La Ricerca

Età evolutiva/Psicoanalisi

2/05/14

A cura di Emanuela Quagliata

Il primo anno di vita

Dall’acqua all’aria

Quale inizio ha avuto la nostra vita? Spesso le madri tendono a dimenticare l’esperienza del parto, tanto più se è stata dolorosa e traumatica e noi apparentemente non conserviamo tracce coscienti di quella epocale transizione. L’esperienza che il neonato affronta durante l’evento della nascita è stata oggetto di crescente interesse solo negli ultimi trent’anni, soprattutto da quando il medico francese Frederick Leboyer ha cominciato a studiare l’evento del parto dal punto di vista del bambino. Le sue ricerche hanno evidenziato l’importanza del momento in cui viene reciso il cordone ombelicale, che fornisce sangue e ossigeno al bambino tenendolo in vita fino a quando non è in grado di farcela da solo.

Il “passaggio dall’acqua all’aria” è un’immagine che rappresenta il sentimento terrificante di perdita e impotenza collegato al cambiamento che il neonato prova quando si sente non “contenuto”, dopo aver perso l’aggancio con la sua fonte di vita. La psicoanalista Esther Bick scrive: “Il bisogno di un oggetto contenente, nello stato di non integrazione in cui si trova inizialmente il bambino, sembra spingerlo alla frenetica ricerca di un oggetto – una luce, una voce, un odore, o un altro oggetto sensibile – capace di attirare l’attenzione e di essere quindi sperimentato, almeno momentaneamente, come qualcosa che tiene insieme le componenti della personalità. L’oggetto ottimale è costituito dal capezzolo in bocca, insieme con la percezione di essere tenuto tra le braccia della madre, della sua voce e del suo odore ormai familiari (1956, p. 91).

La trama che madre e figlio hanno cominciato a tessere nell’utero prosegue subito dopo la nascita: madre e bambino cominciano, o meglio “continuano” a conoscersi nelle prime settimane.Il neonato è dipendente dalla madre non solo per essere nutrito e accudito, ma anche per dare senso al nuovo “mondo” nel quale si trova e affrontarlo; lo psicoanalista Donald Winnicott (1958) definì “preoccupazione materna primaria” l’atteggiamento della madre verso il suo neonato: tenere il bambino nella mente, sintonizzarsi con lui, trasmettergli pazienza e attenzione. Tuttavia, a volte è difficile per un adulto comprendere appieno come può sentirsi un neonato quando si confronta con sensazioni corporee come la fame, il freddo o il caldo, un rumore improvviso, oppure la paura e l’angoscia che sperimenta quando si sveglia e si ritrova solo, separato. Nel neonato il corpo e la mente sono molto vicini e i bisogni fisici hanno un equivalente mentale, ma deve ancora imparare a decifrare e ad affrontare queste sensazioni, perché dentro l’utero viveva in un mondo dove non le ha mai sperimentate.

Più che mai nei primi mesi mamma e bambino sono alla faticosa ricerca di un ritmo: la sintonizzazione sui ritmi del sonno e della veglia, il ritmo del latte che sgorga dal seno, o dal biberon, e quello del succhiare del bambino. Sono questi scambi, che nascono dalle prime esperienze non solo nutritive, a dare origine a processi psichici che permangono nel corso della vita. Il successo dell’adattamento reciproco si costruisce anche attraverso molti fallimenti e momenti di mancata di sintonizzazione. In questa ricerca dell’adattamento il bambino non è assolutamente un recipiente passivo – lo abbiamo visto fin dalla vita intrauterina – ma un partecipante attivo del dialogo e del processo di maturazione. Lo sviluppo, emotivo e mentale, è strettamente legato alle prime esperienze nutritive: la fame, da questa prospettiva, assume allora diversi significati: fame di imparare, di affetto e di comprensione, fame di vita (Quagliata, 2002).

Il primo anno può essere molto difficile, per la madre diventano centrali un senso di fiducia e il sapere che agli errori si può rimediare. Così come al bambino il messaggio che arriva quando si sente compreso è che il dolore, sia fisico che mentale, può cessare – “C’è un aiuto qui vicino, non sono solo…”-, allo stesso modo la madre ha bisogno di sentire supporto e aiuto e poter pensare “Non sono sola”.E questo soprattutto quando non riesce a dormire! Anche l’addormentamento e il sonno, come l’allattamento, sono processi che implicano un ritmo condiviso: non sempre un’interruzione del sonno è un segnale di necessità del bambino e la descrizione dei cicli del sonno può aiutare i genitori a capire quali sono i segnali di passaggio da una fase a un’altra (Daws, 1989). A volte, per esempio, il bimbo va solo “riaccompagnato” in un nuovo sonno.

La comprensione sempre più profonda della madre dell’individualità del suo bambino, lo sbocciare della relazione e la reciproca crescita di amore e affetto creano il processo di attaccamento verso l’oggetto primario, cruciale nel corso dello sviluppo e per la crescita, e segnano il bambino, gettando le basi di tutte le sue relazioni future. Ma come è necessario che madre e figlio formino un legame e che il neonato sperimenti la dipendenza dall’oggetto materno, allo stesso modo è necessario che il bambino si separi dalla madre. Come pre-requisito per gli altri compiti primari dell’infanzia, il bambino ha, infatti, bisogno di trovare un se stesso diverso, distinto dalla madre, di conoscersi finalmente come separato, di esplorare ed apprezzare la sua identità e le sue risorse personali. In questo senso, per esempio, il passaggio al biberon crea una situazione di maggiore autonomia e di diminuzione della dipendenza, emotiva e fisica, e spesso genera un sollievo per la diade o per uno dei due.

Dall’inizio della vita i genitori aiutano il bambino a capire che ogni cosa ha un inizio, una transizione e una fine. La presenza continua del genitore e il sostituirsi a lui evitandogli frustrazioni non gli renderà la vita più facile ma al contrario gli impediranno di sviluppare le sue risorse e illudendolo di avere il controllo e il dominio dell’altro. Il ritmo dell’andare e venire del seno, dell’andare e venire della mamma, allenano le capacità del bambino di affrontare i transiti successivi: il passaggio alle scuole elementari come la fine di una vacanza come l’ora di smettere di giocare per andare a dormire. Lo aiutano a capire che anche le cose belle finiscono per poi, a volte, ritornare. Al tempo stesso la madre sa di avere un bambino mobile e indipendente, affamato di libertà. Non è più un neonato, non lo sarà mai più. La separazione richiede uno sforzo continuo. L’iniziale svezzamento dal seno o dal biberon è seguito da altre separazioni pianificate dalla madre, che prepara il bambino ad affrontarle. Donald Winnicott (1956) ha sottolineato l’importanza di “presentare il mondo al bambino in piccole dosi”, altrimenti l’esperienza della separazione diventa terrificante. Suggeriva così che le separazioni devono essere graduali, in modo che il bambino possa avere un ruolo nel processo e non sentirlo solo come un’imposizione.

La capacità di affrontare la realtà dipende dalla capacità di internalizzare una base. “Lo sviluppo di una base, a partire dall’incontro con il seno, verso la madre come persona intera e poi verso la coppia di genitori, fino all’idea di una casa, di un paese a cui appartenere e così via” (Money-Kyrle 1968, p.612). Nella misura in cui la relazione interna e esterna con queste è preservata, noi non siamo disorientati. Così la psicoanalisi, nelle sue varie forme, può aiutare ad andare oltre, a costruire un nuovo inizio. L’interesse è centrato sull’osservazione dell’esperienza emotiva, sulla comprensione della verità di ciò che sentiamo e sulla possibilità di digestione delle esperienze emotive – la capacità di modulare la rabbia e l’aggressività, di tollerare le frustrazioni e le delusioni, di ritrovare la fiducia e le risorse. Questo fornisce il nutrimento che tiene in vita l’apparato mentale e gli permettere di apprendere dall’esperienza.

A piccoli passi, il bambino verifica la sua indipendenza e la sua individualità, sempre in riferimento alla presenza o all’assenza della madre. Si fida degli altri membri della famiglia o altri caregivers, ai quali si rivolge come fossero un’estensione delle cure materne. In compagnia di un gruppo più largo di adulti e bambini, cercherà per esempio di allontanarsi da sua madre aumentando gradualmente la distanza, per poi ritornare da lei per essere rassicurato e trovare conforto. La sua curiosità ha spazio per svilupparsi, e il bambino adesso ha la calma emotiva necessaria per aprirsi al mondo intorno a lui. L’amore per la conoscenza è presente dalla nascita e attraverso gli stimoli di coloro che si prendono cura di lui, il piccolo emerge gradualmente nel mondo fatto di suoni, sensazioni, visioni, responsività e sensibilità, mettendosi a cercare, a cercare di capire il mondo intorno a lui….

Bibliografia

Bick E., 1968 “The experience of the Skin in Early Object Relation” Int Jour Psychoanalysis vol 49 “L’esperienza della pelle nelle prime relazioni oggettuali”, in L’Osservazione Diretta del Bambino, Boringhieri 1984.
Bion W. 1962 Apprendere dall’Esperienza Armando, Roma
Daws, 1989 Through the night Free Association Books, London. Nel Corso della Notte, Liguori, Napoli 1992
Ferrara Mori G., 2008, Un tempo per la maternità interiore, Borla, Roma
Freud S., 1925 Inibizione Sintomo e Angoscia vol.10 Boringhieri.
Leboyer F Per una nascita senza violenza, Bompiani, Milano 1975
Money-Kyrle 1968 Cognitive Development Int Journ Psychoanalysis vol 49. Scritti 1927-1977 Introduzione e cura di Mauro Mancia. Loescher Editore, Torino, !985.
Piontelli 1992 From Fetus to Child The New Library of Psychoanalysis
Quagliata E., 2002 Un Bisogno Vitale, Astrolabio
Winnicott D., 1956 “Primary Maternal Preoccupation” in Collected Papers Through Pediatrics to Psychoanalysis, Tavistock Londra. Dalla Pediatria alla Psicoanalisi Martinelli, Firenze 1975.

APPROFONDIMENTI

Come s’impara a parlare

A cura di Francesca Piperno

Molto spesso genitori insegnanti, educatori chiedono allo specialista “quando deve cominciare a parlare un bambino?”, in generale si pensa che il bambino inizi a parlare intorno ai diciotto mesi quando produce le prime parole.

Ma per parlare di sviluppo del linguaggio è necessario inserirlo all’interno di una capacità più articolata: la capacità comunicativa. Per acquisire la capacità di comunicare, il bambino deve da un lato maturare la coscienza di esistere come individuo separato psicologicamente e fisicamente dalla madre, dall’altro deve sostituire agli atti e azioni motorie segni convenzionali come il gesto prima e poi la parola.

Freud ( 1911; 1915; 1922) ha attribuito al linguaggio un peso particolare:

– la parola permette di prendere coscienza, di elaborare e rappresentare i contenuti dell’inconscio

– la parola si interpone come oggetto mentale tra pulsioni ed azioni nel rapporto con gli altri, e diviene sostituto dell’azione diretta.

Spitz (1967) ha riconosciuto in un’ottica evolutiva tre funzioni che il linguaggio svolge nel sostenere lo sviluppo psichico:

1) la parola consente di evocare l’oggetto assente

2) la parola permette di entrare in rapporto con gli altri

3) la parola permette di affermare, negare, trasformare la presenza degli oggetti interni ed esterni.

Per affrontare la descrizione di come s’impara a parlare è necessario premettere due concetti: il bambino è precocemente in grado di comunicare prima di imparare a parlare; il bambino è in grado di capire il linguaggio prima di imparare a parlare.

Se tracciamo un ideale percorso evolutivo, il bambino per costituirsi come essere pensante che dice agli altri ciò che pensa, deve maturare complessi meccanismi che poggiano:

– sulle prime esperienze corporee, in cui la pelle costituisce il filtro per gli scambi tra mondo interno e mondo esterno

– sulle esperienze di distacco dalla madre

– sul costituirsi dell’immagine mentale dell’assenza.

Il bambino cresce inserito in un contesto di cure, definite “la preoccupazione materna primaria” e inserito anche in un ambiente di suoni: il linguaggio materno.

Il bambino sviluppa un’attività intenzionale comunicativa propria quando sa differenziare pensieri ed emozioni propri da quelli della madre. Le prime parole nascono nella bocca della madre che si interroga su quale bisogno del bambino debba essere soddisfatto, da questo primo e basilare interrogativo si avvia il processo comunicativo. “hai fame..? hai sonno…? hai mal di pancia..?”.
Da parte del bambino la comunicazione verbale nasce con il primo grido della nascita. Il bambino cresce immerso nella voce della madre, suoni le cui qualità accompagnano e cullano, tramite l’udito, il bambino. Il linguaggio nasce nella complessa dinamica, attivata dalla madre, tra assenza e presenza e viceversa. Presenza: del viso, del corpo, del seno, della voce, madre che parla e rispecchia i suoni, i rumori, il pianto del bambino. Assenza: del viso, del corpo, della voce, della madre. Questa assenza, matrice di ogni desiderio, viene sostituita dalla parola. Nel silenzio, nello spazio vuoto lasciato dalla madre, può comparire il pensiero simbolico: con il pensiero nasce il linguaggio.

Nel corso della crescita le esperienze sensoriali, percettive, somatiche che il bambino ha del proprio corpo in rapporto alle cure materne, divengono immagini interne, rappresentazioni di se stesso e della realtà esterna (Bollas, 1987; Winnicot, 1965; Vallino, Macciò, 2004).

Intorno ai due anni la comparsa della comunicazione verbale, ovvero del linguaggio ha un effetto strutturante sulla mente e favorisce l’organizzazione di un più complesso livello psichico che a sua volta stimola la potenzialità trasformativa del linguaggio. Parallelamente, il processo di simbolizzazione si stabilizza nella continua dialettica tra Io-Altro e nel confronto con le personali significazioni affettive e cognitive.

La realtà, gli oggetti, le emozioni, le sensazioni non sono solo vissuti ma rappresentati con segni o meglio mediante significanti, ovvero la parola. Mentre il bambino impara a parlare costituisce la sua soggettività, poiché, come descritto, parlare significa distinguere sé e la madre, differenziare tra intenzioni proprie ed intenzioni dell’altro ed in questo scambio di contenuti mentali si snodano i processi di identificazione. Il linguaggio è sempre un dialogo in cui le parole sono oggetti mentali scambiati tra due persone.

Le tappe seguenti portano il bambino a perfezionare il linguaggio, si amplia il vocabolario e le parole vengono collegate tra loro secondo le regole della grammatica e della sintassi, producendo inizialmente frasi composte da un soggetto ed un verbo o da un soggetto ed un aggettivo. In seguito, le frasi si collegano tra loro.

Per concludere questa sintetica descrizione sulla nascita del linguaggio, vorrei ricordare che negli ultimi anni nel campo dello studio della psicologia del bambino accanto ai paradigmi teorici della psicoanalisi infantile si sono sviluppati interessanti filoni di ricerca per studiare lo sviluppo relazionale ed emotivo, studi che sottolineano l’importanza della matrice relazionale come base per lo sviluppo dei primi nuclei di personalità del bambino.

Gli studi delle teorie interattive convergono nel dimostrare che, nei primi anni di vita l’interazione tra madre e bambino svolge un ruolo centrale (Schaffer, 1977, Stern, 1985; Sameroff e Emde, 1989). Secondo Stern la necessità di manifestare i propri bisogni motiva il bambino ad agire. L’attenzione della madre nel dare significato e senso alle richieste dl bambino avvia una particolare condivisione definita: sintonizzazione affettiva. Ma il rapporto tra madre e bambino non è descritto soltanto alla luce del processo di sincronizzazione reciproca ma anche come un complesso processo comunicativo dove si alternano sintonizzazione, rottura e riparazione (Beebe, Lachmann, 2002). Concetti ponte utilizzabili in differenti modelli teorici per ampliare la conoscenza dello sviluppo emozionale, comunicativo e linguistico del bambino.

Bibliografia

Schaffer H.R. (a cura di) (1977) L’interazione madre-bambino: oltre la teoria dell’attaccamento, Franco Angeli, Milano, 1984.

Maggio 2014

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