Resoconto di M.Ponsi
Il resoconto è stato pubblicato su Riv.Psicoanalisi in Rete, 4,2009.
Oggi non c’è quasi più disciplina a cui prima o poi non sia capitato di venire preceduta dal prefisso “neuro-“, né quasi più ambito di esperienza a cui non sia capitato di venire spiegata con le tecniche di immagine cerebrale.
Se in molti casi si può pensare a una moda – a una neuro-mania, come dicono Legrenzi e Umiltà – nel caso della psicoanalisi un confronto approfondito con le neuroscienze, e magari anche un termine che lo definisca, non è fuori luogo: la neuropsicoanalisi (o la neuro-psicoanalisi, con il trattino) è da più di un decennio uno specifico settore di studi, dotato di una Società (dal 2000), di una rivista (Neuropsychoanalysis), di un sito web (http://www.neuro-psa.org.uk/npsa/), e di un congresso.
Quest’anno il congresso si è svolto a Parigi, nell’arco di due giornate (sab. 27 e dom. 28 giugno). E’ stato preceduto da una giornata introduttiva alle tematiche neuroscientifiche rilevanti per la psicoanalisi (Educational Day, ven. 26 giugno), dove sono state presentate 4 relazioni , e seguito da una giornata dedicata alla presentazione di 30 ricerche, in parte cliniche, in parte sperimentali e in parte di argomento teorico (Research Day, lun. 29 giugno).
Vi hanno partecipato quasi 400 persone, provenienti da 29 paesi (i francesi erano ovviamente la maggioranza, seguiti da inglesi e americani). A parte alcuni ricercatori e alcune decine di studenti, i partecipanti erano per lo più clinici (psicologi, psichiatri, psicoterapeuti, neuropsichiatri infantili; pochi gli psicoanalisti IPA).
Il titolo del congresso – “La Neuropsychanalyse: A quoi ça sert?” (La Neuropsicoanalisi: A che cosa serve?) – indirizzava relatori e pubblico a misurarsi con il senso e l’utilità di una psicoanalisi preceduta dal prefisso ‘neuro-‘. Che le discipline neuroscientifiche e la psicoanalisi intrattengano un legame così stabile suscita in molti perplessità e diffidenza, oltre al fatto che a tutt’oggi la comunità psicoanalitica nel suo insieme non è particolarmente interessata a quanto viene prodotto nell’ambito delle discipline neuroscientifiche – come del resto testimoniato dalla vistosa assenza di psicoanalisti fra il pubblico del congresso, nonostante i primi due relatori fossero personalità di spicco della psicoanalisi francese e internazionale.
D.Widlocher, nella sua introduzione, ha precisato che la neuropsicoanalisi è semplicemente il luogo in cui psicoanalisi e neuroscienze (sperimentali e cliniche) dialogano a partire dai rispettivi ambiti di conoscenza, i cui confini comunque vanno tenuti ben distinti: il dominio della psicoanalisi è la vita dello spirito (ésprit) nel suo insieme, e la specificità della sua conoscenza riguarda la fantasmatica inconscia; invece la fenomenica delle operazioni elementari inconsce è l’oggetto specifico dell’esplorazione neuro-psicologica e neuro-biologica. Di conseguenza, anche se può essere utile trovare punti di compatibilità fra le formulazioni psicoanalitiche e quelle neuroscientifiche, tentare di legittimare le nozioni psicoanalitiche a partire dal cervello è criticabile: “Nel passato si è equiparato l’inconscio al cervello limbico; poi all’emisfero destro; ora alla memoria procedurale. Domani, dove lo cercheremo?”.
Un’impostazione analoga è stata quella di A.Green, che ha portato ulteriori considerazioni a sostegno della diversità delle nozioni di inconscio praticate dalla psicoanalisi e dalle neuroscienze. Non ha tuttavia espresso i suoi distinguo con particolare veemenza, come ha fatto in altre occasioni e come ci si sarebbe potuti aspettare dalle parole del moderatore che, nel presentarlo al pubblico, ha evocato le “meravigliose collere concettuali” dell’eminente psicoanalista francese. Green ha essenzialmente introdotto e commentato i casi clinici presentati dalla co-autrice della relazione (Punti di contatto fra neuropsicoanalisi e psicoanalisi), A.Féve, psicoanalista e neurologa, fondatrice della sezione francese del Philoctetes Center per lo studio multidisciplinare dell’immaginazione.
Diverso approccio è quello di M.Solms, che ha dedicato la propria relazione (Che cosa è la Neuropsicoanalisi?) a illustrare che cosa si deve intendere per neuro-psicoanalisi – termine che lui stesso ha coniato più di dieci anni fa e sul quale ha scritto numerosissimi lavori. Per Solms la neuro-psicoanalisi è psicoanalisi a tutti gli effetti, in quanto oggi abbiamo la possibilità di fare ciò che Freud stesso aveva auspicato quando ha dato vita alla nuova disciplina: collegare ciò che conosciamo del funzionamento mentale con ciò che sappiamo del cervello. Ad esempio, oggi, grazie allo sviluppo delle conoscenze neuro-biologiche e neuro-fisiologiche, possiamo dire che il pensiero basato sul processo secondario e sull’esame di realtà è l’espressione del funzionamento dei sistemi deputati all’esecuzione e al controllo situati nei lobi frontali; così come, reciprocamente, possiamo collegare le condizioni mentali caratterizzate dal processo primario (come i sogni o la confabulazione) alla perdita di quei medesimi sistemi e all’attivazione di sistemi appetitivi meso-limbici. Solms ha tenuto a sottolineare che cosa non ha da essere, a suo parere, la neuro-psicoanalisi: né un modello teorico-clinico alla pari di altri, né un’istituzione (anche se si è dotata di una società e di una rivista, che sono parse necessarie in questa fase iniziale), né una corte di appello per produrre conferme, o disconferme, delle concezioni psicoanalitiche. La neuropsicoanalisi è semplicemente la continuazione, con i mezzi che la ricerca scientifica ci mette oggi a disposizione, della psicoanalisi iniziata da Freud. Il trattamento psicoanalitico di pazienti con lesioni cerebrali focali è l’area clinica e di ricerca che Solms ritiene più promettente affinché la psicoanalisi possa rientrare a pieno titolo nell’alveo di una disciplina scientifica.
Una prospettiva più estesa e onnicomprensiva sul rapporto psicoanalisi-neuroscienze è quella di G.Northoff, professore di Psichiatria a Magdeburgo, che considera la neuropsicoanalisi come una disciplina paradigmatica per integrare neuroscienze e neuro-filosofia. Nella sua relazione (Ciò che la le neuroscienze e la neurofilosofia possono imparare dalla psicoanalisi: la neuropsicoanalisi come disciplina paradigmatica) Northoff ha mostrato come nelle sue ricerche sugli stati del sé e sulla nozione di ‘sé’ sia possibile integrare l’approccio neuro-scientifico (con tecniche di neuro-imaging), l’approccio neuro-psichiatrico (disturbi depressivi e fobici) e l’approccio neuro-filosofico (sviluppo di una neuroepistemologia e di una neuroetica per ridefinire la relazione mente-corpo).
Di segno differente, e assai originale, è la considerazione che L.Naccache, neurologo e neuroscienziato cognitivo a la Pitié-Salpêtrière di Parigi, ha per la psicoanalisi. La tesi della sua relazione (L’ “inconscio” freudiano per le neuroscienze cognitive: dall’inconscio finzionale alla scoperta delle narrazioni (fictions) coscienti), che ha illustrato con un brillante excursus sull’evoluzione delle conoscenze sui processi mentali inconsci, è che l’inconscio freudiano è incompatibile con l’inconscio cognitivo. Ciò che Freud ha scoperto non è l’inconscio – che comunque, in termini scientifici, non esiste. Come Cristoforo Colombo , Freud non ha trovato ciò che cercava ma ha inconsapevolmente gettato le basi per un nuovo modo di concepire e esplorare la coscienza: è la continua attività interpretativa sulla propria vita mentale inconscia – e cioè la capacità immaginativa, o narrativa, o ‘finzionale’ – a costituire il cuore dell’economia psichica. Questo approccio è del tutto in sintonia, secondo Naccache, con le acquisizioni delle neuroscienze
Gli altri relatori si sono mossi sul più consueto terreno di confronto interdisciplinare. H.Shevrin (USA), da decenni autore di importanti ricerche sulla percezione subliminale e storico promotore dell’interscambio fra psicoanalisi e neuroscienze nello studio dei processi mentali inconsci, ha ripercorso le tappe della sua carriera di ricercatore nell’ambito dei fenomeni di comune interesse delle due discipline (Inibizione, conflitto e motivazione: loro aspetti coscienti e inconsci). C.Gottesman, neurobiologo a Nizza, ha illustrato le sue ricerche sugli stati di sonno-veglia (La psicoanalisi in cerca di validazione da parte della neurobiologia del comportamento sonno-veglia). C.Morin, neurologa e psicoanalista lacaniana a Parigi, ha mostrato come sia possibile intrecciare il punto di vista neurologico e quello psicoanalitico nella comprensione e nel trattamento di un danno cerebrale (Anosognosia dell’emiplegia, immagine corporea e oggetto). Y.Yovell, psichiatra e psicoanalista in Israele, autore di pregevoli articoli sulle neuroscienze affettive nonché di una brillante relazione introduttiva sul tema Mente-Corpo nel giorno precedente al congresso (Educational Day), ha ripreso la domanda formulata nel titolo del congresso per ribadire che della neuropsicoanalisi abbiamo senz’altro bisogno. E ne ha dato un esempio nell’esaminare la questione della natura dell’angoscia (L’angoscia: una o due?). Ha messo a confronto i dati della clinica psicoanalitica con i dati neurobiologici sugli stati affettivi, in particolare con la concezione di J.Panksepp, che ha descritto due sistemi neurobiologici e neurochimici per l’angoscia – quello della paura, che attiva comportamenti di attacco o fuga e quello del panico, corrispondente alle esperienze di abbandono e separazione. R.Roussillion (psicoanalista e direttore del Dip. di Psicologia Clinica a Lione) ha discusso la nozione che egli pone al centro dell’insieme dei concetti che definiscono il campo della clinica – l’associatività (Il funzionamento associativo e la rappresentazione).
I tre studiosi dello sviluppo che hanno parlato nell’ultima mezza giornata del congresso hanno presentato un excursus nelle rispettive aree di ricerca senza specificatamente soffermarsi su quesiti epistemologici relativi al dialogo psicoanalisi-neuroscienze. P.Rochat (di origine svizzera, allievo di Piaget, ma da tempo in USA) ha dedicato la sua relazione (Soggettività primordiale iscritta nel corpo) alle modalità di base con cui il bambino si mette in contatto col mondo – come la ricerca dell’uguale a sé (sameness), la sinestesia, l’imitazione. G.Gergely, che fa ricerca e insegna a Budapest e a Londra, ha proposto l’ipotesi di una teoria della Pedagogia Naturale (Pedagogia naturale e fiducia epistemica di base: usi e abusi nello sviluppo precoce) illustrandola con una serie di studi che dimostrano che l’essere umano è predisposto fin dalla prima infanzia a recepire le comunicazioni ostensivo-referenziali. Infine D.Stern (Ginevra e New York), noto da decenni per i suoi studi sullo sviluppo infantile e sulla dinamica psicoterapeutica, ha parlato della dimensione dinamica dell’esperienza, e cioè di quell’aspetto dell’esperienza che sta al centro della sensazione di essere vivi e vitali (Il bambino vede il mondo in maniera olistica?). Le ‘dinamiche della vitalità’ costituiscono un dominio a sé stante, diverso dal mondo degli affetti, delle emozioni, dei pensieri, delle sensazioni; sono connotate dalla forza, dal movimento, dal flusso temporale; riguardano il ‘come’ qualcosa accade, non ‘che cosa’ o ‘perché’ accade.
Il pubblico – fra cui certamente gli psicoanalisti ‘IPA’ non abbondavano – ha partecipato con vivacità alla discussione, dando l’impressione di avere competenza e dimestichezza con le tematiche proposte nelle relazioni; certamente non a disagio, dunque, con questo nuovo ‘oggetto’ – la neuropsicoanalisi – sulla cui utilità (“… a che cosa serve? … chi ne ha bisogno?”) sembrava proprio non nutrire dubbi.