Ferruta A. (2012). Introduzione all’Incontro con A.Schore. Società Psicoanalitica Italiana, Centro di Psicoanalisi Romano, Centro Psicoanalitico di Roma, Istituto G. Bollea di Neuropsichiatria Infantile. Roma, 20-21 Ottobre 2012.
Le ricerche di Allan Schore ci riportano agli inizi, della vita psichica del bambino e della psicoanalisi: una talking cure, una terapia del comunicare basata sulla regolazione degli scambi affettivi comunicativi inconsci. Le sue ricerche aprono orizzonti alla clinica psicoanalitica e propongono la visione di uno scambio affettivo inconscio che promuove la mobilità psichica e la plasticità del funzionamento neurobiologico non come una restrizione di orizzonti di tipo scientista, ma come un ampliamento del funzionamento psichico, all’altro e tramite l’altro, nella dinamica delle comunicazioni affettive non verbali.
Per introdurre il dibattito vorrei attirare l’attenzione su due aree che ci interrogano nella clinica, a partire dai processi attivati da questa concezione teorico-clinica di Schore.
– La prima riguarda una riflessione sul contenitore del sé nel tempo, cioè sull’importanza dei processi di autoregolazione lungo lo sviluppo di queste dinamiche relazionali non verbali. Le pause, i silenzi, gli intervalli tra le sedute, possono essere concepiti come un necessario ritmo spaziotemporale che permette al soggetto di riorganizzarsi in modo autoregolato.
Accanto all’interazione, infatti, si dispiegano nel soggetto anche le funzioni che garantiscono una coesione, un collante, un’unicità del sé, una forma sferica come per le gocce d’acqua, quella forma che richiede il minor dispendio di energia possibile e insieme il massimo di scambio e crescita. Quel contenitore unitario e dinamico del sé di cui già parlava Eugenio Gaddini nel suo scritto, l’ultimo, La maschera e il cerchio (1985).
Questa contestualità di dinamiche relazionali e di funzioni di autoregolazione rende particolarmente complessa la costruzione di modelli del funzionamento mentale relazionale implicito, senza che diventino prescrittivi e quindi ostacolanti la dinamica unitaria del vivente.
– Una seconda considerazione riguarda le conseguenze che da queste ricerche si possono trarre per quanto riguarda la formazione psicoanalitica: quali esperienze cliniche possono fornire agli allievi psicoanalisti una capacità di sintonizzazione che vada oltre le concettualizzazioni astratte e li apra alla capacità di comunicazione non verbale evolutiva e plastica? E’ utile l’Infant Observation? E’ necessaria una formazione alla musica e alla poesia?
L’incontro con Allan Schore ci sollecita a pensare e ad approfondire il metodo psicoanalitico e gli strumenti formativi che adottiamo.