Andrea Segantini, Le Due Madri – 1889 –
A cura di Simonetta Diena
Balint e la teorizzazione dell’amore primario
Che cos’è l’amore primario passivo, o relazione oggettuale primaria, per Balint?
E’ una pulsione originaria, fonte di ogni successiva evoluzione normale o patologica. Le prime relazioni madre/bambino per Balint si posizionerebbero in una felice ed estatica attesa d’amore e di soddisfazione, che va dal bambino alla madre, senza percezioni di obblighi di reciprocità: una sconfinata ed onnipotente possibilità di ricevere da parte del bambino, una infinita e illimitata capacità di dare nella madre. La tenerezza, in Balint, non è più, come in Freud, una libido inibita nella meta, (vedi oltre) ma è una pulsione autonoma, che non deve più essere individuata rispetto alla genitalità. E anche la genitalità, in Balint, si configura come una pulsione autonoma, legata alla riproduzione del singolo e della specie. Il destino dell’uomo è per Balint legato appunto alla relazione oggettuale primaria: solo la tenera e puntuale gratificazione del bisogno d’amore passivo consentirà al bambino una progressiva crescita nell’esame di realtà fino ad affrontare da adulto l’avventura della genialità. L’assenza di questo amore primario invece lo obbligherà ad affrontare le strade della nevrosi, della perversione o della psicosi.
Primary Love and Psychoanalytic Thecnique, è un insieme di saggi apparsi nel 1952, e scritti da Balint tra il 1930 e appunto il 1952, su tre argomenti strettamente collegati tra loro: la sessualità umana, le relazioni oggettuali e la tecnica psicoanalitica. Non tutti gli scritti, come sottolinea giustamente Zucchini nella prefazione italiana, sono ugualmente interessanti. Ad una lettura attuale sembrano a tratti noiosi e decisamente superati, ciononostante contengono elementi a mio avviso di grande interesse.
Nel saggio Note critiche alla teoria dell’organizzazione genitale della libido (1935) Balint si propone di studiare “lo sviluppo delle relazioni oggettuali, e cioè lo sviluppo dell’amore”
E’ difficile tradurre in linguaggio moderno questo saggio di Balint, che troppo appare impastato di concetti biologici e pulsionali. In parte rimando ai paragrafi successivi dedicati al lavoro di Freud, la comprensione del suo lavoro, ma in parte devo confessare che sono rimasta colpita da quanto, in un insieme di concetti appunto ora desueti, compaiano invece intuizioni fondamentali di clinica e di teoria psicoanalitica. Per esempio quando descrive quei pazienti che “non amano, ma vogliono essere amati.” La richiesta di gratificazione di tale necessità è assolutamente problematica, e viene spesso manifestata in modo violento e con grande dispendio di energia, come se fosse una questione di vita o di morte. Da questa tendenza deriva la paura di essere abbandonati. Balint sottolinea il fraintendimento cui questa richiesta va incontro, perché viene letta come una forma di aggressività e di innato sadismo (In seguito nella Klein questo fraintendimento verrà legato alla teorizzazione del predominio della distruttività nei primi anni di vita.) Ma, dice Balint, e secondo me è geniale: “E’ la sofferenza che rende cattivi, tutto ha un suo precedente che può essere rimosso”. L’altro fraintendimento riguarda la passione. La modalità di manifestazione della pulsione vien confusa con la sua meta: si pensa che i desideri il cui appagamento venga richiesto in modo così appassionato appartengono ad una vita pulsionale sana; mentre sono le mete pulsionali appassionate che conducono ad uno sviluppo disturbato, al fraintendimento delle lingue di cui parla Ferenczi.
In questo modo Balint intende mettere in discussione il bambino polimorfo perverso di Freud, il bambino autoerotico e narcisistico. Ma, dice Balint, la tendenza primaria del bambino a pensare “Io sarò sempre amato, dovunque, in qualunque modo, senza il minimo sforzo da parte mia” che poi è la meta finale dell’amore oggettuale passivo, appartiene appunto al mondo dell’Io del bambino, che non ha ancora operato la differenziazione tra Io e mondo esterno, un mondo che è ancora completamente narcisistico, non ad una perversa ostinazione del bambino, ad una sua innata cattiveria.
In realtà Balint suggerisce, più o meno implicitamente, di sostituire il concetto di narcisismo primario con quello di amore primario passivo. Il narcisismo del bambino deriva, per Balint da questo pensiero: “Se il mondo non mi ama abbastanza, sono io che devo amare e gratificare me stesso”. Di conseguenza vediamo come per Balint il narcisismo sia sempre di natura secondaria. Di fatto insiste sulla differenza tra narcisismo come investimento libidico, cioè quello in cui la persona ama se stessa e quello in cui la persona non prende in considerazione, o in modo insufficiente, la realtà esterna.
Ma per Balint se c’è l’amore oggettuale passivo, che è, ripetiamo, la meta primaria dell’erotismo, l’amore libidico di sé, c’è anche l’amore oggettuale attivo, nel quale invece amiamo e gratifichiamo il nostro partner perché ci ricambi con amore e gratificazione. Entrambi sono strettamente collegati. Commentando la domanda di Freud su “da dove origina il nostro bisogno di applicare la libido agli oggetti” (in Introduzione al narcisismo), Balint dichiara che solo la concezione dell’amore passivo per l’oggetto fornisce una spiegazione di questa descrizione clinica. L’amore narcisistico non può mai raggiungere la meta di tutti gli impulsi sessuali: per essere amati, bisogna entrare in contatto con il mondo e con i suoi oggetti.
Prima di introdurre quello che è a mio avviso il saggio più bello, Amore e odio, (1951) sento che è necessaria una piccola premessa storica.
Non si può affrontare il lavoro di Balint sull’amore primario passivo, dicevo prima, senza fare infatti un breve riferimento all’opera di Freud cui si riferisce costantemente, e cioè ai Tre saggi sulla teoria sessuale. Inoltre credo che ogni riflessione di Balint sulle preoccupazione freudiane sulla relazione tra sessualità e amore, tenerezza e sessualità scelta d’oggetto e scelta narcisistica, non possa non prescindere da questo lavoro iniziale.
I Tre saggi sulla teoria sessuale (1905) sono, insieme all’Interpretazione dei sogni (1899) l’opera che Freud ha arricchito e precisato maggiormente nel corso delle edizioni successive, pur mantenendone intatta la struttura.
E’ nel terzo saggio, Le trasformazioni della pubertà che affronta il compito più arduo, quello di collegare l’esperienza della sessualità infantile all’organizzazione complessiva dello psichismo. La teoria del primato genitale risulta poco soddisfacente: “ L’inizio e la meta finale della successione evolutiva descritta stanno chiaramente davanti ai nostri occhi. I passaggi intermedi ci sono ancora oscuri da molti punti vista; dovremo lasciare in essi più di un enigma non risolto.” La teoria del primato genitale viene prima proposta e poi contrastata continuamente, a favore di un’implicita consapevolezza della necessità di continue ristrutturazioni del funzionamento psichico in relazione alle esperienze di incontro con gli oggetti.
L’enigma di una tensione libidica che non si estingue con il suo soddisfacimento, come avviene invece per la fame, resta aperto, come strada verso sviluppi che valorizzano gli aspetti relazionali: “Ci è rimasto assolutamente non chiaro donde derivi la tensione sessuale che, nel soddisfacimento delle zone erogene, nasce contemporaneamente al piacere, e quale sia l’essenza di essa.”
Come possiamo vedere, Balint parte da questo saggio, ma poi se ne discosta, e non di poco.
Prendiamo per esempio, come inizio di discussione, il punto in cui, in Amore e odio, discute il concetto di onnipotenza infantile:
“Onnipotenza- dice- non significa mai propriamente una situazione di potenza: al contrario, indica un tentativo disperato e molto incerto di vincere una sensazione di inferiorità e impotenza.” Balint inizia a discutere il concetto di onnipotenza per meglio capire quella che chiama la differenza tra amore maturo, o adulto e amore primitivo, nel quale appare di fondamentale importanza un tempestivo e opportuno appagamento di tutti i bisogni, a causa della assoluta dipendenza dall’oggetto. O secondo un altro punto di vista, non è tanto il bambino, o l’adulto, ad essere avido, ma sono le loro gratificazioni ed il loro oggetto ad avere un’importanza assoluta.
Tutte le situazioni oggettuali pregenitali o primitive, come le definiremo meglio adesso, contengono in varia misura questi tre elementi: disperata dipendenza, rifiuto di questa dipendenza per mezzo dell’onnipotenza, il dare l’oggetto per scontato trattandolo come un vero oggetto, una cosa. Alla base di tutte queste relazioni primitive risiede una verifica di realtà falsa e ancora poco sviluppata, o difettosa. Ecco perché l’amore onnipotente, o avido è instabile, e condannato a subire infinite frustrazioni e trasformazioni in odio. L’odio, è per Balint, l’ultimo residuo, il rifiuto e la difesa contro l’amore oggettuale primitivo. Ciò significa che odiamo le persone che non ci amano e si rifiutano di collaborare malgrado i nostri sforzi di guadagnarci il loro affetto. Ci difendiamo innalzando le barriere dell’odio. Ma l’odio ha bisogno del rifiuto della dipendenza, e della disuguaglianza tra oggetto e soggetto.
Gli scritti di Balint si collocano sempre all’interno di un dibattito creativo. In questo contesto dobbiamo leggere i suoi scritti, estremamente attuali nel dibattito moderno sull’esperienza relazionale. Per Balint questa è sempre collocata in una vicenda di costante ambivalenza, di amore e odio, attrazione e rifiuto, fiducia e sfiducia al tempo stesso. Per tali ragioni Balint sottolinea più volte la necessità di una base sicura nella fase pre-verbale. Ecco quindi l’origine e la necessità dell’amore primario.
Ottobre 2015