A cura di Antonello Correale
L’allucinazione, che in psichiatria viene classicamente definita come una percezione senza oggetto, è considerata in psicoanalisi come la punta estrema di un fenomeno percettivo molto più ampio, che può essere definito allucinatorio.
Per allucinatorio, si intende un pensiero, un’immagine, una traccia mnestica, un particolare percettivo, che assumono una iperchiarezza, una vivacità sensoriale, una coloritura così intensa, da occupare lo spazio mentale, rallentare o addirittura impedire il flusso associativo e determinare sul soggetto che lo prova una sorta di ipnosi, di incantamento, di catturamento quasi totale dell’attenzione.
Le caratteristiche dell’allucinatorio, oltre alla iperchiarezza e alla vivacità sensoriale, sono una perdita della terza dimensione, un allentamento del rapporto figura – sfondo, una perdita di un punto di vista particolare. L’immagine viene insomma in larga misura decontestualizzata e rimane come sospesa nella mente, potente e isolata in una sorta di fissità.
Freud ha fatto dell’allucinatorio uno dei pilastri del suo pensiero, al punto di arrivare a dire che la percezione è sempre in prima istanza allucinatoria.
Per comprendere questa affermazione, bisogna considerare che Freud pensa che il soggetto- bambino è sempre dominato da un desiderio violento di oggetto e delle soddisfazioni che l’oggetto può offrigli o offrirle.
Quando l’oggetto è assente e quindi non in grado di offrire le soddisfazioni richieste, il bambino allucina cioè presentifica l’oggetto alla mente, in forma particolarmente intensa e eccitante, per compensare la delusione dell’assenza. Solo gradualmente, attraverso il ritmo assenza- presenza, la madre permette al bambino di riconoscere una presenza reale fuori di sé e di rinunciare alla gratificazione allucinatoria in nome dell’oggetto reale.
Nel lavoro La negazione, Freud riprende questa tema e arriva a dire, che solo il ritrovare l’oggetto ne permette il riconoscimento di realtà. Se l’oggetto non viene ritrovato, ma solo trovato, la percezione rimane in prima istanza allucinatoria.
Insomma, Freud ritiene che il principio del piacere influenzi profondamente il principio di realtà, al punto che solo un’insistenza dell’oggetto sul soggetto permette che al principio del piacere – è buono, è cattivo – si aggiunga il principio di realtà – è vero, non è vero.
Freud distingue poi i ricordi di copertura e l’allucinatorio vero e proprio.
Nei ricordi di copertura, un desiderio verso un oggetto proibito si sposta su un oggetto contiguo, incapace in se stesso di procurare desiderio, ma investito perché vicino all’oggetto desiderato. Questo meccanismo è presente nelle nevrosi e in particolare nell’isteria.
Nell’allucinatorio vero e proprio, il desiderio e i meccanismi di divieto e di difesa che mette in atto, la fa da padrone e l’oggetto allucinatorio prende il posto addirittura dell’oggetto reale. Questo meccanismo è tipico, secondo Freud, della psicosi.
La Klein pone l’allucinatorio sotto il segno della scissione. L’aggressività rabbiosa che domina il bambino lo spinge o la spinge a scindere addirittura la percezione, che viene attaccata e frammentata. L’allucinatorio e il suo polo estremizzato, l’allucinazione, sono frammenti di una percezione sotto attacco.
Il tema verrà ancora più fatto avanzare da Bion, che pone tutto l’allucinatorio sotto l’egida dei meccanismi della identificazione proiettiva maligna, un attacco evacuativo non solo al pensiero, ma anche alla percezione, in obbedienza a intensi bisogni espulsivi dell’attività di pensiero.
Winnicott modifica questo approccio e individua un percorso che potremmo chiamare dall’allucinazione alla illusione. La madre-oggetto transizionale raccoglie tracce dell’allucinatorio, per inserirle nella attività condivisa dell’illusione.
Più recentemente, nell’ottica di una ripresa attenta del pensiero freudiano, i Botella affermano che l’allucinatorio è l’effetto del trauma. La scomparsa improvvisa di un oggetto investito potentemente non lascia un vuoto, ma un pieno di frammenti sensoriali allucinatori, che hanno il fine di mantenere, trattenere qualcosa dell’oggetto, per non sprofondare in un vuoto affettivo e rappresentativo.
I Botella chiama lavoro della raffigurabilità psichica questo operare sull’allucinatorio, che diviene così, nella loro ottica, non più un elemento di scarto, ma addirittura la via maestra per recuperare una certa possibilità di rappresentazione dell’oggetto perduto.
Possiamo riassumere dicendo che l’allucinatorio è un attività fondamentale della mente, al servizio della pulsione, ma che assume una rilevanza del tutto particolare in alcune condizioni, come il trauma, l’isteria, la psicosi.
Può essere considerato come frutto di un espellere o come frutto di un trattenere. E’ questo un dibattito fondamentale nella psicoanalisi contemporanea, i cui risultati possono determinare una modifica profonda nelle modalità di trattamento della psicosi cronicizzata e dei disturbi gravi di personalità, nonché nei casi sempre più frequenti di isteria grave.
In ogni caso è fondamentale un’attenzione assoluta al fenomeno nell’attività clinica.
Febbraio 2014