Incontro con A.Schore, Roma 20 e 21 Ottobre 2012
Società Psicoanalitica Italiana
Centro di Psicoanalisi Romano, Centro Psicoanalitico di Roma, Istituto G. Bollea di Neuropsichiatria Infantile
Nella sua relazione Allan Schore ha messo in luce l’importanza del funzionamento mentale implicito, ossia una conoscenza non conscia, non verbalizzabile e non riattivabile volontariamente nella memoria come avviene per il funzionamento esplicito. Il funzionamento implicito si esprime fondamentalmente attraverso la comunicazione non verbale, ossia la mimica facciale, la postura, la dinamica e il ritmo del movimento ed il comportamento. Un’esemplificazione particolarmente pertinente è la ricerca di Heller, Haynal –Reymond, Haynal e Archinard (2001) che mette in luce come le espressioni facciali in pazienti che avevano tentato il suicidio possano rappresentare degli indici sensibili che evidenziano il rischio di nuovi tentativi. Allo stesso tempo gli stessi terapeuti riflettono inconsapevolmente, attraverso la loro mimica, la conflittualità espressa dal paziente. Pertanto l’attenzione alla sfera implicita può ampliare la sensibilità clinica del terapeuta e la stessa area di scambio fra terapeuta e paziente, le cui implicazioni sono state messe in luce da Allan Schore.
Nel mio intervento vorrei discutere il carattere “embodied” del funzionamento implicito, radicato fondamentalmente nell’emisfero cerebrale destro, ma in senso più ampio nel corpo.
In campo psicoanalitico e in particolare in Freud la sfera corporea è sempre stata al centro dell’esplorazione e della speculazione. In un’annotazione ne L’Io e l’Es (1923) Freud sottolinea che l’Io si basa sulle percezioni interne corporee,
“il corpo di una persona, e soprattutto la sua superficie, è un luogo dal quale possono scaturire sia le percezioni esterne che quelle interne … La psicofisiologia ha pienamente discusso il modo col quale il corpo di una persona acquisisce la sua speciale posizione fra gli altri oggetti nel mondo della percezione … L’Io è in primo luogo e soprattutto un Io corporeo”. Qui vale la pena di sottolineare il ruolo del corpo non solo rispetto alle percezioni cenestesiche interne ma anche rispetto alle percezioni provenienti dal mondo circostante. Successivamente ne Il compendio di Psicoanalisi (1938) Freud sviluppa ulteriormente questo punto di vista: “Viene naturale porre l’accento in psicologia su questi processi somatici, riconoscere in essi il vero e proprio psichico e cercare per i processi coscienti un altro tipo di caratterizzazione” (p. 585). In questa annotazione vengono distinti i processi somatici, che potrebbero essere compresi oggi nel funzionamento implicito, rispetto ai processi coscienti ed espliciti.
Anche altri psicoanalisti come Winnicott (1975) ribadiscono questo punto di vista: “Non è logico opporre il mentale e il fisico come se non fossero della stessa stoffa”.
Si può affermare che il Sé è radicato nel corpo, ossia “embodied”, dal momento che è costantemente sostenuto dall’esperienza corporea sottostante, a differenza della mutevolezza di altre dimensioni nell’esperienza di sé.
Vi sono interessanti convergenze con gli studi e le teorie in campo neurobiologico, come ad esempio quelle di Antonio Damasio che ipotizza nel suo libro “ L’errore di Cartesio” (Descartes’ Error, 1994) che il sé sia radicato nei pattern neurali inconsci che mappano continuamente lo stato del corpo. Nel suo libro “The feeling of what happens” (1999) Damasio scrive: “Questi circuiti neurali sono in grado di rappresentarsi, non consciamente, lo stato del corpo che vive, attraverso le sue molteplici dimensioni. Io definisco lo stato di attività nell’ambito di questi circuiti il proto-self, precursore inconscio dei livelli del sé che emergono nelle nostre menti come protagonisti consci della coscienza: il core self e il sé autobiografico”.
E’ indubbio che questa ipotesi di Damasio si avvicina molto alla concezione di Freud, anche se vi è una differenza fondamentale in quanto Damasio considera che “le pulsioni” dell’Es o il protoself abbiano una propria razionalità ed una finalizzazione in quanto sono state selezionate sul piano evoluzionistico per massimizzare le possibilità di sopravvivenza, in altri termini si può affermare la continuità fra somatico e psichico sostenuta da Winnicott.
Vi è un’altra interessante convergenza, secondo Freud (1923) le radici dell’Io si caratterizzano per le sensazioni corporee e per le emozioni che “sono più primordiali, più elementari, rispetto alle percezioni che originano dall’esterno”. Anche Damasio (2010) ritiene che le emozioni primordiali descrivano “lo stato attuale del corpo secondo varie dimensioni, ad esempio lungo la scala che spazia dal piacere al dolore”.
Ma quali sono le implicazioni di queste concettualizzazioni nelle dinamiche relazionali con l’altro che possiamo percepire e sperimentare come dotato di un sé corporeo, come allo stesso tempo possiamo sperimentare noi stessi come possessori del nostro corpo e autori delle nostre azioni. Nello scambio intersoggettivo può verificarsi un processo bottom-up, che prende origine dalle basi neurali che aiutano a sintonizzarsi con le intenzioni dell’altro. L’altro assume un valore relazionale più complesso di un diverso sistema mentale rappresentativo, infatti diventa un sé corporeo come noi stessi.
Le scoperte dei Mirror Neurons (MN) sembrano confermare questa ipotesi infatti è stato messo in luce che il sistema corticale motorio è organizzato funzionalmente in termini di motor goals, per cui i MN si attivano non solo quando effettuano determinati atti motori, ma anche quando rispecchiano le finalità motorie e le intenzioni motorie dell’altro, per cui la comprensione dell’azione avviene attraverso il Mirror Mechanism (MM).
Nell’uomo il MM è somatotopicamente organizzato ed è implicato nell’imitazione di movimenti semplici e complessi attraverso quello che è stato definito effetto camaleonte. Il sistema motorio ha il ruolo specifico di mappare l’esperienza relazionale con una finalità motoria, per cui il comportamento dell’altra persona può essere compreso ad un livello di astrazione senza implicare una concettualizzazione esplicita.
La cognizione motoria è fondamentale nella costruzione della intersoggettività, infatti più che attribuire esplicitamente le intenzioni agli altri, nella maggior parte dei casi le cogliamo e le intuiamo. Naturalmente esistono altri meccanismi di rispecchiamento che implicano la condivisione delle emozioni e delle sensazioni, ad esempio l’espressione facciale dell’altro determina un’attivazione congruente nell’osservatore e sul piano cerebrale oltre alla corteccia premotoria ventrale vengono attivate anche l’insula e l’amigdala (Carr et al, 2003).
Quando osserviamo l’espressione di un’altra persona non solo utilizziamo l’inferenza esplicita, ma riattiviamo gli stessi circuiti che abbiamo già sperimentato in altre occasioni. In questo caso interverrebbe il meccanismo dell’embodied simulation (ES), (Gallese et al., 2007) che può spiegare l’esperienza intersoggettiva in termini di intercorporeità che costituisce la principale fonte di comprensione degli altri.
L’ES spiega gli aspetti costitutivi dell’intersoggettività per cui vengono riattivati gli stati mentali o i processi iscritti nel format corporeo per attribuirli agli altri, con una rassomiglianza intrapersonale fra quello che si prova e quello che si vede negli altri.
Questi format somatici sono rappresentati da profili motori, viscero-motori e somato-sensoriali caratteristici delle rappresentazioni iscritte a livello corporeo, in base ai quali si è in grado di sperimentare e di riconoscere le esperienze degli altri perché sono simili alle nostre.
Se trasferiamo queste osservazioni in campo analitico, oltre alle forme di comprensione intersoggettiva legate all’insight e alla mentalizzazione e alla risonanza emotiva intervengono meccanismi non consci che si basano sulla simulazione incarnata e sulla imitazione implicita. Nel contesto analitico lo scambio intersoggettivo si sviluppa inizialmente sulla base di un’interazione non consapevole, in cui intervengono la simulazione incarnata e l’imitazione implicita dello stato dell’altro che garantisce l’introiezione dell’esperienza dell’altro. Come afferma Knoblauch (2005) si verifica in questo modo una espansione del campo intersoggettivo indirizzando l’attenzione della coppia terapeutica sulla dimensione della intercorporeità, un voli me tangere.
Lo stesso Schore (1994) descrive il controtransfert come “la capacità di riconoscere e utilizzare la sensorialità … le qualità affettive dell’immaginazione …”. In modo simile Loewald (1986) sottolinea che le dinamiche del controtransfert sono comprese in base alle osservazioni dello psicoanalista delle proprie reazioni viscerali nei confronti del materiale del paziente”. Un ulteriore contributo è quello di Knoblauch (2005) che sottolinea l’utilità di espandere l’attenzione analitica ai “micromomenti di comunicazione embodied” da integrare con la comunicazione simbolizzata, che fanno riferimento alle osservazioni microanalitiche dell’infant research.
Riprendendo lo specifico focus di Allan Schore sul trattamento degli esiti post-traumatici è utile sottolineare l’importanza di riconoscere nel lavoro analitico il vissuto corporeo del paziente ma anche dell’analista quando viene rievocata l’esperienza traumatica, ma anche le manifestazioni dissociative somatomorfe spesso difficili da visualizzare e da collegare all’esperienza traumatica. Il corpo rappresenta spesso il luogo in cui viene sequestrato il ricordo implicito dell’esperienza traumatica che se non viene riconosciuto difficilmente può essere verbalizzato e simbolizzato.