A cura di Benedetta Guerrini Degl’Innocenti
Cos’è l’Affido Familiare?
L’affido familiare è un provvedimento disciplinato da una legge dello Stato che si fonda sul riconoscimento del diritto del minore ad avere una famiglia. Quello che la legge n. 184 del 1983, poi modificata dalla Legge n. 149 del 2001, stabilisce è un intervento temporaneo di aiuto e di sostegno ad un minore proveniente da una famiglia che al momento non è in grado di occuparsi delle sue necessità. Attraverso l’affidamento, il bambino incontra una famiglia che, accogliendolo nella propria casa e nella propria vita, si impegna ad assicurare un’adeguata risposta ai suoi bisogni affettivi, educativi, di mantenimento ed istruzione nel rispetto della sua storia individuale e familiare. Alla base quindi di questa legge ci sta il fondamentale riconoscimento dell’importanza vitale che rappresenta, per l’avvenire della salute mentale, la qualità delle cure prodigate al bambino dalle figure genitoriali nei primi anni dell’infanzia.
Accudimento e funzione genitoriale
La funzione genitoriale è un compito che ha a che fare con l’allevamento dei bambini, un compito che prevede la messa in atto di un ambiente favorevole allo sviluppo cognitivo e sociale, un compito che riguarda la capacità genitoriale di rispondere alle situazioni di disagio del bambino, ai suoi approcci sociali, alle sue necessità così come ai suoi comportamenti negativi; un compito che ha a che fare con la risoluzione dei conflitti e delle difficoltà interpersonali.
Per queste ragioni la realizzazione di un’adeguata funzione genitoriale richiede delle “capacità” di vario genere che si possono sintetizzare nello sviluppo di una sensibilità ai segnali che vengono dal bambino e nella capacità di rispondere adeguatamente ai differenti bisogni che caratterizzano le diverse fasi del suo sviluppo; nella capacità di gestire le interazioni sociali, le situazioni difficili e gli eventi vitali perturbanti; nel sapere come giocare e parlare con il bambino e in un uso della disciplina tale da ottenere la messa in atto del comportamento desiderato da parte del bambino in un modo che risulti armonico ed adeguato a favorire l’incremento del suo auto-controllo (Rutter, 1989).
Dati emersi da ricerche effettuate in popolazioni di diverse culture sembrano suggerire che madri socialmente isolate che portano da sole l’intero carico della responsabilità diventano più frequentemente rifiutanti verso i propri figli. Questo suggerisce la necessità di una prospettiva che potremmo definire “ecologica”, che riconosca che la famiglia è un sistema funzionale la cui operatività può essere alterata dalla sua composizione interna così come da situazioni esterne (Bronfenbrenner, 1979). Una tale prospettiva implica che si debba rivolgere un’attenzione speciale alla genitorialità intesa in termini di risorse emozionali disponibili per il genitore.
Anche le risorse pratiche, intese come fonti di supporto quotidiano nella gestione dei figli, hanno una loro importanza e un peso, anche se, naturalmente, la mancanza di supporto materiale non può essere considerata come una variabile completamente indipendente rispetto a quelle che spesso sono le difficoltà interpersonali della famiglia. In altre parole si può pensare che la povertà di risorse esterne di certe famiglie rifletta abbastanza fedelmente quelle che sono le insoddisfacenti relazioni sociali primarie della famiglia stessa, un profondo bisogno di supporto pratico ed emotivo e probabilmente anche la conseguenza di frequenti cambiamenti di casa e di ambiente sociale che rende assai difficile sviluppare buone relazioni di aiuto e di vicinato.
Il supporto sociale non è qualcosa che è di per sé disponibile o meno nell’ambiente circostante, ma riflette abbastanza chiaramente la forza o la debolezza sviluppata da ciascuno nell’elicitare o attrarre il sostegno da parte degli altri.
Poiché i figli tendono a identificarsi inconsapevolmente con i genitori sotto vari aspetti, e pertanto ad adottare, quando siano diventati a loro volta genitori, verso i propri figli gli stessi modelli comportamentali che hanno essi stessi sperimentato durante la propria infanzia, modelli di interazione sia adattivi che disadattivi si trasmettono più o meno fedelmente da una generazione all’altra. Pertanto l’eredità della salute mentale e della malattia mentale tramite la microcultura familiare è certamente non meno importante di quanto sia l’eredità tramite i geni e forse anche più importante.
Le cause del disfunzionamento genitoriale sono indubbiamente complesse, ma sia la violenza fisica che sessuale, che la trascuratezza, riconoscono al fondo dei sentimenti negativi verso i bambini.
Se una società vuole davvero aiutare i bambini in difficoltà – scriveva John Bowlby – deve trovare un modo per aiutare i loro genitori e l’importanza della teoria dell’attaccamento sta nel fatto che ha dato consistenza scientifica allo studio del legame che i bambini e i loro genitori (o le persone più importanti che si prendono cura di loro) stabiliscono fin dagli stadi precoci dello sviluppo (Bowlby, 1958; 1969).
Attaccarsi, separarsi e affidarsi
In un noto libro Myriam David (1989) suggerisce che le situazioni che conducono all’affidamento scaturiscono prevalentemente da una sorta di “intolleranza madre- bambino” che sarebbe da ricondurre ad un precoce disturbo del processo di costruzione delle strategie di attaccamento. Tale intolleranza potrebbe essere sufficientemente consapevole da motivare la richiesta di affidamento da parte degli stessi genitori, caso a dire il vero non molto frequente, o, più facilmente, essere più o meno occulta, inconscia, e manifestarsi o attraverso la comparsa di sintomi di disagio o di sofferenza psichica nel bambino, o attraverso un improvviso e spesso violento passaggio all’atto da parte del genitore.
Anche altri autori hanno sottolineato come l’elemento strutturale comune di molte famiglie multiproblematiche sia riconducibile ad una distribuzione patologica di stili relazionali assimilabili a categorie di attaccamento quali l’“invischiamento” e il “disimpegno”, e come mostrino al loro interno oscillazioni continue fra un totale coinvolgimento e invischiamento fra i membri da un lato, ed il disinteresse, il disimpegno reciproco, in particolare dei genitori per i figli dall’altro. All’oscillazione tra coinvolgimento e disimpegno corrisponderebbe poi quella tra attitudini fusionali e brusche separazioni che, nella loro forma più estrema, si possono manifestare come veri e propri abbandoni, sia fisici che psicologici (Stierlin, 1978).
Da questi contributi sembra emergere una sostanziale convergenza riguardo alla centralità dei processi di separazione-individuazione e dei loro aspetti problematici raffigurantesi nei comportamenti ambivalenti e ambitendenti dei genitori problematici e di come questi possano innescare quei meccanismi di espulsione che inducono l’affidamento familiare. Del resto è ormai ampiamente documentata in letteratura la frequenza di “cicli dell’abuso”, intendendo il termine di abuso nel suo significato più estensivo che include accanto alle forme estreme e conclamate di grave maltrattamento fisico e di abuso sessuale, tutte quelle situazioni ben più subdole di abuso emotivo e di trascuratezza fisica e psicologica. Il bambino emotivamente deprivato di oggi diventa il genitore trascurato di domani: le esperienze avverse vengono internalizzate dal bambino che cresce in modo tale da condurre ad altre esperienze avverse, perpetuando così il circolo negativo della patologia.
D’altra parte, la ricerca sull’attaccamento ci mostra come per il bambino nel primo anno di vita sia condizione indispensabile per lo sviluppo psicologico, la presenza di una figura di accudimento stabile, capace di assicurare un’interazione affettiva e per mezzo della quale costruire una strategia di attaccamento il più possibile “sicura”, strategia che rappresenterà nel futuro lo schema di riferimento per i rapporti con se stesso e con il mondo. È per questo motivo che, soprattutto nelle situazioni in cui la relazione familiare disfunzionale coinvolge un bambino nei primi due anni di vita, la scelta dell’affido familiare può rappresentare una nuova occasione per il bambino e per i genitori naturali di far ripartire il percorso evolutivo su un binario più sicuro.
E’ abbastanza inevitabile pensare che l’affido di un bambino molto piccolo, ad eccezione di quelle situazioni in cui si possa ipotizzare subito una probabile evoluzione verso l’adottabilità, deve necessariamente essere pensato come una forma di presa in carico di tutto il nucleo familiare (Guerrini Degl’Innocenti, 2015). Infatti la famiglia affidataria può rappresentare non solo un’occasione per quel bambino di riabilitare la propria capacità interattiva precocemente interrotta o disturbata dalle distorsioni delle relazioni genitoriali e familiari, ma anche una nuova occasione per i genitori naturali di sperimentare loro stessi una forma di sostegno e di aiuto. Molto spesso le difficoltà relazionali precoci sono leggibili come una forma di riattualizzazione da parte dell’adulto divenuto genitore, di un’immagine del sé bambino trascurato, fisicamente e/o psicologicamente, talvolta abusato o, al contrario, iperinvestito fino a complete inversioni di ruolo in cui il bambino viene trasformato nel genitore del proprio genitore. Queste dinamiche, nella maggior parte dei casi non elaborate e quindi inconsce, fanno sì che quel genitore trascurato, abusato o negletto possa inconsapevolmente proiettare sul proprio figlio quella parte così danneggiata del sé infantile allo scopo, sempre inconscio, di liberarsene. Al tempo stesso quello che viene messo in atto è un modello operativo interno patologico della relazione di attaccamento, modello che quel genitore ha strutturato nei primissimi anni dell’infanzia nella interazione quotidiana con i propri genitori.
L’affido, che interviene a regolamentare sia la separazione fra il bambino e i suoi genitori che a stabilire le modalità di incontro e scambio, può così aiutare questo nucleo disfunzionante a compiere il percorso verso l’elaborazione dei processi di separazione e individuazione, laddove la separazione fisica di fatto stabilita serva a promuovere quella separazione psichica che può contribuire alla ristrutturazione del sistema familiare.
Bibliografia nel testo
Bronfenbrenner U. (1979), The ecology of human development: experiments by nature and design. Cambridge, MA: Harvard University Press.
Bowlby J. (1958), The nature of the child’s tie to his mother. International Journal of Psychoanalysis, 39, 350-373.
Bowlby J. (1969), Attaccamento e perdita. 1: L’attaccamento alla madre, Boringhieri, Torino, 1983.
David M. (1989), Le placement familial. De la pratique à la théorie. ESF Paris.
Guerrini Degl’Innocenti B. (2015) I legami di cura: attaccarsi, separarsi, affidarsi. Famiglia e Diritto. Mensile di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 2: 199-204.
Rutter M. (1989), Intergenerational continuities and discontinuities in serious parenting difficulties, in D. Cicchetti & V. Carlson (Ed.), Child Maltreatment, Cambridge University Press.
Stierlin H. (1978), La famiglia e i disturbi psicosociali, Boringhieri, Torino, 1983.
Voci bibliografiche di riferimento generale
AAVV (1997), Un bambino per mano. L’affido familiare, una realtà complessa. Franco Angeli, Milano.
Barbagli M., Saraceno C. (1997) Lo stato delle famiglie in Italia. Il Mulino, Bologna.
Mazzucchelli F. (1993) (a cura di) Percorsi assistenziali e affido familiare. Franco Angeli, Milano.
Nunziante Cesaro A., Ferraro F. (1992) (a cura di) La doppia famiglia. Discontinuità affettive e rotture traumatiche. Franco Angeli, Milano.
Vedi anche :
In Dibattiti: Dibattiti IPA: le nuove famiglie