda solo gli aspetti di mancanza ambientale traumatica, ma anche il dolore e la paura di emanciparsi dai legami a massa” (Gaburri & Ambrosiano, 2003).
A Gaburri si deve la trasmissione di un pensiero libero e autonomo, caratterizzato da risposte non saturanti e suscettibili di colonizzare il pensiero dell’altro, ricordando sempre il pericolo di illusori passepartout. Essere psicoanalisti comporta un’assunzione di responsabilità e la costante riflessione sui nostri disagi personali e collettivi.
La passione per la ricerca del Professor Gaburri, per il gusto di pensare insieme, sono rinvenibili nelle pagine, nei testi che ha lasciato, come giacimento culturale per le nuove generazioni con l’auspicio che le sue idee percorrono il tempo a venire rimanendo feconde e aperte alla creatività di chi le incontra.
D’altronde una citazione tanto cara a Freud, dal Faust di Goethe, sembra racchiudere questo auspicio e l’invito ai futuri analisti a prendere le distanze dal socialismo, dall’identificazione a massa , dagli “abiti usati” e a mantenere viva la tensione conoscitiva della disciplina psicoanalitica:
Was du ererbt von deinen Vatern hast,
Erwirb es, um es zu besitzen.
[Ciò che hai ereditato dai padri,
Riconquistalo, se vuoi possederlo davvero.]
Tenere la rotta nel mare della psicoanalisi
Il 25 Gennaio 2014 si è tenuta presso la Casa della Cultura di Milano una giornata di lavoro in memoria del Prof. Gaburri, occasione per ricordarlo come persona e per ricordare gli importanti contributi del suo pensiero per la psicoanalisi.
La giornata si è aperta con un breve filmato del Dr. Marco Riva intitolato “Around Bion” e poi risoprannominato “Around Gaburri”.
Il pensiero di Gaburri può essere interpretato come un’opera musicale che lascia ad ognuno libertà di interpretazione e che proprio per questo permette l’incontro tra persone, pensieri diversi.
Il ricordo del Professore è andato articolandosi mano a mano grazie agli apporti dei relatori che hanno saputo intrecciare aspetti della persona, dell’uomo e del pensatore attraverso il racconto di esperienze che sono state generate dall’incontro con lui.
Durante la mattinata, ognuno dei relatori ha sottolineato un aspetto del pensiero e della persona di Eugenio Gaburri: la tenerezza, l’irrequietezza e la dimensione sociale.
Il primo a parlare è stato il Prof. Claudio Neri che ha presentato una relazione su “La tenerezza e la capacità di relazione” in cui la tenerezza emerge come un costrutto psicoanalitico ben preciso, con nuovi significati rispetto a quelli legati al senso comune, e come caratteristica dell’uomo Gaburri, dotato di una capacità di relazionalità interpersonale e interna in grado di rigenerare continuamente l’interesse per l’altro, di fargli spazio e di fungere da calco per il suo sviluppo.
La relazione del Dott. Jaffè, “Il campo gruppale. Eugenio Gaburri lungo il filo dei suoi personaggi: Conrad, Kurosawa, Velasquez … e altri ancora” ci mostra un affresco gruppale, fatto di personaggi cari e discussi dal Professore, che ne hanno costituito l’animo.
Ecco allora prendere vita il personaggio del bambino zoppo, dalla favola de “Il pifferaio magico” dei fratelli Grimm, unico bambino, che proprio grazie a questa sua specificità si salva dall’indifferenziato della comunità in cui vive; di Dersu Uzala, del regista Kurosawa, personaggio semi selvaggio dalla conoscenza magico-intuitiva che permette la buona riuscita del viaggio grazie alla sua grande intelligenza, al suo istinto e all’acuto senso di osservazione; de “Il coinquilino segreto” di Conrad, che esemplifica il continuo lavoro tra Sè e il doppio per poter lavorare nell’incontro col paziente; “Las Meninas” di Velazquez e le successive reinterpretazioni, trasformazioni, di Picasso che parlano di un analista che non solo entra nel campo, come Velazquez, ma che anche, all’interno del campo, non si sottrae al dialogo con l’altra parte di Sè e mostra come da questo dialogo interno si può creare un campo allargato con personaggi multiformi collegati tra loro.
Il Dott. Marco Sarno, parte da una caratteristica del pensiero scientifico del Prof. Gaburri, il coraggio di non fermarsi di fronte a temi complessi e nuovi. E sceglie come parola guida il “degrado”, concetto presente nel libro Ululare coi lupi e che trova uno sviluppo nel lavoro del 2005 “Paranoia primaria e degradazione” e nel lavoro del 2007 “La promessa delirante e i pifferai magici”. Sottolineando la passione del Prof. Gaburri per la ricerca, la sua competenza gruppale, sviluppata proprio a partire dal concetto di “degrado”, e ricordando che indagare lo spirito dei tempi e dei luoghi è fin da Freud una frontiera in continua espansione per la psicoanalisi, il Dott. Sarno ci propone una ricerca di psicoanalisi allargata sugli aspetti intrapsichici e intersoggettivi che caratterizzano le culture criminali in Italia.
Il Dr. Conforto, nella sua relazione, ricorda Gaburri anche attraverso questa citazione di Freud: “ La vita si impoverisce e perde interesse se non è lecito rischiare quella che, nel gioco dell’esistenza, è la massima posta cioè la vita stessa”. Ed è proprio la preconcezione della morte a permetterci di non evacuare l’angoscia per la caducità dell’esistenza e ad avventurarci nei legami affettivi, nelle passioni, nella sessualità … nella vita.
ll pomeriggio ha visto riuniti in una tavola rotonda i Prof. Antonino Ferro, Martin Cabrè, Fausto Petrella e Massimo Recalcati che hanno continuato a ricordare il Professor Gaburri, fornendone una presentazione tridimensionale a completamento del quadro iniziato nella mattina.
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