Rooze Mirjan
A cura di Anna Maria Nicolò
Esiste un’emergenza adolescenza? Molti adulti, specie operatori in vari settori (psicologico, socio-sanitario, giuridico, educativo), guardano sgomenti i più di ventimila siti pro-anoressia, le immagini di nudo proprio o del proprio partner o di compagni occasionali che molti adolescenti esibiscono su Facebook. Statistiche incredibili ci dicono che uno su due dei nostri adolescenti ha subito o agito episodi di bullismo a scuola o nei gruppi tra pari. Le prime esperienze sessuali si sono spesso fatte fugaci, occasionali, scisse dalla dimensione affettiva che talora viene raggiunta molto tempo dopo.
L’adolescente privilegia così le sensazioni invece di vivere una relazione con l’altro, con la sua ricchezza e creatività, ma anche con i naturali limiti e la possibile frustrazione che nasce nella relazione con l’altro.
Stiamo anche parlando di un modo peculiare di vivere il corpo, caratterizzato da una sorta di dissociazione affettiva da esso. Fino a qualche anno fa, a dominare la scena delle psicopatologie legate all’integrazione del corpo sessuato erano solo l’anoressia, le dismorfofobie, alcune forme di breakdown; oggi sempre più frequente è l’osservazione di comportamenti auto lesivi che trovano la loro espressione in pratiche comuni come i tatuaggi, i piercing, le cicatrici. Tali pratiche si fanno talora più complesse arrivando al self cutting o alle scarificazioni.
Tuttavia ogni momento storico ha i suoi rituali e le sue pratiche, pertanto i comportamenti di un’adolescente che si segna il corpo con un tatuaggio uguale all’amica, che fa un piercing come i suoi compagni, che esprime con un segno sul corpo un pensiero difficile da simbolizzare, devono essere considerati manifestazioni attuali di un processo evolutivo caratterizzato dal bisogno di appartenenza e dalla difficoltà a simbolizzare il corpo e le sue sensazioni.
La prima domanda da porsi, quindi, è: quando momentanei disturbi della crescita devono essere considerati ‘fisiologici’ e quando indice di un disturbo evolutivo? E’ possibile individuare il rapporto tra tali agiti e il tipo di fallimento del processo di crescita?
Il primo aspetto da sottolineare è la spinta sociale all’individualismo e al protagonismo attraverso il paradosso dell’imitazione e dell’adesione ad un modello condiviso dal gruppo sociale. Riuscire a sentirsi unici e originali, sfida propria dell’età, sembra coincidere in molti adolescenti oggi con il tentativo di costruirsi una sorta di “identità estetica” che sia accettata dal gruppo dei pari. Apparire più che essere – a tutti i costi anche attraverso un’originalità negativa (Erikson) – alimenta la fantasia di emergere dalla massa, che viene sentita di per sé annullante. Non c’è dubbio che il complesso senso della nostra identità ha stretta relazione con lo sguardo di noi su noi stessi e dell’altro su di noi, l’apparenza è una dimensione della nostra identità. A volte tale apparenza conferma l’identità, a volte ne offre un’immagine contrastante e opposta. A volte una personalità fragile sostituisce al senso stabile dell’identità la sua apparenza. Spesso osserviamo quanto gli adolescenti mostrino la ricerca della loro identità attraverso l’angoscioso e incessante mutare della loro apparenza, mostrandosi con i look più differenti e contrastanti. L’adolescente guarda perfino se stesso come se fosse all’esterno di sé, è lo spettatore di se stesso ed esiste nel sentire, nelle sensazioni che prova, sulla superficie della pelle, vista dall’esterno o vissuta sul piano sensoriale. Con questo apparire puoi sentirti nel gruppo e perciò non sei uno “sfigato” e puoi anche entrare in competizione con gli altri. Per non essere sfigato dovrai alla fine essere forte e questo significa per molti adolescenti tenersi lontani dalle emozioni che conferiscono senso di fragilità. «Sono spietato, perciò mi guardano», diceva un adolescente di 14 anni, conferendo alla parola “spietato” un senso di valore e superiorità. E la usava sia lui sia i compagni per dire “ho fatto bene”, “ho risposto bene”. Accanto a tutto ciò, c’è una soluzione inquietante che molti adolescenti usano ed è l’uso delle droghe per calmare l’angoscia, per prodursi sensazioni e come aspetto aggregante. Si sta con i coetanei, ma si è soli con le proprie sensazioni.
Il senso del limite è uno dei compiti dell’adolescenza possibile, in primo luogo proprio grazie alla condivisione del corpo nelle relazioni con l’altro. Assistiamo invece troppo spesso al fallimento di tale processo tra i ragazzi, che invece viene sostituito dalle enormi possibilità correlate allo sviluppo della realtà virtuale che consentono un abnorme mantenimento di un senso di onnipotenza infantile. La vita in internet è una dimensione senza corpo e quindi senza limiti che rappresenta più della metà delle esperienze che i ragazzi vivono quotidianamente. Se da un lato infatti l’adolescente è chiamato a confrontarsi con lo sviluppo sessuale e con la perdita della bisessualità, è turbato dalla prepotente presenza delle sensazioni corporee e dall’impossibilità ad esperirle in modo onnipotente, da un altro il virtuale è governato da leggi differenti, dove i limiti del corpo non esistono e dove sensazioni e confini sono sostituite da pensieri infiniti. Una paziente, qualche anno fa, aveva sviluppato in coincidenza con il menarca una dipendenza da una chat virtuale nella quale aveva assunto l’identità di un amico deceduto, divenendo prima maschio come lui e nel tempo un essere asessuato, che nel mondo dei giochi virtuali viene definito ‘neutro’.
Cosa pensa lo psicoanalista delle nuove adolescenze? Per comprenderle deve certo riandare alla propria adolescenza e sviluppare gli strumenti per navigare in questo mare. Ma quale è la risposta? Come suggeriva Winnicott, è il tempo e attendere nella bonaccia? Ma talora questa attesa è pericolosa e fa perdere occasioni preziose. Oggi con l’adolescente e i suoi genitori abbiamo imparato e stiamo imparando a usare la fantasia, a pensare, a sognare.
Giugno 2015