12° Congresso Internazionale di Neuropsicoanalisi – Minding the Body. 24-26 giugno 2011, Berlino
Resoconto di M.Antonietta Ficacci
Premessa
Quanto di seguito riportato intende accennare a tematiche presenti nei papers di alcuni relatori del 12° Congresso Internazionale di Neuropsicoanalisi che si è tenuto a Berlino dal 24 al 26 giugno 2011 (gli stimolanti titoli che alludono ai contenuti fondamentali trattati nei singoli lavori compaiono nell’allegato programma del Congresso ). Il Congresso è stato preceduto, come al solito, da un “Educational Day” finalizzato a promuovere la conoscenza di funzionamenti cerebrali di rilevanza per la psicoanalisi, soprattutto di quelli inerenti al tema proposto che quest’anno era: “Minding the Body”.
Il Congresso, che ha visto la presenza di più di 400 persone e la produzione di 90 tra “poster” e “research presentation”, si è svolto in un clima di vivace partecipazione: quasi un assetto di “gruppo di lavoro” che ha reso possibile accogliere con entusiasmo o fare oggetto di vivace dialettica le proposte dei ricercatori.
Nel breve report che seguirà saranno indicati solo alcuni dei tanti incarichi professionali degli autori citati per come riportati nelle loro schede biografiche disponibili in sede congressuale: definizioni più esaurienti sono rintracciabili nei loro profili on line.
WOLF SINGER, Direttore del Max Planck Institute for Brain Research di Francoforte, nel suo saluto introduttivo , ha sottolineato come gli interrogativi della filosofia classica siano collegati a quelli indagati dalla ricerca delle neuroscienze: la natura della coscienza , il problema del rapporto corpo – mente, la costituzione del Sé, il tema del libero arbitrio….
Tutte le funzioni cognitive, ha sottolineato, sono il risultato e non la causa di interazioni neuronali: tutti i processi cerebrali sono legati alla sua architettura neuronale determinata dall’evoluzione e dallo sviluppo (conoscenza implicita) e dall’apprendimento (conoscenza esplicita).
Esiste l’ipotesi che il cervello sia ” a self – organizing, highly distributed system with non – linear dynamics” e che una sovraordinata istanza nel nostro cervello possa percepire, dare valore e sviluppare piani per azioni future (predictive coding).
I ” prodotti” dell’attività mentale (rappresentazioni, memorie, decisioni…)hanno tutti una natura distribuita (” a distributed nature, a distributed cloud of activity”) sostenuta dalla coesistenza di processi locali e in parallelo e dalla presenza di un alto grado di connettività tra le varie parti che danno origine alle varie funzioni.
La sincronizzazione di attività oscillatorie tra vaste aree della corteccia determinerebbe la coscienza mentre una riduzione della fase di sincronizzazione sarebbe presente nella schizofrenia.
BUD CRAIG, Research Professor in Psychology e in Cell Biology and Anatomy, ha condotto importanti studi sulla corteccia insulare, diversa , come lo sono le facce, da soggetto a soggetto , responsabile della possibilità di “global emotional moment” e di stati di ansia e perdita di “emotional feelings” come conseguenza di lesioni a suo carico. Craig ha identificato una via che porta alla corteccia insulare sensazioni dal corpo, incluse quella del dolore, della temperatura, del prurito ed altre correlate alla condizione fisiologica del corpo e ha ipotizzato che le rappresentazioni di questa via nell’insula anteriore siano fondamentali per la possibilità di consapevolezza.
ANTONIO DAMASIO, Professore di Neuroscienze e Direttore del “Brain and Creativity Institute” all’Università della Southern California, con la sua ricerca ha aiutato a chiarire le basi neuronali delle emozioni e ha mostrato il loro ruolo centrale per le attività cognitive.
Damasio nel suo intervento al Congresso ha sottolineato come l’interconnettività sia altamente distribuita nel cervello e come non ci sia un Sé centrale. Ha parlato della coscienza definendola come “the feeling” (il sentire) che siamo vivi, che siamo in un determinato luogo e che ‘sentiamo’ come il corpo sta : la coscienza, quindi , è anche ciò che perdiamo quando cadiamo in un sonno senza sogni o quando siamo sotto anestesia. La coscienza ,così intesa, deriva da uno scambio tra il tronco encefalico e la corteccia cerebrale , appannaggio non solo degli umani, ma di un gran numero di creature viventi.
Il tronco encefalico produce immagini percepite (“felt images”) dello stato del corpo e fonda il Sé (“primordial feelings”): la corteccia cerebrale produce immagini dettagliate del mondo e le manipola ma non produce “feelings”.
Componenti della coscienza sono il Sé e la mente che derivano da modelli generativi all’interno di regioni del cervello: i Sé sono costruiti da mappe cerebrali dell’interno del corpo che vengono poi usate come riferimento per tutte le altre mappe (la varietà delle mappe -immagini- comprende le enterocettive (mappe della struttura interna dell’organismo) mappe propriocettive (relative ad altri aspetti dell’organismo) ed esterocettive (relative ad organismi esterni)…….
Passando a considerare gli stadi del Sé, Damasio distingue 3 stadi:
il proto- Sé, considerato come una mappa dello stato dell’ organismo momento per momento: una sorta di narrativa che si svolge finchè si è vivi; ha un aspetto neurale ed un aspetto mentale che corrisponde a “feelings” spontanei del corpo vivente (primordial feelings)
il Sé nucleare, generato quando il proto- Sè è modificato da una interazione tra l’organismo e l’oggetto; la relazione tra organismo e oggetto è descritta in una sequenza narrativa di immagini alcune delle quali sono “feelings”.
(Damasio si chiede se non sia proprio il Sé nucleare che gli psicoanalisti debbano tenere a mente nel lavoro con i pazienti e sottolinea come il Sé nucleare, con la sua coerente narrazione non verbale per immagini , sia il fondamento della coscienza).
Il Sé autobiografico che si costituisce quando gli oggetti nella biografia di una persona generano impulsi di Sé nucleare poi successivamente legati in un insieme coerente di patterns creando un percorso, una narrazione.
JAAK PANKSEPP Professore all'”Animal Well – Being Science College of Veterinary Medicine” di Washington e capo dell’ “Affective Neuroscience Research ” dell’Istituto di Chicago di Neurochirurgia e Neuroricerca, ha approfondito lo studio dei sistemi operativi emozionali di base nel cervello dei mammiferi e le loro relazioni con i processi mentali umani e i disordini psichiatrici.
Panksepp ha sottolineato come gli animali abbiano “feelings”: l’ipotesi proposta è che “emotional affective feelings arise from the instinctual emotional action systems” del cervello attraverso regolatori neurochimici specifici.
Gli affetti sono considerati come strumenti, memorie evolutive che aiutano a prevedere gli eventi in funzione della sopravvivenza.
(Durante il dibattito seguito a questi interventi, Craig ha sottolineato la differenza tra emozioni (emotions) e sensazioni (feelings), dove le emozioni sono comportamento, orientano per la sopravvivenza e si mostrano attraverso espressioni emozionali del corpo).
PETER FONAGY è Freud Memorial Professor of Psychoanalysis, Head of the Research Department of Clinical, Educational at University College London, Chief Executive of the Anna Freud Centre, Chair of the International Research Board of the IPA. Il suo lavoro integra ricerca empirica con la teoria psicoanalitica: gli interessi clinici sono soprattutto per la psicopatologia borderline e le relazioni di attaccamento precoci.
Fonagy ha iniziato il suo discorso proponendo alcune riflessioni critiche sulla teoria dell’attaccamento, definendola “disembodied”, meccanicistica, limitata da un punto di vista psicoanalitico ,ma sottolineando che è l’unica teoria che considera la centralità delle relazioni nei disordini mentali ed è, finora, l’unica via per gli psicoanalisti per partecipare al dibattito tra salute pubblica e basi scientifiche della pratica clinica privata, oltre al fatto che nel corso del tempo è andata aumentando la sovrapposizione di contenuti tra i modelli delle principali correnti della psicoanalisi e la teoria dell’attaccamento.
Fonagy dopo aver sottolineato come le neuroscienze confermino il postulato di Freud relativo al radicamento somatico della vita psichica e aver approfondito il tema del rapporto tra la teoria dell’attaccamento e la psicoanalisi, passa ad esplorare la motivazioni che sono dietro alle difficoltà che abbiamo nel rapporto con la sessualità e con i nostri corpi. Riprendendo il percorso di formazione del Sé già proposto da Damasio, Fonagy sottolinea come esso abbia un’origine intersoggettiva dal momento che inizialmente noi troviamo la nostra mente nella mente dei genitori e, più tardi, in altre figure di accudimento e come la capacità di rispecchiamento dello stato del figlio da parte della madre sia al cuore della regolazione affettiva.
Fonagy ricorda come l’eccitazione sessuale sia presente sin dall’infanzia e documenta attraverso materiale ecografico la presenza di erezione del pene nei feti : di fronte alle manifestazioni di eccitazione sessuale dei figli, le madri osservate ignorano o allontanano lo sguardo. Questa difficoltà al rispecchiamento dell’eccitazione sessuale, non consentirebbe l’acquisizione durante l’infanzia di una piena rappresentazione di essa . Non essendoci una piena esperienza di contenimento, manca il senso di possesso di queste sensazioni (feelings): sia l’ignorare da parte della madre, sia il rispecchiamento senza un adeguato riconoscimento, sono fonte di ulteriore eccitazione piuttosto che di alleggerimento della tensione.
L’ultimo punto trattato da Fonagy (ed è il collegamento più forte con la ricerca del padre Ivan cui ha dedicato il paper) riguarda la derivazione del linguaggio umano dalla gestualità (la mimica orale e laringea è un’interna e condensata forma di gestualità corporea): tra gli esempi quello del bambino che indica e accompagna il movimento con la vocalizzazione iiiii o il bambino che spinge la sua lingua in avanti (attitudine positiva) o la ritrae nella cavità orale, lontano dall’oggetto (attitudine negativa). Il ricevente la comunicazione, al di fuori della consapevolezza, decodifica la gestualità orale dell’approccio e interpreta lo stato d’animo: il suono evocherebbe nell’ascoltatore la gestualità fisica necessaria per la produzione del suono forse proprio grazie ai neuroni mirror .
VITTORIO GALLESE, uno degli scopritori dei neuroni specchio, è Professore di Fisiologia umana all’Università di Parma. Esperto di neurofisiologia, neuroscienze, neuroscienze sociali e filosofia della mente, indaga l’organizzazione funzionale dei meccanismi cerebrali sottesi alla cognizione sociale, incluse la comprensione dell’azione, l’empatia e la teoria della mente: è impegnato a sviluppare un approccio interdisciplinare per la comprensione delle basi incarnate della intersoggettività e cognizione sociale.
L’estremamente ricca scaletta del suo intervento, ha proposto ,tra l’altro, il tema dei Sé corpore; dei neuroni specchio e della simulazione incarnata; del trauma e della possibilità di riconoscere le emozioni dopo aver vissuto esperienze traumatiche; delle esperienze emotive relative al sense of touch ,che segna i confini di sé con l’altro, e del Sé corporeo nei pazienti schizofrenici alla prima crisi.
Gallese, citando Legrand (2006) sottolinea come il Sé incarnato sia un Sé mentale (“The embodied self is a mental self ‘put into’ a body….On the other hand, a bodily self would be a self that is (part of) the body” e, facendo riferimento anche a Merleau- Ponty , parla del corpo come motore per incontrare il mondo (The Body as the Power of Having a World, as source of or power for action) : il corpo è considerato come fonte di potenza per l’azione e i Sé corporei come risultanti delle nostre interazioni con altri corpi.
I neuroni specchio ( per un approfondimento del tema si rinvia ai lavori di Gallese già pubblicati e a quelli in via di pubblicazione anche su questo sito) costituiscono una parte importante per la costruzione dell’evidenza naturale del mondo degli altri: secondo la proposta di Gallese, dobbiamo abbandonare il punto di vista cartesiano relativo al primato dell’ Io e riconoscere che ci sono nel cervello pre- esistenti modelli del funzionamento corporeo, embodied simulation (embodied perché viene usato un modello del corpo pre- esistente nel cervello), dove il termine simulazione “connota un meccanismo implicito di modellizzazione di oggetti o eventi teso ad una loro comprensione dall’interno”e che “the Other is co- originally given as the Self”.
Gallese ha poi presentato i risultati di una ricerca condotta con 76 giovani adulti della Sierra Leone , di cui 38 ex – bambini-soldato durante la guerra civile (1991/2002) e 38 civili sopravvissuti alla guerra stessa: la ricerca è tesa ad indagare il rapporto tra evento traumatico e possibilità residua di riconoscere le emozioni. Quanto emerso sottolinea la presenza di meccanismi di negazione in entrambi i gruppi dei giovani traumatizzati dove la negazione non è tanto relativa all’evento traumatico in sé , ma piuttosto allo stato emotivo associato a ,e causato da ,quell’evento.
In entrambi i gruppi, per tutte le emozioni indagate (gioia, rabbia, paura ,tristezza) c’è una correlazione tra l’intensità dell’espressione emotiva e la possibilità di riconoscerla tranne che per la tristezza: quando vengono fatti errori nel riconoscimento delle emozioni questi consistono in una attribuzione eccessiva del sentimento di tristezza che poi, quando invece non è riconosciuta, viene scambiata per rabbia.
Alla negazione della tristezza, presente in misura maggiore negli ex bambini – soldato , segue la negazione della stessa emozione quando è presentata da altri.
Un ulteriore punto di approfondimento proposto da Gallese durante la sua relazione è stato quello relativo alla dimensione autistica della schizofrenia descritta sottolineandone gli aspetti relativi alla perdita di contatto vitale con la realtà e della possibilità di essere in risonanza con il mondo.
Osservazioni di un “affective touch” in pazienti schizofrenici ha permesso di evidenziare come i confini del corpo vengano percepiti in modo confuso e come sia deficitaria la possibilità di differenziazione Sé- Altro.
Il Sé corporeo si basa sulla conoscenza implicita di ciò che è sconosciuto a livello esplicito: si è visto che i pazienti schizofrenici non mostrano la “self advantage” che è la possibilità di riconoscere più facilmente sé stessi o parti del proprio corpo rispetto a quello di altri (la “self advantage è espressione di una conoscenza implicita e corpo- specifica basata soprattutto su rappresentazioni senso- motorie (e non visive) del proprio corpo o di oggetti inanimati) e tale difficoltà sottolinea l’importanza delle rappresentazioni implicite motorie del corpo per un coerente senso del Sé corporeo.
Concludendo ,Gallese ha sottolineato la rilevanza del modello della simulazione incarnata per la psicoanalisi soprattutto perché fornisce una visione globale degli aspetti pre- verbali delle relazioni interpersonali che giocano un ruolo fondamentale nella costruzioone del Sé.
MARIANNE LEUZINGER- BOHLEBER , Vice Chair of the Research Board of the Ipa, Full Professor for Psychoanalytic Psychology all’università di Kassel e Direttore dell’Istituto Sigmund Freud di Francoforte, Didatta della Società Tedesca di Psicoanalisi e membro della Società Svizzera di Psicoanalisi ,è impegnata a coniugare clinica e ricerca extra- clinica in psicoanalisi .
ROLF PFEIFER è professore di scienze del computer al Dipartimento di Informatica all’Università di Zurigo e Direttore del Laboratorio di Intelligenza Artificiale. Collabora con Università di tutto il mondo (Pechino, Tokyo, Parigi…) sulla ricerca relativa alla biorobotica, all’embodiment…
La collaborazione tra la Bohleber e Pfeifer dura da trenta anni: al Congresso hanno presentato materiale teso a sviluppare, tra l’altro ,il tema della memoria.
Pfeifer ha parlato dell’embodiment come di una prospettiva unificatrice per la ricerca e dei robots come degli strumenti scientifici (“understanding by building”): ha mostrato filmati con robots dalle diverse abilità e ha descritto come sia possibile comprendere i movimenti degli umani attraverso lo studio dei robots :ha poi parlato della memoria e di come ,negli individui, sia distribuita e non localizzata solo nel cervello. Il cervello deriverebbe, secondo una prospettiva evoluzionistica ,dalla necessità di movimento: i movimenti sono tutti pre- programmati e la costruzione della memoria richiede coordinazione sensoro- motoria.
Bohleber attraverso la descrizione di un caso clinico ha parlato delle “embodied memories” e della ricostruzione delle memorie traumatiche. Ha poi sottolineato come sia necessario che il trauma arrivi nella relazione analitica per poterci lavorare e come possa accadere che non sia riconosciuto e venga considerato come breakdown psicotico. Ipotizza che l’ ” embodied” corrisponda alla “presentazione di cosa”.
Cenni al discorso di Solms a chiusura del Congresso.
Solms precisa che il corpo di cui si è parlato durante il Congresso è , in realtà, due cose diverse: il corpo interno ed il corpo esterno, cioè, il corpo vegetativo e viscerale da una parte e quello senso- motorio dall’altra e che il corpo interno, per Damasio, arriva alla mente in forma di stati affettivi.
Riprendendo la proposta di Damasio che l’aspetto affettivo della rappresentazione mentale del corpo è intrinsecamente conscio, Solms sottolinea che non è un fatto nuovo che la coscienza sia generata da quelle stesse strutture che sono così tanto collegate alla registrazione degli stati del corpo interno e che questo nucleo di consapevolezza, il proto- Sé, come lo definisce Damasio, sia fondamentalmente, intrinsecamente Sé conscio, ma, aggiunge, che questa parte della mente, nella nomenclatura classica psicoanalitica è l’Id , il contenitore istintuale della mente che noi psicoanalisti non pensiamo essere intrinsecamente conscio e che , tramite l’analisi, portiamo alla coscienza.
Solms, poi, però, riferendosi al pensiero di Freud , dice che la mente è inconscia in se stessa e che la coscienza è una sua proprietà, ma aggiunge che per Freud i sentimenti di piacere e dispiacere sono attaccati alla superficie interna della coscienza mentre le classiche modalità sensoriali a quella esterna e che quanto detto dai principali relatori del Congresso in relazione alla mentalizzazione dell’aspetto interno del corpo ci porta a dire che l’Id è intrinsecamente conscio.
Solms passa poi a considerare il corpo esterno, diverso da quello interno non solo anatomicamente e funzionalmente, ma anche per come viene mentalizzato.
Mentre il polo istintuale rappresenta l’influenza esercitata sulla nostra dimensione mentale da quello che avviene a livello vegetativo, il corpo esterno rappresenta le cose che succedono nel mondo esterno costituito, prima di tutto, dal nostro proprio corpo.
Sentiamo, dice, di essere in realtà due corpi : sono io, il mio interno Sé che sperimenta il mondo esterno e questo io, questo Sé interno descritto da Damasio ha un secondo me: il me muscolo- scheletrico. Il mondo esterno è rappresentato prima di tutto come una cosa che è me: il mio corpo.
Solms fa riferimento a Freud quando dice che l’Ego è prima di tutto e soprattutto un Ego corporeo (in The Ego and the Id, 1923) e afferma che il secondo corpo è l’Ego: quindi il Sé primitivo della mente è l’Id mentre l’Ego deriva dall’esperienza di essere un oggetto nel mondo: così l’Id, per Solms,”this instinctual me, this affectively conscious me…comes to learn that this very special object in space is me also”.
Solms riprende poi il discorso di Gallese sui neuroni specchio che si attivano sia quando noi stessi ci muoviamo nel mondo ma anche quando percepiamo un movimento altrui e sottolinea la presenza del meccanismo inibitore che ci rende possibile differenziare quando siamo noi o gli altri ad agire e come nei pazienti schizofrenici sia alterata questa possibilità con conseguente confusione dei confini tra me e non me: sottolinea anche che la possibilità di distinguere dove siamo, chi siamo, cosa siamo come oggetti nello spazio e cosa non siamo, non è qualcosa di acquisito per sempre, ma è qualcosa che si può perdere nella patologia psichica.
L’immagine della mente che emerge da questi due corpi, propone una visione della mente stessa come fondamentalmente dinamica per consentirci di andare fuori nel mondo per trovare le cose finalizzate alla nostra sopravvivenza e riproduzione ed evitare quelle che danneggerebbero tale possibilità. Questo esterno, rappresentazionale contenitore della mente che Freud chiamò Ego, ha soprattutto la funzione di inbire l’Id, inibire l’azione così che noi possiamo pensare, testare diversi modi di fare le cose nella virtuale rappresentazione della mente considerata l’Ego, che Solms ribadisce fondamentale per arrivare al livello più alto della coscienza, quella mediata dal linguaggio, ma dovendo ammettere che questa coscienza è derivativa, è una costruzione, qualcosa di molto incerto.
La mente, così, lavora in una dinamica interazione tra “affect and drive” e la realtà esterna e la rappresentazione dall’altra.