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La diagnosi in adolescenza
A cura di Giovanna Montinari
L’adolescente nella diagnosi
L’adolescenza segna l’inizio di un’attività autodiagnostica del soggetto, a differenza del fatto che durante l’infanzia la diagnosi del bambino è fatta da altri: genitori, educatori, operatori delle istituzioni ecc.. L’ottica di osservazione si dovrà perciò muovere in un continuum fra l’ascolto del soggetto adolescente e la valutazione diretta o indiretta del contesto relazionale e affettivo in cui l’adolescente è inserito. La diagnosi in adolescenza, non va intesa soltanto come riconoscimento obiettivo di uno stato, né come individuazione della causa dei sintomi, ma come un tentativo di scoperta del Sé segreto dell’adolescente (Novelletto 1986), nei suoi vari aspetti, sia funzionanti che disturbati.
Nel periodo dello sviluppo psichico normale che si definisce adolescenza, il soggetto va incontro ad un insieme di trasformazioni intrapsichiche intimamente correlate, che lo porteranno ad integrare nel proprio Sé il corpo sessuato, capace di generare, l’appartenenza all’uno o all’altro dei due sessi, che sono complementari.
Questi processi sono intimamente correlati con lo sviluppo dell’esame di realtà, nei suoi aspetti cognitivi e di pensiero.
Il bagaglio di identificazioni che il bambino porta con sé e che si era formato sulla base di idealizzazioni degli oggetto primari (i genitori) va incontro ad un’adeguamento alla realtà, che mette in gioco il problema della perdita, che porta con sé il lavoro del lutto. Ciò richiede che l’attenzione dell’osservatore si rivolga agli aspetti economici del funzionamento mentale dell’adolescente; cioè al disinvestimento della cariche istintive che egli fa rispetto agli oggetti del passato e all’investimento su altrettanti oggetti nuovi.
Durante tutto il suddetto processo di rimaneggiamento e di perdita, il sistema Io-Sé diviene particolarmente bisognoso di sostegno. Quest’ultimo avviene dapprima sul modello della dinamica di doppio, cioè privilegiando oggetti affini (per sesso, età, somiglianza ecc.). Però se da un lato l’amore per “lo stesso” rinforza il narcisismo, dall’altro esso va a detrimento dell’amore per “l’altro”, il diverso da sé per le stesse caratteristiche (sesso, età e altre differenze). Le amicizie particolari della prima adolescenza svolgono questo ruolo, e così pure il dialogo con lo specchio. Si definiscono oggetti-Sé quelli che vengono scelti per salvaguardare la coesione del Sé, cioè che consentono l’uso narcisistico di oggetti esterni.
Un aspetto importante di questa evoluzione dell’esame di realtà è la possibilità di distinguere tra realtà esterna e realtà interna. L’oggetto reale esterno deve poter essere percepito come tale e non come ricettacolo dei desideri e delle aspettative che il soggetto proietta su di lui come pura espressione del desiderio.
L’azione come mezzo per influire costruttivamente sulle condizioni reali esterne (ad esempio per mettersi in contatto con l’oggetto dei desideri) deve potersi liberare dal primato del principio del piacere ed essere modulata in base ai dati dell’esame di realtà.
L’energia istintuale aggressiva, indispensabile alla conquista e alla creazione del legame con l’oggetto, deve poter perdere le connotazioni di onnipotenza, distruttività ed urgenza che possedeva nelle fasi di sviluppo precedenti.
Lo sviluppo dell’attività, introspettiva dovuta ai rimaneggiamenti sopra detti, induce l’adolescente a formulare una sua diagnosi autonoma . Spesso le definizioni che costruisce di sé sono affrettate, esagerate, autolesionistiche, alcune ben note: la dismorfofobia, l’anoressia, il destino fallimentare, le distorsioni dell’identità, l’isolamento ecc. Negli adolescenti meno disturbati questa attività è invece circondata dal riserbo, tutt’al più possono condividerla con i pari scelti elettivamente (Novelletto1986). Il lavoro terapeutico consiste spesso sostanzialmente nell’aiuto a rendere compatibili e confrontabili queste due diagnosi. Tale lavoro si pone come il primo tentativo del terapeuta di mostrare al paziente aspetti nuovi della propria diagnosi.
Il processo diagnostico con l’adolescente si pone fin dalle prime battute come lo spazio per un possibile passaggio che fa evolvere l’immagine di Sé da diagnosi segreta a diagnosi condivisa, passo essenziale verso l’assunzione di un’identità pubblica, complementare a quella di altri e pre-condizione per la creazione di nuove reazioni.
Fin dal primo colloquio con l’adolescente queste dinamiche sono parte integrante del processo diagnostico. Il bisogno difensivo di differenza e di ambiguità rende impossibile all’adolescente accedere sollecitamente ad una negoziazione. La valutazione che il terapeuta fa dentro di sé deve spesso essere immediata, perché può essere urgente trovare l’equidistanza tra l’interesse dell’adolescente per una maggiore conoscenza di sé, che però lo allarma, e la banalità dell’incontro, che lo delude (Donnet1983). Da parte sua il terapeuta deve trovare l’ascolto interno del proprio controtransfert, che è la matrice dell’interpretazione diagnostica.
Dunque l’incontro tra terapeuta e adolescente possiede da entrambi i lati una dimensione creativa importante, che però richiede il superamento di tutte le operazioni difensive con cui l’adolescente cerca di occultare il proprio mondo interno e, da parte dell’osservatore, il superamento della preoccupazione di trovare la distanza giusta tra l’intrusione o l’eccessivo riserbo.
Diversi autori hanno nel tempo proposto modelli di valutazione nel tentativo di inquadrare sia il processo che l’organizzazione, della personalità in divenire dell’adolescente. Fra questi Kernberg (1984) con l’uso dell’intervista per la diagnosi dell’adolescente, centrata sulla valutazione dell’interazione esistente fra l’intervistatore e l’adolescente in un procedimento circolare che correla la storia dei sintomi con la relazione terapeutica. Molto utili sono le categorie di valutazione di massima, come quelle proposte da Laufer (1984) che distingue tre categorie: 1) il funzionamento difensivo; 2) la situazione di stallo; 3) la conclusione prematura dello sviluppo. Altri autori proposto un atteggiamento diagnostico più integrato (Novelletto 1986, Monniello 2005,2014, Nicolò 1992, 2014) con il pensiero psicoanalitico, come Jammet (1980) nella importante chiarificazione sulla specificità del funzionamento mentale dell’adolescente che si muove in un continuum fra il mondo interno e il mondo esterno, tale per cui l’uso che egli fa delle relazioni e dell’altro è funzionale non solo alla sua economia narcisistica ma al trattamento delle sue istanze interiori. Il contributo radicale e prezioso proposto da R. Cahn (1998) con il concetto di soggettivazione, considera l’adolescenza un tempo organizzatore l’identità del soggetto, un tempo deputato allo sviluppo della soggettivazione e al conseguimento dei compiti evolutivi propri di quella fase. Processo di soggettivazione che perdura nel corso di tutta la vita a seconda di come si è concluso e risolti nella fase dell’adolescenza.
Novelletto (1986) in questa direzione ha sviluppato il concetto di “diagnosi prolungata”, una sorta di trattamento di prova in cui l’operatore può rendersi conto dello stato dell’arte dello sviluppo dell’adolescente, dei suoi rimaneggiamenti difensivi, può valutare il rapporto fra investimenti narcisistici e investimenti oggettuali e in sostanza saggiare la propensione alla terapia dell’adolescente. Anche T. Senise proponeva un processo di valutazione differenziato fra genitori e adolescenti definendo il proseguo della valutazioni una “psicoterapia breve di individuazione”.
Si evince che la letteratura psicoanalitica declina in diversi modi sia il punto dello sviluppo sia il tema relativo al quadro psicopatologico emergente in adolescenza. Le caratteristiche provvisorie e mobili delle patologie adolescenziali indicono ad una prudenza nelle generalizzazioni i invitano alla valutazione caso per caso, seguendo una linea generale dell’intreccio fra asse narcisistico e asse oggettuale.
L’osservazione diagnostica basata sulla tecnica dell’osservazione dinamica, valorizza in modo particolare il racconto della propria storia da parte dell’adolescente, ritenuta da quest’ultimo un patrimonio narcisistico ( Novelletto 2006). L’osservatore si trova spesso di fronte a tre storie: quella raccontata dai genitori, quella che il figliotenta di costruirsi dentro di sé (condividendo brani di quella dei genitori, rifiutandone altri e
aggiungendone altri ancora) e infine quella che egli è in grado di comunicare, seguendo i propri bisogni di causalità e le necessità della propria economia narcisistica
Molto importanti sono anche i sentimenti che accompagnano invariabilmente il racconto della propria storia , essi sono ispirati dall’assetto narcisistico del passato.
E’ insomma evidente, oltre al valore diagnostico, anche quello prognostico della storia come indicatore delle possibili scelte terapeutiche utili a quel soggetto adolescente.
Si può dire che l’osservatore funge da animatore della storia del paziente, ma lo fa indirettamente, attraverso l’effetto provocatorio che il transfert produce nel paziente. L’imprevedibilità dell’incontro con un oggetto nuovo, che è propria delle consultazioni iniziali, può spesso offrire spunti di transfert rivelatori delle capacità dell’adolescente di fare nuovi legami, e del come la relazione con altro viene percepita e usata.
In ogni caso il transfert organizza nuove aggregazioni, spesso inattese e sorprendenti per lo stesso paziente, degli eventi e dei ricordi del passato che egli credeva talvolta di avere già archiviati in una propria storia.
Data l’importanza del transfert nel corso della raccolta della storia, è opportuno ricordare,
oltre al transfert oggettuale, anche i vari tipi di transfert narcisistico che l’adolescente può presentare, ( Kohut1971).Trattandosi di una relazione a due, è ovvio che si prendano in considerazione anche le risposte emotive del terapeuta di fronte al transfert dell’adolescente. Non di meno è necessario conoscere le risposte ai transfert narcisisti che l’adolescente può fare su di noi, e cioè il controtransfert speculare e quello idealizzante.
Nella maggiore parte dei manuali di psicopatologia dell’adolescenza ( Marcelli e Braconier, Ammaniti) si trovano di solito schemi di osservazione che hanno lo scopo di elencare ordinatamente i dati da raccogliere nel corso dei colloqui e di altre eventuali indagini sull’adolescente, eventualmente anche sui suoi famigliari.
Ciò contribuisce ad aiutare l’operatore ad orientarsi verso una valutazione diagnostica del caso.
Naturalmente questa diagnosi potrà essere intesa in modo diverso a seconda dell’orientamento teorico-tecnico di ciascun osservatore o del servizio istituzionale del quale egli fa parte (Monniello 2005,) , qualunque sia il destinatario della valutazione diagnostica, e qualunque sia il metodo di raccolta e di descrizione dei dati forniti dal paziente, l’osservatore dovrà tenere nel massimo conto tutto quello che si origina nella propria mente, perché è proprio da quella zona, definita “preconscio” (proprio perché è intermedia fra inconscio e coscienza e strettamente legata al Sé) che provengono spontaneamente le intuizioni da cui potrà formarsi un giudizio relativamente partecipe sull’osservato. Questo processo, che fa parte del cosiddetto “controtransfert” prende inizio sotto forma di elementi psichici rozzi, prevalentemente emotivo-affettivi che, se non prematuramente repressi dall’osservatore come interferenze indebite, nel loro transito verso una coscienza più piena, si integreranno con percezioni, apporti di pensiero, ricordi, operazioni intellettive, fino a raggiungere lo stato di veri e propri giudizi. E’ grazie a questo lavoro spontaneo, non intenzionale, che il resoconto diagnostico dell’osservatore, anziché limitarsi ad una operazione esclusivamente razionale di collegamento fra dati psichici singoli, funzioni sane o deviate e presunte cause, potrà assumere le caratteristiche di un incontro umano vissuto e perciò suscettibile di fungere da modello per ogni altra relazione possibile (Montinari-Natali 2005).
La tecnica dell’osservazione psicodinamica permette di arrivare alla formulazione dei quesiti diagnostici in merito a quali delle tappe di sviluppo sono state raggiunte oppure no e quale rapporto causale può esservi tra gli eventuali arresti e ritardi di sviluppo, da un lato, e i disturbi dall’adolescente osservato dall’altro.
Lo scopo di questa valutazione dello sviluppo psichico del soggetto sta nel definire il grado della sua vulnerabilità psichica, innanzi tutto ai fini del rischio più grave che l’adolescente può correre, cioè quello del breakdown (rottura psicotica o come lo definiscono i Laufer) sempre che il breakdown non si sia già verificato e che sia proprio quello il motivo della consultazione.
Le decisioni in merito a qualsiasi forma d’intervento devono tener conto del danno che si è verificato, che continua a sussistere o che può verificarsi nel processo evolutivo dell’adolescente.
Il traguardo diagnostico ideale è quello di raggiungere un giusto equilibrio tra valutazione dei dati obiettivi (tra cui i sintomi) e quelli soggettivi (in particolare le nostre risonanze controtransferali di osservatori partecipi) di fronte all’interazione che l’adolescente che abbiamo davanti stabilisce con noi, alle sfumature transferali che possiamo cogliere fin dal primo incontro. Non di meno saranno rilevanti le valutazioni riguardo alle dinamiche familiari e della coppia genitoriale (Carbone 2005)
Tra i fattori che possono aiutare di più l’analista a definire la possibilità per l’adolescente di accedere ad una psicoterapia, vi è la capacità della coppia analitica di costituire un’alleanza terapeutica, la capacità di sfruttare l’analisi del transfert, la possibilità di collocare il lavoro analitico (raccolta del materiale, interpretazione, elaborazione) in un’area non troppo conflittuale dell’Io.
Tornando alla fase di valutazione iniziale, è importante che nel corso di essa l’osservatore non assuma prematuramente un atteggiamento analitico rigoroso (silenzio, neutralità dell’atteggiamento, assenza di domande, ecc…). Quello che conta è che la risposta al paziente sia totale, cioè comprenda i dati oggettivi e quelli soggettivi, il presente e il passato, i sintomi e l’organizzazione di base, la risonanza controtransferale immediata e la riflessione meditata.
Bibliografia
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Febbraio 2015
Vedi anche:
Anna Maria Nicolò – Organizzazione difensive nei breakdown